di VITTORIO POLITO – Nel centro storico di Bari è presente la Chiesa dedicata a San Gregorio l’Illuminatore, patrono dell’Armenia, la più antica chiesa consacrata della città di Bari, come ricorda Nicola Milella, nel Bollettino di San Nicola numero 8/1982. Essa fa parte di quel numero di edifici costruiti durante la denominazione bizantina ed è inserita nel complesso della Cittadella Nicolaiana, all’interno del recinto fortificato che costituiva la sede governativa del Catapano Bizantino, dove erano situate originariamente varie chiesette (i documenti ricordano le chiese greche di S. Eustrazio, S. Nicola, S. Giovanni Evangelista) e strutture civili (Pretorio, corpo di guardia, ecc.).
Tutta l’area fu distrutta sul finire dell’XI secolo quando i nuovi dominatori normanni la cedettero alla città per far posto alla costruzione della nuova basilica dedicata a San Nicola. È possibile ritenere che tale edificio sia stato risparmiato dalla demolizione per le sue dimensioni e il suo valore intrinseco. Le sue origini risalgono probabilmente al X secolo. Il primo documento nel quale risulta tale denominazione, appartenente all’Archivio di San Nicola, è del 1015 e fa riferimento a un certo Mele “clericus, abbas, custos et rector ecclesiae sancti Gregorii”.
L’interno è suddiviso in tre navate, da due file di quattro colonne interrotte da pilastri, con semicolonne addossate, secondo uno schema simile a quello della vicina Basilica di San Nicola. Verso il 1040 la chiesa divenne proprietà della potente famiglia Adralisto, tanto che nel 1089, parlando di S. Gregorio, l’arcivescovo Elia definiva la chiesa “de Kyri Adralisto”. Nei decenni successivi manteneva questa denominazione, come nel 1136, quando si parla di tale “Sifanti venerabilis sacerdotis ecclesie S. Gregorii que de Adralisto dicitur”, e ancora nel 1210, dopo di che cominciò a prevalere la denominazione “de Mercatello”.
Sui muri perimetrali vi sono undici iscrizioni funebri che indicano come la chiesa di S. Gregorio fosse amata dalla gente del luogo. Diversi di questi nomi rievocano, infatti, i cognomi baresi più caratteristici, come Melipezza e Meliciacca, oltre al nobile Bisanzio Patrizio e al popolare Giovanni Cacatorta. La chiesa fu gestita dalla Cattedrale fino al 22 novembre 1308 allorché, dietro suggerimento del re, l’arcivescovo Romualdo Grisone la donava alla Basilica. Un’iscrizione del 1308 sulla facciata interna a sud dell’edificio informa che, per un certo periodo, la chiesa venne utilizzata come luogo di sepoltura dai membri della Confraternita di San Gregorio, ospitati nella chiesa dal 1497.
La chiesa ha conservato perfettamente la sua veste romanica, con la facciata tripartita corrispondente alle tre navate interne, nonostante abbia subito le vicissitudini dei “restauri in stile” di metà ’900 che hanno cancellato i rimaneggiamenti del Seicento e del Settecento. Alla chiesa di San Gregorio appartiene anche la serie di “Misteri” della Passione, statue in legno e cartapesta che vengono portate in processione ad anni alterni il Venerdì Santo (soprannominati in dialetto barese ‘vendelùse’, ovvero “suscitatori di vento”). Nel 1928 la chiesa fu liberata degli edifici addossati che la collegavano posteriormente alla Torre delle Milizie, mentre con ulteriori e più radicali restauri nel 1937 l’architetto Schettini la liberava dei suddetti altari, ridando alla chiesa la sua struttura originaria.
Tutta l’area fu distrutta sul finire dell’XI secolo quando i nuovi dominatori normanni la cedettero alla città per far posto alla costruzione della nuova basilica dedicata a San Nicola. È possibile ritenere che tale edificio sia stato risparmiato dalla demolizione per le sue dimensioni e il suo valore intrinseco. Le sue origini risalgono probabilmente al X secolo. Il primo documento nel quale risulta tale denominazione, appartenente all’Archivio di San Nicola, è del 1015 e fa riferimento a un certo Mele “clericus, abbas, custos et rector ecclesiae sancti Gregorii”.
L’interno è suddiviso in tre navate, da due file di quattro colonne interrotte da pilastri, con semicolonne addossate, secondo uno schema simile a quello della vicina Basilica di San Nicola. Verso il 1040 la chiesa divenne proprietà della potente famiglia Adralisto, tanto che nel 1089, parlando di S. Gregorio, l’arcivescovo Elia definiva la chiesa “de Kyri Adralisto”. Nei decenni successivi manteneva questa denominazione, come nel 1136, quando si parla di tale “Sifanti venerabilis sacerdotis ecclesie S. Gregorii que de Adralisto dicitur”, e ancora nel 1210, dopo di che cominciò a prevalere la denominazione “de Mercatello”.
Sui muri perimetrali vi sono undici iscrizioni funebri che indicano come la chiesa di S. Gregorio fosse amata dalla gente del luogo. Diversi di questi nomi rievocano, infatti, i cognomi baresi più caratteristici, come Melipezza e Meliciacca, oltre al nobile Bisanzio Patrizio e al popolare Giovanni Cacatorta. La chiesa fu gestita dalla Cattedrale fino al 22 novembre 1308 allorché, dietro suggerimento del re, l’arcivescovo Romualdo Grisone la donava alla Basilica. Un’iscrizione del 1308 sulla facciata interna a sud dell’edificio informa che, per un certo periodo, la chiesa venne utilizzata come luogo di sepoltura dai membri della Confraternita di San Gregorio, ospitati nella chiesa dal 1497.
La chiesa ha conservato perfettamente la sua veste romanica, con la facciata tripartita corrispondente alle tre navate interne, nonostante abbia subito le vicissitudini dei “restauri in stile” di metà ’900 che hanno cancellato i rimaneggiamenti del Seicento e del Settecento. Alla chiesa di San Gregorio appartiene anche la serie di “Misteri” della Passione, statue in legno e cartapesta che vengono portate in processione ad anni alterni il Venerdì Santo (soprannominati in dialetto barese ‘vendelùse’, ovvero “suscitatori di vento”). Nel 1928 la chiesa fu liberata degli edifici addossati che la collegavano posteriormente alla Torre delle Milizie, mentre con ulteriori e più radicali restauri nel 1937 l’architetto Schettini la liberava dei suddetti altari, ridando alla chiesa la sua struttura originaria.
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