Corte europea, violenza domestica: quando le minacce continuano

di Maria Teresa Lattarulo
Una recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ha riguardato un caso di violenza domestica e si segnala perché ha ampliato la tutela delle donne dai casi di violenza attuale a quelli di semplice minaccia. Si tratta della pronunzia Hajduová c. Slovacchia nella quale la ricorrente lamentava di aver subito aggressioni sia verbali che fisiche da parte di A., suo ex marito. Piuttosto che imporre una pena detentiva, il giudice aveva ordinato, come raccomandato dagli esperti, che A. fosse trattenuto per un trattamento psichiatrico in quanto affetto da un grave disturbo di personalità.
L'ospedale non aveva però effettuato il trattamento di cui egli aveva bisogno, né la Corte distrettuale aveva verificato che la sentenza fosse eseguita. Al momento del rilascio, A. rinnovava le sue minacce contro la sig.ra Hajduová e il suo avvocato che presentavano nuove denunce penali e informavano la Corte distrettuale di conseguenza. In seguito a tale episodio, A. veniva arrestato dalla polizia e accusato di reato e la Corte distrettuale provvedeva finalmente per il suo trattamento psichiatrico in ospedale.
La sig.ra Hajduová ha quindi fatto ricorso alla Corte europea lamentando che la Corte distrettuale non fosse riuscita a garantire che il marito fosse collocato in un ospedale ai fini del trattamento psichiatrico subito dopo la sua detenzione, esponendola alla minaccia di nuove aggressioni che si erano, infatti, verificate, con conseguente violazione del suo diritto al rispetto della sua vita privata e familiare di cui all’art. 8 della Convenzione.
La Corte ha ricordato che dall'articolo 8 discendono obblighi positivi che possono comportare l’adozione di misure che regolino i rapporti degli individui tra di loro.
Essa ha rilevato che il ricorso in questione si distingue dai casi in materia di violenza domestica con conseguente morte (i casi Kontrová c. Slovacchia e Opuz c. Turchia). Le ripetute minacce di A. dopo il suo rilascio dall'ospedale, infatti, non si erano effettivamente concretizzate in atti di violenza fisica. Nonostante ciò, la Corte ha ritenuto che, dati i precedenti di violenza da parte di A., eventuali sue minacce avrebbero suscitato nella ricorrente un fondato timore che potessero essere attuate. Questo, secondo l’opinione della Corte, sarebbe stato sufficiente a pregiudicare l’integrità psico-fisica della ricorrente con conseguente violazione degli obblighi positivi che l’art. 8 impone agli Stati a causa della mancanza di sufficienti misure adottate dalle autorità in reazione al comportamento di A.

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