I Magi, che contraddistinguono l’evento, erano personaggi che guidati da una stella, arrivavano dall’Oriente per rendere omaggio a Gesù, appena nato, per donargli oro, incenso e mirra. Successivamente verranno indicati come “re” e il loro numero venne fissato a tre, con i nomi di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre. Questa festa, che dà un supplemento di regali ai bambini, pone termine al ciclo di festeggiamenti dedicato al Santo Natale.
Non si sa come mai la celebrazione dei tre avvenimenti accadesse lo stesso giorno. In maniera del tutto arbitraria fu stabilito che essi fossero accaduti in uno stesso giorno in differenti epoche. I Greci chiamano l’Epifania, Teofania, cioè apparizione di Dio, e la celebrarono insieme a quella del Natale, almeno per i primi tre secoli. Nel IV secolo, invece, sotto Giulio I, queste due feste furono separate nella Chiesa Latina e tale separazione fu adottata al principio del V secolo nelle Chiese di Siria e di Alessandria.
La sua origine si perde nella notte dei tempi, discende da tradizioni magiche precristiane e, nella cultura popolare, si fonde con elementi folcloristici e cristiani: la Befana porta i doni in ricordo di quelli offerti a Gesù Bambino dai Magi.
L’iconografia della Befana è più o meno fissa: un gonnellone scuro ed ampio, un grembiule con le tasche, uno scialle, un fazzoletto o un cappellaccio in testa, un paio di ciabatte consunte, il tutto vivacizzato da numerose toppe colorate a cavallo della classica scopa.
Una leggenda narra che un giorno i Re Magi partirono carichi di doni (oro, incenso e mirra) per Gesù Bambino. Attraversarono molti paesi guidati da una stella, e in ogni luogo in cui passavano, gli abitanti accorrevano per conoscerli e unirsi a loro. Ci fu solamente una vecchietta che in un primo tempo voleva andare, ma all’ultimo minuto cambiò idea, rinunciando a seguirli. Il giorno dopo, pentita, cercò di raggiungere i Re Magi, che, però erano già lontani. Per questo la vecchina non vide Gesù Bambino, né quella volta, né mai. Da allora, nella notte fra il 5 e il 6 Gennaio, volando su una scopa con un sacco sulle spalle, passa per le case a portare, ai bambini buoni, i doni che non dette a Gesù.
Alcuni studiosi delle tradizioni etnico-popolari, fanno notare come la Befana, al contrario di Gesù Bambino e Santa Lucia, conservi anche un tratto ambiguo, quasi da strega. Come tutte le tradizioni, anche la Befana si può analizzare con le tecniche storico-archeologiche, cercando di scavare gli strati delle varie epoche per arrivare alle tracce di quelle più antiche. La curiosa portatrice di doni, potrebbe avere una qualche parentela con la “vecchia” che si brucia in piazza per festeggiare la fine dell’anno: un simbolo della ciclicità del tempo che continuamente finisce e ricomincia.
La tradizione della “vecchia” non è diffusa solo nelle zone in cui la Befana distribuisce i suoi doni, ma è presente nel nord Italia. È infatti una tradizione dei popoli celtici che erano insediati in tutta la pianura padana e in parte sulle Alpi. I Celti celebravano strani riti (officiati da maghi-sacerdoti chiamati druidi), durante i quali grandi fantocci di vimini venivano dati alle fiamme per onorare divinità misteriose. Divinità che non dovevano essere molto benigne, se è vero quanto riportano alcune fonti: in epoche antiche, all’interno dei fantocci si legavano vittime sacrificali, animali e, talvolta, prigionieri di guerra.
Dalle nostre parti la tradizione vuole che nella notte tra il 5 e il 6 gennaio, i ragazzi lasciavano in cucina o sull’uscio di casa una parte del loro pasto serale o altre cose insieme alla classica calza, che allora era un normale calzino, che non ha nulla a che vedere con quella odierna. Quella della Befana era una notte di paura e di raccoglimento e tutti i bambini andavano (e vanno) a letto presto per consentire alla Befana di non trovare ostacoli durante il suo passaggio.
Man mano che gli anni passano ed i piccoli diventano adulti, si dimenticano della simpatica vecchina e dei suoi doni, e così i sogni della Befana svaniscono rimanendo solo un piacevole ricordo.
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