Nella Cattedrale di Bari Bellini è protagonista con la Piccola Messa Solenne
Capita sempre più spesso, e non solo in Puglia, che produzioni artistiche in sé dotate delle potenzialità necessarie a farne dei memorabili eventi, giungano al traguardo della esecuzione con il fiato corto. Per delle strane scelte, non sempre dettate da motivi di budget e che non stiamo ora ad indagare, accade sovente che qualcosa manchi o sia fuori posto, e non parliamo di dettagli insignificanti. E’ quanto accaduto anche nella esecuzione di quello straordinario capolavoro di Gioachino Rossini che è la Petite Messe Solennelle (Piccola Messa Solenne), per soli, coro, due pianoforti e harmonium, che ha avuto luogo il 22 dicembre scorso nella Cattedrale di S. Sabino a Bari, nell’ambito della Stagione Sinfonica della Fondazione Petruzzelli. A parte la pessima acustica della chiesa, su cui ci si è soffermati anche in altre occasioni e che mortifica il lavoro degli esecutori togliendo pienezza e colore al suono di strumenti e voci, l’altra scelta discutibile è stata quella di sostituire l’harmonium con una tastiera digitale riproducente il suono dello strumento, ma con uno sgradevole timbro sintetico del tutto avulso dal contesto generale. Per quanto concerne i cantanti, il carattere disuguale degli stessi impone delle considerazioni specifiche: molto consistente per potenza, al punto da tener testa ai citati problemi di acustica, la voce del soprano Lidia Tamburrino, che tuttavia presentava un insistente vibrato che toglieva fluidità e morbidezza al suono. Fuori parte invece la voce del bass bariton Domenico Colaianni, brillante interprete nei ruoli buffi nei quali domina la caratterizzazione, rivestiti sempre con eleganza e ironia, ma che in un brano di musica sacra come questa Messa, non è riuscito a garantire la necessaria omogeneità di suono, oscillando tra corposità delle note più acute, incertezza su alcune note centrali e note gravi frequentemente sfibrate se non evanescenti. Tutto ciò è sembrato indice di una voce orientata verso registri decisamente più acuti. Convincente invece la performance del mezzosoprano russo Galina Sidorenko, che ha cantato con passione e trasporto soprattutto nel Qui tollis (parte del Gloria) in duo col soprano e nello struggente pezzo finale, Agnus Dei, che può a giusto titolo considerarsi una delle creazioni più straordinarie del genio di Rossini e della storia della musica in generale. Altrettanto dicasi per la voce del tenore russo Yevgeny Akimov, che ha cantato con notevole musicalità e sicurezza.Eccellente il contributo dei due pianisti, Pasquale Iannone e Paola Bruni, affermati concertisti di fama internazionale, che hanno suonato con perfetta aderenza allo spartito e allo spirito di una composizione che può considerarsi il testamento spirituale di un compositore ormai presago della fine (sarebbe morto 5 anni dopo). Di notevole qualità esecutiva, sebbene svilito dall’improprio strumento affidatole, l’intervento di Gianna Valente all’harmonium. Efficace, anche se ridondante nel gesto sui brani ad una sola voce, la direzione del M° Fabio Mastrangelo (nella foto, di Vito Mastrolonardo). Apprezzabile il lavoro del Coro della Fondazione Lirico Sinfonica Petruzzelli e Teatri di Bari, sapientemente guidato dal M° Franco Sebastiani (coadiuvato dai Maestri Donato Sivo e Lucia Conca), nonostante la scansione del testo cantato sia stata molto compromessa dall’acustica del luogo.Va in ogni caso sottolineata la rarità, almeno qui in Puglia, dell’occasione per riascoltare questo grande capolavoro rossiniano: eseguita nel 1989 al Festival della Valle d’Itria nella versione per orchestra, scritta dallo stesso Rossini nel 1867, venne poi riproposta a Monopoli e Fasano nel 2000 dove fu registrata e pubblicata in CD, sempre nella stessa versione. Quello dell’altra sera a Bari è stato invece un recupero della versione originaria del 1863 pensata dal grande Maestro per quattro parti vocali, coro, pianoforte principale più un pianoforte ‘di rinforzo’ (cioè privo di una parte indipendente) e harmonium, e dedicata alla contessa Louise Pillett – Will, presso i cui discendenti è stato possibile solo in tempi recenti recuperare il manoscritto originale. La prima rappresentazione moderna di questa versione risale infatti al Rossini Opera Festival di Pesaro del 1997. Composta dalle cinque parti liturgiche del cosiddetto Ordinarium, la Messa prevede poi anche un ‘Preludio religioso’ per pianoforte solo e il mottetto eucaristico ‘O Salutaris Hostia’. Per questa caratteristica ma anche per un inventiva armonica e melodica che alterna caratteristiche proprie della musica da chiesa con altre più profane, Rossini conferma un modo di intendere la Messa in musica come genere autonomo, non più legato esclusivamente alla funzione liturgica, sia pure seguendo sempre criteri compositivi di grande rigore e solennità, in mirabile equilibrio con il fisiologico temperamento di letizia del Maestro. Scritta dopo decenni di ritiro dalle scene teatrali, periodo durante il quale si dedicò alla composizione di musica da camera e sacra senza mai pubblicare alcunché, egli amava definire quest’opera “il mio ultimo peccato di vecchiaia” quasi a farsi perdonare per aver trascurato il Creatore in buona parte della sua feconda produzione, come testimonia una sua nota, scritta a Passy nel 1863: “Buon Dio, eccola terminata questa povera Messa. Ho fatto della musica sacra o della maledetta musica? Io sono nato per l’opera buffa, lo sai bene! Un po’ di scienza, un po’ di cuore, tutto qui! Tu sia dunque benedetto e concedimi il Paradiso”.
Tags:
Cultura e Spettacoli