di Michele Tedesco
L’ arrivo di questa fanta-band nel panorama rock mondiale l’ anno scorso aveva un pò fatto sobbalzare tutti. Jack White si era lanciato, bacchette alla mano, in un progetto che suonava assai innovativo. Garage rock e psichedelia correvano spediti in tutte le tracce di “Horehound”. “Treat me like your mother” aveva entusiasmato in tutto e per tutto, per il sound, così grezzo da suonare eccezionalmente geniale. Jack White dei White Stripes, Allison Mosshart dei Kills, Jack Lawrence dei Raconteurs e Dean Fertita dei Queens of the Stone Age, da Nashville, ritornano quest’ anno, sfruttando l’ onda lunga del precedente successo, con “Sea of Cowards”, il mare dei codardi. La ricetta è sempre la stessa: suoni cupi, rumorosi, neri e tanta distorsione. La presenza del “burattinaio” White si fa più consistente in questo secondo capitolo della saga della super band. La Mosshart, in perenne conflitto con Kate Moss (proprio la modella!), che vorrebbe rubarle il posto nei Kills, esplode nella sua vocalità spiccatamente dark, che assai spesso sfocia in gemiti ridondanti, a volte troppo stucchevoli. I richiami ai grandi sono tantissimi, forse troppi. Sabbath e Zeppelin, e gli stessi White Stripes, sono punti di riferimento troppo presenti. L’ open track “Blue Blood Blues” non fa rimpiangere il precedente lavoro. Uno dietro l’ altro, quasi in fila indiana, scorrono tutti gli altri brani, tra cui “I’ m mad”, “Gasoline”, e la conclusiva “Old Mary”, in cui il vagito di un bambino si contrappone ai pensieri sulla morte, cantati dalla Mosshart. L’ album per intero è un mosaico tutto nero le cui tessere, se considerate singolarmente, brillano di una propria, singolare particolarità . Se White abbia voluto cavalcare l’ onda del precedente successo in questo “mare di codardi” a noi non è dato saperlo. Questa volta, però, l’ ha fatto senza troppo clamore.
L’ arrivo di questa fanta-band nel panorama rock mondiale l’ anno scorso aveva un pò fatto sobbalzare tutti. Jack White si era lanciato, bacchette alla mano, in un progetto che suonava assai innovativo. Garage rock e psichedelia correvano spediti in tutte le tracce di “Horehound”. “Treat me like your mother” aveva entusiasmato in tutto e per tutto, per il sound, così grezzo da suonare eccezionalmente geniale. Jack White dei White Stripes, Allison Mosshart dei Kills, Jack Lawrence dei Raconteurs e Dean Fertita dei Queens of the Stone Age, da Nashville, ritornano quest’ anno, sfruttando l’ onda lunga del precedente successo, con “Sea of Cowards”, il mare dei codardi. La ricetta è sempre la stessa: suoni cupi, rumorosi, neri e tanta distorsione. La presenza del “burattinaio” White si fa più consistente in questo secondo capitolo della saga della super band. La Mosshart, in perenne conflitto con Kate Moss (proprio la modella!), che vorrebbe rubarle il posto nei Kills, esplode nella sua vocalità spiccatamente dark, che assai spesso sfocia in gemiti ridondanti, a volte troppo stucchevoli. I richiami ai grandi sono tantissimi, forse troppi. Sabbath e Zeppelin, e gli stessi White Stripes, sono punti di riferimento troppo presenti. L’ open track “Blue Blood Blues” non fa rimpiangere il precedente lavoro. Uno dietro l’ altro, quasi in fila indiana, scorrono tutti gli altri brani, tra cui “I’ m mad”, “Gasoline”, e la conclusiva “Old Mary”, in cui il vagito di un bambino si contrappone ai pensieri sulla morte, cantati dalla Mosshart. L’ album per intero è un mosaico tutto nero le cui tessere, se considerate singolarmente, brillano di una propria, singolare particolarità . Se White abbia voluto cavalcare l’ onda del precedente successo in questo “mare di codardi” a noi non è dato saperlo. Questa volta, però, l’ ha fatto senza troppo clamore.