di Fabrizio Tangorra
Un omicidio è un momento di dolore, per i familiari della vittima, gli amici, i compagni di scuola, i vicini di casa, i cittadini del paese. E come ogni momento di dolore, necessiterebbe un po’ di silenzio e riserbo, forme di rispetto verso la vittima e chi la piange.Anche le indagini per un omicidio, svolte dagli organi inquirenti, sono un momento obbligato di riservatezza e di segreto, almeno sino a quando non siano arrivate a dei risultati concreti e massimamente attendibili.
In questi giorni, invece, stiamo assistendo a tutto ciò che non dovrebbe essere un momento di dolore e un’indagine penale. L’hanno definito in tutti i modi: “orrendo circo mediatico”, “tv del dolore”, “reality del macabro”. C’è chi, nel levarsi di un grido moralista, ha iniziato ad accusare i giornalisti di un’eccessiva presenza, di pagare le foto esclusive, di intralciare le indagini. Si sono iniziate a transennare le strade, a sgombrare il piazzale del Palazzo di giustizia.
Ma questa irreale situazione che si sta profilando in questi giorni non nasce dal nulla, come un’improvvisa esplosione di morbosa curiosità di tutti gli italiani sui fatti di cronaca.
Questo che sta accadendo è la conseguenza di anni e anni in cui è divenuto normale che informazioni riservate d’indagine filtrino sulla stampa. Verbali d’intercettazioni, notizie di reato spiattellate sulle prime pagine dei giornali, senza che nessuno si indignasse e chiedesse che fosse posto un freno a questo degenerare dello stato di diritto. Si è andato avanti barcamenandosi e credendo che questo sistema potesse reggere all’infinito tra una piccola ingiustizia e l’altra.
Quando tutto ciò sarà finito e l’ansia mediatica degli italiani sarà scemata, occorrerà fare una riflessione. Evitando di ricercare colpe e mantenendo come guida il diritto all’informazione, anima di un paese democratico, bisognerà chiedere un cambio di rotta. Perché non è sano per un paese civile questo stillicidio informativo degno di una tortura cinese di altri tempi. E non è normale che sia diffuso l’audio di un esame di persona informata sui fatti, che ha reso delle informazioni si di un omicidio davanti ai magistrati, certa che lì rimanessero. Dove siamo diretti se proseguiamo in questa direzione? L’importante sarà metter mano ad ogni singolo anello della catena, per saldarlo e farlo funzionare a dovere, e non cercare, come il più delle volte accade, di cogliere l’occasione per troncarne qualche pezzo.
Un omicidio è un momento di dolore, per i familiari della vittima, gli amici, i compagni di scuola, i vicini di casa, i cittadini del paese. E come ogni momento di dolore, necessiterebbe un po’ di silenzio e riserbo, forme di rispetto verso la vittima e chi la piange.Anche le indagini per un omicidio, svolte dagli organi inquirenti, sono un momento obbligato di riservatezza e di segreto, almeno sino a quando non siano arrivate a dei risultati concreti e massimamente attendibili.
In questi giorni, invece, stiamo assistendo a tutto ciò che non dovrebbe essere un momento di dolore e un’indagine penale. L’hanno definito in tutti i modi: “orrendo circo mediatico”, “tv del dolore”, “reality del macabro”. C’è chi, nel levarsi di un grido moralista, ha iniziato ad accusare i giornalisti di un’eccessiva presenza, di pagare le foto esclusive, di intralciare le indagini. Si sono iniziate a transennare le strade, a sgombrare il piazzale del Palazzo di giustizia.
Ma questa irreale situazione che si sta profilando in questi giorni non nasce dal nulla, come un’improvvisa esplosione di morbosa curiosità di tutti gli italiani sui fatti di cronaca.
Questo che sta accadendo è la conseguenza di anni e anni in cui è divenuto normale che informazioni riservate d’indagine filtrino sulla stampa. Verbali d’intercettazioni, notizie di reato spiattellate sulle prime pagine dei giornali, senza che nessuno si indignasse e chiedesse che fosse posto un freno a questo degenerare dello stato di diritto. Si è andato avanti barcamenandosi e credendo che questo sistema potesse reggere all’infinito tra una piccola ingiustizia e l’altra.
Quando tutto ciò sarà finito e l’ansia mediatica degli italiani sarà scemata, occorrerà fare una riflessione. Evitando di ricercare colpe e mantenendo come guida il diritto all’informazione, anima di un paese democratico, bisognerà chiedere un cambio di rotta. Perché non è sano per un paese civile questo stillicidio informativo degno di una tortura cinese di altri tempi. E non è normale che sia diffuso l’audio di un esame di persona informata sui fatti, che ha reso delle informazioni si di un omicidio davanti ai magistrati, certa che lì rimanessero. Dove siamo diretti se proseguiamo in questa direzione? L’importante sarà metter mano ad ogni singolo anello della catena, per saldarlo e farlo funzionare a dovere, e non cercare, come il più delle volte accade, di cogliere l’occasione per troncarne qualche pezzo.
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