Storia: Medioevo, sfatiamo alcuni stereotipi

di Maria Teresa Lattarulo
Il primo dicembre si è tenuto presso la libreria Laterza, nell’ambito dei mercoledì con la storia, un nuovo incontro con il medievista italiano prof. Giuseppe Sergi che si occupa anche di didattica e dei problemi legati all’uso sociale delle conoscenze storiche ed è autore del libro “Antidoti all’abuso della storia. Medioevo, medievisti, smentite”. I mercoledì con la storia, un’iniziativa volta a far fronte alla richiesta di storia che c’è nel nostro territorio, intendono infatti presentare l’immagine che si ha della storia nel mondo degli studiosi, della letteratura, della scuola e del giornalismo (si veda l’articolo: “Letteratura: l’influenza di Corradino di Svevia, l’ultimo degli Svevi”, del 23 novembre).

IL MITO DELLA PIRAMIDE FEUDALE - Il prof. Sergi ha innanzitutto sfatato il mito della piramide feudale. Si pensa che la società feudale fosse organizzata gerarchicamente: in realtà si tratta di un’immagine sbagliata che ci deriva probabilmente, oltre che da una insopprimibile tendenza alla semplificazione dei saperi, da una operazione mistificante degli studiosi successivi. Sarebbero stati gli storici della Rivoluzione francese che, allo scopo di sottolineare la novità dell’era rivoluzionaria, l’avrebbero dipinta come il superamento di pretesi vincoli feudali che, in realtà, caratterizzavano più la società dell’Antico regime che quella medievale. Tale stereotipo sarebbe stato enfatizzato, nel Novecento, dagli storici del diritto che, non potendo concepire forme spontanee di potere, diedero della società medievale un’immagine che umiliava del tutto la capacità di costruzione dal basso che avevano avuto i poteri in quei secoli.

LA BATTAGLIA DI POITIERS - La smentita dell’importanza della battaglia di Poitiers, secondo il prof. Sergi, è ancora meno oziosa della smentita della piramide feudale. L’esaltazione di Poitiers è dovuta infatti alla paura del diverso: secondo la versione tramandataci a Poitiers, con la vittoria di Carlo Martello, si sarebbe fermata l’avanzata dell’Islam in Europa. In realtà Poitiers, come ha dimostrato anche l’arabista Lewis, è stata niente più che “una scaramuccia come tante altre”. Poitiers rappresenta l’accedere della storiografia moderna a quella che fu una forma di propaganda quasi immediata dei cronisti di area carolingia che volevano “accentuare i tassi di legittimazione di una dinastia di usurpatori” quali i carolingi. In questa versione mistificante dei fatti fornitaci dagli storici dell’epoca siamo caduti per secoli, con motivazioni diverse da quelle originarie: per poter tramandare cioè, in funzione anti-islamica, quello che sarebbe diventato uno dei più grandi miti della società occidentale.

L'IDENTITA' COLLETTIVA - La ragione che conduce alla visione deformante, ovvero alla “decostruzione” del medioevo sarebbe proprio, secondo il prof. Sergi, tale “ricerca ossessiva dell’identità collettiva”. Ne è un altro esempio il mito di Guglielmo Tell, intorno al quale si è formata l’ identità collettiva degli svizzeri e che non è mai esistito. Anzi, come è stato dimostrato, il materiale mitologico della mela, dell’arco e della freccia attraversa tutta la parte centrale dell’Europa, dalla Scandinavia fino a sud: tale ricerca dei punti di sedimentazione dei miti è di eccezionale interesse, perché impedisce che una singola comunità si appropri di un mito.

NO ALLA STRUMENTALIZZAZIONE POLITICA - L’uso politico, o comunque la strumentalizzazione, è il principale nemico della storia. Già Le Goff ha parlato della differenza esistente fra il concetto di storia e quello di memoria; pertanto, se si ha a cuore la ricerca della verità, la storia non deve servire, come comunemente si afferma, alla conservazione della memoria collettiva, ha dichiarato provocatoriamente il prof. Sergi che deplora la distorsività delle grandi opere di sintesi ed afferma che compito dei medievisti è diventare dei “professionisti della smentita”.
La storiografia non può essere, come afferma il decostruzionista americano Hayden White, una mera operazione retorica che fa a meno del rigore e della tensione filologica verso i fatti: se è illusorio pensare di ricostruire la verità, è però compito etico, secondo il prof. Sergi, fare di tutto per avvicinarvisi.

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