di Maria Teresa Lattarulo
Dopo la sentenza Schalk and Kopf c. Austria del 24 giugno 2010, nella quale la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva qualificato per la prima volta come vita familiare quella delle coppie dello stesso sesso stabilmente conviventi (vedi l’articolo “Fecondazione eterologa e coppie dello stesso sesso, le sentenze della Corte europea”, del 24 novembre), una nuova pronuncia in materia ha cominciato a fare applicazione di tale principio, estendendo a tali coppie diritti concreti riconosciuti alle famiglie legittime.
IL CASO AUSTRIACO - Nel caso P.B. e J.S. c. Austria del 22 luglio 2010 i ricorrenti, P.B., cittadino ungherese, e J.S., cittadino austriaco, lamentano l’incapacità nel diritto austriaco di beneficiare dell’estensione al partner dell’assicurazione per malattia e infortuni, riconosciuta, invece, alle coppie di fatto eterosessuali.
LE DECISIONI DELLA CORTE - La Corte ha osservato che vi è stata una rapida evoluzione di atteggiamenti sociali nei confronti di tali coppie nel corso dell'ultimo decennio, durante il quale un numero considerevole di Stati europei ha conferito loro riconoscimento giuridico. La Corte ha quindi constatato che il rapporto dei ricorrenti rientra nella nozione di vita familiare tutelata dall'articolo 8 e che la copertura assicurativa invocata, poiché era destinata a migliorare la situazione privata e familiare della persona assicurata, rientrava anch’essa nell’ambito dell’articolo 8. Pertanto la mancata estensione della misura ai ricorrenti è stata considerata una disparità di trattamento priva di giustificazione oggettiva e quindi come una violazione degli articoli 8 e 14.
La decisione considerata si inserisce nell’alveo di una giurisprudenza che apre ai diritti delle coppie dello stesso sesso. Sarebbe strano, tuttavia, che a tale orientamento corrispondesse un regresso nella tutela delle altre coppie. Significativa, a tal proposito, è la sentenza Şerife Yiğit c. Turchia del 2 novembre 2010 nella quale veniva in considerazione la richiesta di una donna turca che, avendo vissuto con il marito per ventisei anni sulla base di un matrimonio religioso al quale, nell’ordinamento turco, non sono riconosciuti effetti civili, chiedeva il riconoscimento del diritto alla pensione e delle indennità di assicurazione per malattia in base all’art. 8 della Convenzione. La Corte, pur riconoscendo che l’unione di fatto della ricorrente, dalla quale erano anche nati sei figli, costituiva vita familiare, ha ritenuto che il mancato riconoscimento dei diritti invocati non comportasse una discriminazione rispetto alle coppie fondate sul matrimonio civile, in quanto la tutela della famiglia legittima risponde ad un interesse pubblico. Tale conclusione appare paradossale visto l’orientamento tenuto dalla Corte rispetto al riconoscimento di un diritto analogo al partner di una unione tra persone dello stesso sesso. Parafrasando Orwell, alcune famiglie sono più uguali di altre?
Dopo la sentenza Schalk and Kopf c. Austria del 24 giugno 2010, nella quale la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva qualificato per la prima volta come vita familiare quella delle coppie dello stesso sesso stabilmente conviventi (vedi l’articolo “Fecondazione eterologa e coppie dello stesso sesso, le sentenze della Corte europea”, del 24 novembre), una nuova pronuncia in materia ha cominciato a fare applicazione di tale principio, estendendo a tali coppie diritti concreti riconosciuti alle famiglie legittime.
IL CASO AUSTRIACO - Nel caso P.B. e J.S. c. Austria del 22 luglio 2010 i ricorrenti, P.B., cittadino ungherese, e J.S., cittadino austriaco, lamentano l’incapacità nel diritto austriaco di beneficiare dell’estensione al partner dell’assicurazione per malattia e infortuni, riconosciuta, invece, alle coppie di fatto eterosessuali.
LE DECISIONI DELLA CORTE - La Corte ha osservato che vi è stata una rapida evoluzione di atteggiamenti sociali nei confronti di tali coppie nel corso dell'ultimo decennio, durante il quale un numero considerevole di Stati europei ha conferito loro riconoscimento giuridico. La Corte ha quindi constatato che il rapporto dei ricorrenti rientra nella nozione di vita familiare tutelata dall'articolo 8 e che la copertura assicurativa invocata, poiché era destinata a migliorare la situazione privata e familiare della persona assicurata, rientrava anch’essa nell’ambito dell’articolo 8. Pertanto la mancata estensione della misura ai ricorrenti è stata considerata una disparità di trattamento priva di giustificazione oggettiva e quindi come una violazione degli articoli 8 e 14.
La decisione considerata si inserisce nell’alveo di una giurisprudenza che apre ai diritti delle coppie dello stesso sesso. Sarebbe strano, tuttavia, che a tale orientamento corrispondesse un regresso nella tutela delle altre coppie. Significativa, a tal proposito, è la sentenza Şerife Yiğit c. Turchia del 2 novembre 2010 nella quale veniva in considerazione la richiesta di una donna turca che, avendo vissuto con il marito per ventisei anni sulla base di un matrimonio religioso al quale, nell’ordinamento turco, non sono riconosciuti effetti civili, chiedeva il riconoscimento del diritto alla pensione e delle indennità di assicurazione per malattia in base all’art. 8 della Convenzione. La Corte, pur riconoscendo che l’unione di fatto della ricorrente, dalla quale erano anche nati sei figli, costituiva vita familiare, ha ritenuto che il mancato riconoscimento dei diritti invocati non comportasse una discriminazione rispetto alle coppie fondate sul matrimonio civile, in quanto la tutela della famiglia legittima risponde ad un interesse pubblico. Tale conclusione appare paradossale visto l’orientamento tenuto dalla Corte rispetto al riconoscimento di un diritto analogo al partner di una unione tra persone dello stesso sesso. Parafrasando Orwell, alcune famiglie sono più uguali di altre?
Tags
IL MIO AVVOCATO