BARI. Una storia che grida vendetta quella di Carmelo Solimeo, deceduto lo scorso anno dopo un trapianto di fegato presso il reparto di chirurgia e trapianti del Policlinico di Bari. Ma Alessandra, la figlia, non si rassegna e scrive al governatore Nichi Vendola e all’assessore alla Sanità, Tommaso Fiore, per testimoniare la tragica vicenda che ha coinvolto la sua famiglia.L'uomo mori' per 'epatite B necrotizzante' e la Procura di Bari ha gia' chiesto il rinvio a giudizio di alcuni medici. Nella lettera, la donna ritiene l'indagine interna ''essenziale per il buon funzionamento della sanita' pugliese''. “Voglio poter credere anch’io che esista la buona politica, che si nutre di segni che danno sollievo al dolore, che danno diritto ai diritti, che cerca di capire per cercare di cambiare", scrive Alessandra. "Vorrei intraprendere con Voi quel coraggioso viaggio che prova a stanare i fantasmi delle vergogne e i segreti inconfessabili, cercando di non affondare mai nel pantano del cinismo e dell’acquiescenza, dove operano le lobbies, le corporazioni, le caste”. Alessandra poi pone l’attenzione sulla “casta” dei medici che avrebbero dovuto salvare la vita del padre, affetto da epatite C. Parla della lista d’attesa, del tempo che inesorabilmente scandisce le giornate del paziente e della sua famiglia nell’attesa che sia possibile effettuare l’intervento, dell’attesa che logora l’esistenza, tra attesa e speranza da un lato, e dall’angoscia che quell’organo non arrivi mai. “Mio padre – dice – è stato calpestato sotto tutti gli aspetti: con il delirio di onnipotenza tipico del medico che si fa beffa di ogni senso di responsabilità, competenza e merito, oltre che dell’attitudine all’ascolto e alla solidarietà umana; gli è stato trapiantato, in regime di totale disinformazione e, dunque, senza il suo doveroso consenso informato, un cosiddetto “fegato marginale di seconda scelta”, affetto dal virus dell’epatite B che esponeva il soggetto ricevente al rischio di contrarre la malattia. Rischio che i trapiantologi sanno diventare quasi certezza in assenza della terapia antivirale e anticorpale che, in base a protocolli internazionalmente riconosciuti e adottati, deve necessariamente somministrarsi. A mio padre tale terapia è stata inspiegabilmente negata, sebbene tutti i medici che avrebbero dovuto occuparsi del post-operatorio fossero a conoscenza delle caratteristiche di quel fegato marginale".
“Ci siamo sentiti abbandonati e calpestati; ci aspettavamo di ascoltare dichiarazioni di vicinanza al nostro dolore; confidavamo in una indagine interna per comprendere cosa fosse successo durante i sei mesi successivi al trapianto. Ma nulla di tutto questo è avvenuto. La logica del corporativismo e del potere di casta ha avuto il sopravvento. Confido che il vento della buona politica possa spazzare via le vergogne da una parte, e le nostre amarezze dall’altra”, conclude così la donna.
Alessandra Solimeo dunque non vuole arrendersi e chiede a Vendola di far chiarezza sulla vicenda al fine dell’accertamento delle responsabilità penali dei medici nei confronti dei quali il pm della Procura di Bari ha già richiesto il rinvio a giudizio.
“Ci siamo sentiti abbandonati e calpestati; ci aspettavamo di ascoltare dichiarazioni di vicinanza al nostro dolore; confidavamo in una indagine interna per comprendere cosa fosse successo durante i sei mesi successivi al trapianto. Ma nulla di tutto questo è avvenuto. La logica del corporativismo e del potere di casta ha avuto il sopravvento. Confido che il vento della buona politica possa spazzare via le vergogne da una parte, e le nostre amarezze dall’altra”, conclude così la donna.
Alessandra Solimeo dunque non vuole arrendersi e chiede a Vendola di far chiarezza sulla vicenda al fine dell’accertamento delle responsabilità penali dei medici nei confronti dei quali il pm della Procura di Bari ha già richiesto il rinvio a giudizio.