«Eravamo confusi, ora vogliamo crescere Davide»

BARI — Davide è quel minuscolo lottatore con i capelli nerissimi che sta superando ogni giorno le complicazioni collegate alla sindrome di Potter con cui è nato. Non respirava da solo, ora sì. Pareva avesse i piedi torti, ora ha solo il sinistro un po’ inclinato, ma per l’ortopedico va bene. L’avevano dato per spacciato, ora è lì, nell’incubatrice del reparto di Nefrologia dell’«Ospedaletto» di Bari, dove infermieri e medici fanno a gara per occuparsi di lui, rinunciando alle ferie. Riposa tranquillo, disteso su un fianco, un body candido indosso. Ogni respiro che lo solleva è un morso in più alla vita. Neanche ti accorgi del tubicino che passa dietro al collo, con cui per sei ore gli drenano il sangue per la dialisi. «Datemi un chilo e tra due mesi ve lo rimando a casa», dice il medico responsabile, Tommaso De Palo, finto burbero con barba sale e pepe che adesso ha un solo pallino: «Appena arriva la mamma gli farò dare il latte con il biberon, ma voglio la mamma, lo deve fare lei». Mamma Maria Rita arriverà oggi a Bari, con papà Massimo e Antonio e Martina, i fratellini, sei anni e sedici mesi: si trasferiranno da Foggia in un bell’appartamento messo a disposizione dai volontari dell’Agebeo.

Finalmente potrà prendere in braccio il suo Davide, per la prima volta, e spera di poterlo fare con il «bollino di garanzia» del Tribunale per i Minorenni, che a lei e a suo marito dovrebbe riaffidare oggi la patria potestà. «Non avremmo mai esitato ad autorizzare la prosecuzione delle cure se ci avessero dato una speranza. Sono la madre, per lui darei il mio, di rene», racconta Maria Rita sui gradini della scuola elementare dove Antonio sta facendo la recita scolastica. «Ma a noi il primario di Foggia, Rosario Magaldi, aveva detto: "Non siate egoisti, lasciatelo morire, fosse mio farei così". E già pensavamo all’espianto degli organi...».

Invece Davide voleva vivere. Così tanto che in pochi giorni non ha più avuto bisogno del respiratore. «Magaldi a bruciapelo ci disse che intendeva trasferirlo al Bambin Gesù. Ho pensato che volesse lavarsene le mani. È vero, abbiamo esitato. Ma eravamo confusi. E quella sera stessa, il 9 maggio, a casa sono arrivati i carabinieri: ci toglievano la patria potestà». Che ci fossero dei problemi, la coppia lo sapeva dal sesto mese, quando a Roma il professor Giuseppe Noia, esperto in diagnosi e terapie fetali, aveva riscontrato una carenza di liquido amniotico: «Ci suggerì un’oligo-infusione al Gemelli, in day hospital. La feci. Dopo l’ecografia ci disse che gli organi erano "strutturalmente tutti presenti"». Da qui alla sindrome di Potter, che significa nascere senza i reni e con scarsissime probabilità di sopravvivenza, c’è un abisso. Maria Rita, difesa dall’avvocato Michele Vaira, aggiunge: «Ora non ci pensiamo, ma non finisce qui. Noia deve avere una lezione».

La lezione vera, però, la sta dando a tutti Davide, il piccolo lottatore. Maria Cristina D’Amelio, dirigente responsabile dell’ospedale pediatrico dove è ricoverato il neonato, spiega: «Per poter essere candidato al trapianto deve raggiungere dieci chili e ci vorrà almeno un anno. Ma quando sarà dimesso potrà fare a casa la dialisi peritoneale. Certo, non posso escludere un’infezione. Però sono sicura che questa storia avrà un lieto fine».

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