Libro: Castelli Medievali. Puglia e Basilicata: dai normanni a Federico II e Carlo I d’Angiò
di Maria Teresa Lattarulo
Il libro “Castelli Medievali. Puglia e Basilicata: dai normanni a Federico II e Carlo I d’Angiò”, del prof. Raffaele Licinio, è stato pubblicato in una nuova edizione, CaratteriMobili. Il prof. Licinio, professore ordinario di Storia medievale nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Bari e direttore, dal novembre 2002, del Centro di studi normanno-svevi della stessa Università, legge il fenomeno dei castelli in Puglia da un punto di vista storiografico, a partire dai significati della parola castello. Sul piano letterale castello è diminutivo di castrum che però, fino all’XI-XII sec., vuol dire ancora accampamento. Verso il Mille la parola assume un significato nuovo, quello di borgo fortificato di cui le mura designano l’identità, costituendo la separazione ideale fra città e campagna. Il termine castrum con il significato di castello si attesta verso l’inizio dell’età sveva, fra la fine del XII e il XIII sec. Una prima intensa attività di fortificazione si ebbe in Puglia nel momento in cui i Bizantini ripresero la Puglia dividendola con i Longobardi. I catapani (o catepani), rappresentanti dell’imperatore d’Oriente, decisero, su iniziativa di quest’ultimo, di costruire una linea di borghi fortificati nella Daunia (quali Fiorentino, Draconara e Troia) nel nord della Puglia, per difendere quest’ultima dai Longobardi. La minaccia però non arrivò da nord, ma da sud, con i Normanni.
Questi sono stati definiti dei grandi costruttori di castelli. Come afferma un cronista contemporaneo (XI sec.- inizi XII) i Normanni costruivano castelli sia per difendere le località sia “pro coercendis”, per dominare i luoghi. Il fenomeno dell’“incastellamento” dal punto di vista storico rappresenta un motore di sviluppo: si garantiva infatti alla località fortificata sicurezza rispetto a fenomeni quali il banditismo e le razzie e si consentiva ai contadini di sviluppare le loro attività economiche e di conquistare nuove terre all’agricoltura dando impulso all’economia e allo sviluppo demografico. Non è solo un fenomeno di fortificazione, perché i castelli non servivano solo a operazioni militari, ma avevano molte funzioni.
Dal 1130, quando il normanno Ruggero II fondò il regno di Sicilia e, per garantirsi il potere, tolse ai singoli signori feudali il possesso dei castelli, si aprì la seconda fase dell’incastellamento nella quale non si ebbero più singoli castelli feudali, spesso in lotta l’uno con l’altro, ma c’era un potere centrale, un sovrano che cominciava a prendere in mano le redini dello Stato.
Fino ai Normanni i castelli erano di proprietà o di singoli signori o del sovrano ma non erano ancora un sistema. Il salto di qualità fu opera di Federico II con il quale si ebbe il passaggio da una rete di castelli a un vero e proprio sistema di castelli. Essi, come egli stesso scrisse dando istruzioni ai castellani campani, dovevano funzionare uni ex aliis. Non bastava dunque, per Federico, avere dei castelli per governare: bisognava avere un sistema di castelli che doveva assegnare a ogni castello una funzione in rapporto agli altri. In Puglia vi sono due linee di castelli federiciani, come si può vedere dalle cartine che, nel libro, illustrano il sistema castellario: una che si sviluppa sulla costa (Barletta, Trani e Bari) e una a sud che è scandita dalle località della via traiana (Canne, Canosa, Andria, Corato) e si biforca, con un ramo che giunge a Bari e va verso il Salento e l’altro che tocca Gravina e Gioia. Su questa direttrice si trova Castel del Monte. Tutto questo ha uno scopo: il governo del territorio attraverso la comunicazione e la propaganda. Federico era un personaggio capace di fare politica e voleva che le notizie si trasmettessero “in tempo reale” (secondo una nozione adatta all’epoca) attraverso bandiere, fumi, fani (cioè fuochi). La funzione di Castel del Monte, sulla Murgia, era proprio quella di costituire un anello nella catena di comunicazioni.
Notevole era anche la funzione rappresentativa del potere che però aveva come contraltare la pressione fiscale sui sudditi, tanto da far pronunziare all’anziano funzionario Tommaso di Gaeta le parole: “Pro deo, Domine, habeant intervalla collectae”.
Quando Carlo d’Angiò, nel 1268, divenne sovrano incontrastato del Mezzogiorno, dovendo offrire la ricompensa ai cavalieri che l’avevano aiutato a sconfiggere Manfredi e Corradino, donò loro feudi e castelli. Iniziò la fase del decastellamento che comportò il mutamento di segno dei castelli (non più regi ma feudali), distruggendo l’organico sistema che Federico aveva creato.
Il libro “Castelli Medievali. Puglia e Basilicata: dai normanni a Federico II e Carlo I d’Angiò”, del prof. Raffaele Licinio, è stato pubblicato in una nuova edizione, CaratteriMobili. Il prof. Licinio, professore ordinario di Storia medievale nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Bari e direttore, dal novembre 2002, del Centro di studi normanno-svevi della stessa Università, legge il fenomeno dei castelli in Puglia da un punto di vista storiografico, a partire dai significati della parola castello. Sul piano letterale castello è diminutivo di castrum che però, fino all’XI-XII sec., vuol dire ancora accampamento. Verso il Mille la parola assume un significato nuovo, quello di borgo fortificato di cui le mura designano l’identità, costituendo la separazione ideale fra città e campagna. Il termine castrum con il significato di castello si attesta verso l’inizio dell’età sveva, fra la fine del XII e il XIII sec. Una prima intensa attività di fortificazione si ebbe in Puglia nel momento in cui i Bizantini ripresero la Puglia dividendola con i Longobardi. I catapani (o catepani), rappresentanti dell’imperatore d’Oriente, decisero, su iniziativa di quest’ultimo, di costruire una linea di borghi fortificati nella Daunia (quali Fiorentino, Draconara e Troia) nel nord della Puglia, per difendere quest’ultima dai Longobardi. La minaccia però non arrivò da nord, ma da sud, con i Normanni.
Questi sono stati definiti dei grandi costruttori di castelli. Come afferma un cronista contemporaneo (XI sec.- inizi XII) i Normanni costruivano castelli sia per difendere le località sia “pro coercendis”, per dominare i luoghi. Il fenomeno dell’“incastellamento” dal punto di vista storico rappresenta un motore di sviluppo: si garantiva infatti alla località fortificata sicurezza rispetto a fenomeni quali il banditismo e le razzie e si consentiva ai contadini di sviluppare le loro attività economiche e di conquistare nuove terre all’agricoltura dando impulso all’economia e allo sviluppo demografico. Non è solo un fenomeno di fortificazione, perché i castelli non servivano solo a operazioni militari, ma avevano molte funzioni.
Dal 1130, quando il normanno Ruggero II fondò il regno di Sicilia e, per garantirsi il potere, tolse ai singoli signori feudali il possesso dei castelli, si aprì la seconda fase dell’incastellamento nella quale non si ebbero più singoli castelli feudali, spesso in lotta l’uno con l’altro, ma c’era un potere centrale, un sovrano che cominciava a prendere in mano le redini dello Stato.
Fino ai Normanni i castelli erano di proprietà o di singoli signori o del sovrano ma non erano ancora un sistema. Il salto di qualità fu opera di Federico II con il quale si ebbe il passaggio da una rete di castelli a un vero e proprio sistema di castelli. Essi, come egli stesso scrisse dando istruzioni ai castellani campani, dovevano funzionare uni ex aliis. Non bastava dunque, per Federico, avere dei castelli per governare: bisognava avere un sistema di castelli che doveva assegnare a ogni castello una funzione in rapporto agli altri. In Puglia vi sono due linee di castelli federiciani, come si può vedere dalle cartine che, nel libro, illustrano il sistema castellario: una che si sviluppa sulla costa (Barletta, Trani e Bari) e una a sud che è scandita dalle località della via traiana (Canne, Canosa, Andria, Corato) e si biforca, con un ramo che giunge a Bari e va verso il Salento e l’altro che tocca Gravina e Gioia. Su questa direttrice si trova Castel del Monte. Tutto questo ha uno scopo: il governo del territorio attraverso la comunicazione e la propaganda. Federico era un personaggio capace di fare politica e voleva che le notizie si trasmettessero “in tempo reale” (secondo una nozione adatta all’epoca) attraverso bandiere, fumi, fani (cioè fuochi). La funzione di Castel del Monte, sulla Murgia, era proprio quella di costituire un anello nella catena di comunicazioni.
Notevole era anche la funzione rappresentativa del potere che però aveva come contraltare la pressione fiscale sui sudditi, tanto da far pronunziare all’anziano funzionario Tommaso di Gaeta le parole: “Pro deo, Domine, habeant intervalla collectae”.
Quando Carlo d’Angiò, nel 1268, divenne sovrano incontrastato del Mezzogiorno, dovendo offrire la ricompensa ai cavalieri che l’avevano aiutato a sconfiggere Manfredi e Corradino, donò loro feudi e castelli. Iniziò la fase del decastellamento che comportò il mutamento di segno dei castelli (non più regi ma feudali), distruggendo l’organico sistema che Federico aveva creato.
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