IL REPORTAGE / La giornata di un rom a Barletta

di Nicola Ricchitelli
Ore 6:52 di un qualsiasi giorno di luglio. Il regionale proveniente da Foggia giunge puntuale sul primo binario. Dall'ultimo vagone escono fuori dei rom, mentre altri proseguono verso Bari. Per qualcuno, beccato senza biglietto dal controllore, il viaggio finirà anche prima, ma va bene così.
La giornata di un rom a Barletta inizia alle ore sette nella stazione. Ci fingiamo passeggeri in attesa di prendere il prossimo treno, ma in realtà siamo alla stazione per iniziare la nostra giornata da rom.
In meno che non si dica invadono l'angolo di stazione dove è ubicato il bar; alcuni si lavano il viso dinanzi alla fontanella, altri entrano nel bar sotto lo sguardo quasi sbigottito di alcuni studenti che talvolta la colazione non se la possono permettere, ed escono con sacchetti pieni di cornetti e cappuccini. Segue a ruota la distribuzione a destra e a manca della roba presa.
Le donne, nel frattempo, provvedono a rendere presentabili i bimbi più piccoli. Alcuni sono un po’ vivaci. Si avvicina un uomo con una busta, tira fuori quelle che all'apparenza possono sembrare delle normali pillole. Solo in un secondo momento inizieranno a calmarsi. Certo, hanno fatto la loro parte le consistenti dosi di percosse prese dalla mamma, ma comunque è chiaro che quelle pillole sono sonniferi o tranquillanti. Ci darà successivamente conferma il ragazzino con il braccio amputato, di cui non sappiamo quale sia il vero nome, perché ogni volta ce ne ha sempre dato uno diverso.
La sosta nell'ingresso della stazione dura all'incirca mezz'ora. Qualcuno ripartirà su uno dei tanti regionali che vanno e vengono verso Bari e Foggia, ma la gran parte di loro vivrà la giornata tra le vie di Barletta.
Tra le tante figure, ne individuiamo alcune che danno istruzioni ai più piccini, tra sguardi minacciosi e calde raccomandazioni. I ragazzini sembrano rispondere “obbedisco”.
Altri li vedi tirar fuori improbabili violini e fisarmoniche; fingono di provare, ma in realtà non sanno suonare quegli strumenti, anche se il loro fare da musicisti può trarre in inganno.
Poi la giornata ha inizio, l'esercito dei rom parte alla conquista della città. Ognuno prende direzioni diverse: alcuni ce li ritroveremo dinanzi ai semafori di via Foggia, altri vicino ai semafori del vecchio ospedale, altri ancora dinanzi ai semafori del Palazzo di città, o ai supermercati, o davanti all’ingresso delle chiese: insomma, ovunque e in ogni dove.
Decidiamo di seguire il ragazzino con il braccio amputato: è una nostra vecchia conoscenza; di lui sappiamo già tanto, compreso quel braccio perso per via di un camion che lo investì mentre chiedeva l'elemosina ad un incrocio di Foggia circa un paio di anni fa.
Lui finge di non sapere che lo stiamo seguendo, mentre noi fingiamo di non sapere che lui ci ha scoperto. Dai negozianti non tardano ad arrivare il "vai a quel paese".
La loro è un'invasione silenziosa nelle viscere di Barletta. Sembrano muoversi tra l’odio e il disprezzo della gente a cui rispondono con quel loro sorriso sornione, una via di mezzo tra l’irriverente e l’innocente.
La parola d’ordine è: soldi, soldi, soldi. Rifiutano qualsiasi forma di carità alternativa. Il ragazzino dal braccio amputato ci dirà in seguito che ognuno di loro deve racimolare durante la giornata per lo meno cento euro per evitare certi brutti quarti d’ora: ecco, quindi, che il panino con il prosciutto cotto che la signora gli ha gentilmente fatto fare dal salumiere del supermarket, dopo qualche morso, viene buttato in un cassonetto.
Non c’è bar che non passano a setaccio, così come non c’è supermarket che sfugga loro. Dal quartiere Sette frati, al quartiere Borgovilla, da Santa Maria alla 167. Non c’è incrocio e non c’è semaforo che non veda la loro mano tesa, mentre sui loro visi paiono intravedersi tracce di una vita fatta di passato e presente che non ha bisogno di libri e banchi di scuola. Il caldo mette a dura prova qualsiasi comune mortale che lavora onestamente, mentre per loro è solo un dettaglio. Nonostante tutto, riescono anche a sorridere fra di loro, sembrano avere poco o niente, sembra bastare quella vita fatta senza regole, almeno cosi pare.
La loro giornata prosegue tra i banchi di una chiesa, mentre il prete celebra la messa, tra gli ombrelloni di una spiaggia, tra i tavolini dei tanti bar assolati sotto il cielo della nostra Barletta.
Il sole, nel frattempo, ha deciso che per oggi la giornata può finire qui. Alcuni prendono la via del ritorno. Il ragazzino con il braccio amputato incontrerà un uomo che all’apparenza potrà avere all’incirca cinquant’anni: con l’unica mano rimasta tira fuori una busta piena di monete e gliela consegna. Stessa cosa faranno due donne che arriveranno dopo di lui: hanno in braccio i loro bambini che beatamente dormono, storditi dal sole e dai sonniferi.
L’uomo col primo treno diretto a Foggia se ne torna a casa, mentre il ragazzino dal braccio amputato rimane qui a Barletta a “godersi” la movida. Entra ed esce dalle pizzerie, ora con un pezzo di pizza ora con una porzione di patatine fritte: lui ne va ghiotto.

27/07/2011