di Luigi Bramato
Abbandono la platea del Kursaal Santa Lucia, confuso tra la folla. Mi fermo, ho bisogno di riflettere. Rileggo i miei appunti, nel tentativo di riannodare ogni pensiero. Ma è difficile. Subisco la magia del sul fascino, vestito del francese più raffinato mentre il deserto d’Africa riecheggia il suo nome: Claudia Cardinale. Tutto in lei profuma di bellezza. I suoi ricordi, il suo sorriso. E la sua voce, così profonda e dolcissima. Stregato, scivolo nella gimcana della sua carriera. Come nel valzer de Il Gattopardo, ogni suo passo nasconde un aneddoto, ogni ricordo un regista, ogni incontro un attore. Il più grande. Sempre. La platea del Kursaal Santa Lucia, avvolta in un magico silenzio, contempla commossa la sua bellezza. Nel fumo delle sigarette, madame Cardinale conversa con il pubblico, il suo. Intanto Enrico Magrelli, accanto a lei, ripercorre la storia del cinema italiano. Forse non se ne accorge. Ma ci riesce meravigliosamente.
D. Più che una lezione, la nostra vuol essere una chiacchierata sul cinema. Con una delle sue più celebri protagoniste. Riassumere in poche battute i suoi cinquant’anni di carriera non è solo difficile. È impossibile. Meglio partire dall’inizio, allora. Dal quel suo primo provino.
R. È un ricordo molto buffo. Ero poco più che adolescente, e non parlavo una parola di italiano. Ma i professori del Centro Sperimentale di Roma non lo sapevano. E quando si interrogarono fra loro di quel mio apparente illogico mutismo, mi arrabbiai a tal punto da piantarli in asso, sbattendo la porta. Alla fine seppi che mi promossero per il “temperamento”.
D. Un temperamento che ha mantenuto nel tempo. Ostinata, controcorrente. Perfino selvaggia.
R. Si, è vero. Il nostro è un mestiere molto complesso. Non bisogna dar segno di debolezza. Mai. Altrimenti perdi la tua personalità , che è la cosa più importante.
D. Con Alberto Sordi ha girato molte pellicole. “Bello, onesto, emigrato…”, “Nell’anno del signore”, “Il comune senso del pudore”. Che ricordo ha di Sordi?
R. Con lui era difficile trattenere le risate. “Bello, onesto, emigrato…” lo girammo in Australia. C’era una comunità di italiani che volle a tutti i costi baciarci e toccarci. “Così tocchiamo un pezzo d’Italia” dicevano. “Nell’anno del Signore” è stato un altro film importante e di grande successo. Ricordo che i cinema di Roma dovettero prolungare l’orario di apertura, tanta era l’affluenza del pubblico.
D. Un altro grande del nostro cinema con cui ha lavorato è stato Marcello Mastroianni.
R. Lavorare con Marcello è stata un’esperienza dolcissima. Lui è stato sempre un po’ innamorato di me. Io, però, non sono mai caduta. Insieme a lui abbiamo girato “Enrico IV”, “Otto e mezzo”, “I soliti ignoti”, “La pelle” di Liliana Cavani. È stato un grande attore. Forse il più grande.
D. Nel 1982 girò in Amazzonia il film “Fiztcarraldo” diretto da Werner Herzog.
R. La più bella avventura della mia vita. Un posto meraviglioso, anche se pericoloso. Ricordo che non potevano avvicinarci alle acque dei fiumi perché infestate di animali pericolosissimi. Ma eravamo circondati da piante e colori indimenticabili. Poco tempo fa, hanno inaugurato in Amazzoni a il primo festival del cinema. Mi hanno chiamato per presiederlo. E io ci sono andata. Solo, ho dovuto ballare per due ore insieme agli indios, completamente nudi. Con me c’era anche Roman Polansky.
D. Cosa vuol dire, per lei, essere attrice?
R. Vuol dire vivere molte vite. Cambiare lo sguardo, i gesti, perfino i costumi. Lasciarsi trasformare senza però mai confondersi col personaggio rappresentato. E, soprattutto, saper ascoltare il proprio regista. Io ho avuto la fortuna di lavorare con i più bravi. Penso a Pietro Germi o Marco Ferreri, a Pasquale Squittieri, Luigi Comencini, Mario Monicelli. Senza, ovviamente, dimenticare Luchino Visconti.
D. Cosa ricorda di lui?
R. Luchino era un uomo di grande cultura. Poteva parlare di ogni cosa, con egual fascino. Aveva il vezzo di preparare i suoi film come fossero lavori teatrali: ci sedevamo attorno ad un tavolo, ripetevamo le parti, le interpretavamo e poi via, si partiva con le riprese. Un grandissimo talento.
D. Chi è, oggi, Claudia Cardinale?
R. È una donna che lavora molto. Soprattutto all’estero. Viaggia, riflette, ricorda. Una donna che guarda al futuro. Sempre. Non a caso, i miei ultimi registi sono tutti giovani esordienti. Confido molto in loro. Ogni tanto, poi, capita di ascoltare qualche vecchio amico, come Alan Delon o Jean Paul Belmondo, e ridere insieme del passato.
D. Più italiana o più francese?
R. Io ho una natura multiculturale. Tunisi è la città in cui sono nata. La Francia mi ha dato la lingua. E l’Italia la cultura.
(Intervista tratta dalla conversazione tra l'attrice, Claudia Cardinale, e Enrico Magrelli)
Abbandono la platea del Kursaal Santa Lucia, confuso tra la folla. Mi fermo, ho bisogno di riflettere. Rileggo i miei appunti, nel tentativo di riannodare ogni pensiero. Ma è difficile. Subisco la magia del sul fascino, vestito del francese più raffinato mentre il deserto d’Africa riecheggia il suo nome: Claudia Cardinale. Tutto in lei profuma di bellezza. I suoi ricordi, il suo sorriso. E la sua voce, così profonda e dolcissima. Stregato, scivolo nella gimcana della sua carriera. Come nel valzer de Il Gattopardo, ogni suo passo nasconde un aneddoto, ogni ricordo un regista, ogni incontro un attore. Il più grande. Sempre. La platea del Kursaal Santa Lucia, avvolta in un magico silenzio, contempla commossa la sua bellezza. Nel fumo delle sigarette, madame Cardinale conversa con il pubblico, il suo. Intanto Enrico Magrelli, accanto a lei, ripercorre la storia del cinema italiano. Forse non se ne accorge. Ma ci riesce meravigliosamente.
D. Più che una lezione, la nostra vuol essere una chiacchierata sul cinema. Con una delle sue più celebri protagoniste. Riassumere in poche battute i suoi cinquant’anni di carriera non è solo difficile. È impossibile. Meglio partire dall’inizio, allora. Dal quel suo primo provino.
R. È un ricordo molto buffo. Ero poco più che adolescente, e non parlavo una parola di italiano. Ma i professori del Centro Sperimentale di Roma non lo sapevano. E quando si interrogarono fra loro di quel mio apparente illogico mutismo, mi arrabbiai a tal punto da piantarli in asso, sbattendo la porta. Alla fine seppi che mi promossero per il “temperamento”.
D. Un temperamento che ha mantenuto nel tempo. Ostinata, controcorrente. Perfino selvaggia.
R. Si, è vero. Il nostro è un mestiere molto complesso. Non bisogna dar segno di debolezza. Mai. Altrimenti perdi la tua personalità , che è la cosa più importante.
D. Con Alberto Sordi ha girato molte pellicole. “Bello, onesto, emigrato…”, “Nell’anno del signore”, “Il comune senso del pudore”. Che ricordo ha di Sordi?
R. Con lui era difficile trattenere le risate. “Bello, onesto, emigrato…” lo girammo in Australia. C’era una comunità di italiani che volle a tutti i costi baciarci e toccarci. “Così tocchiamo un pezzo d’Italia” dicevano. “Nell’anno del Signore” è stato un altro film importante e di grande successo. Ricordo che i cinema di Roma dovettero prolungare l’orario di apertura, tanta era l’affluenza del pubblico.
D. Un altro grande del nostro cinema con cui ha lavorato è stato Marcello Mastroianni.
R. Lavorare con Marcello è stata un’esperienza dolcissima. Lui è stato sempre un po’ innamorato di me. Io, però, non sono mai caduta. Insieme a lui abbiamo girato “Enrico IV”, “Otto e mezzo”, “I soliti ignoti”, “La pelle” di Liliana Cavani. È stato un grande attore. Forse il più grande.
D. Nel 1982 girò in Amazzonia il film “Fiztcarraldo” diretto da Werner Herzog.
R. La più bella avventura della mia vita. Un posto meraviglioso, anche se pericoloso. Ricordo che non potevano avvicinarci alle acque dei fiumi perché infestate di animali pericolosissimi. Ma eravamo circondati da piante e colori indimenticabili. Poco tempo fa, hanno inaugurato in Amazzoni a il primo festival del cinema. Mi hanno chiamato per presiederlo. E io ci sono andata. Solo, ho dovuto ballare per due ore insieme agli indios, completamente nudi. Con me c’era anche Roman Polansky.
D. Cosa vuol dire, per lei, essere attrice?
R. Vuol dire vivere molte vite. Cambiare lo sguardo, i gesti, perfino i costumi. Lasciarsi trasformare senza però mai confondersi col personaggio rappresentato. E, soprattutto, saper ascoltare il proprio regista. Io ho avuto la fortuna di lavorare con i più bravi. Penso a Pietro Germi o Marco Ferreri, a Pasquale Squittieri, Luigi Comencini, Mario Monicelli. Senza, ovviamente, dimenticare Luchino Visconti.
D. Cosa ricorda di lui?
R. Luchino era un uomo di grande cultura. Poteva parlare di ogni cosa, con egual fascino. Aveva il vezzo di preparare i suoi film come fossero lavori teatrali: ci sedevamo attorno ad un tavolo, ripetevamo le parti, le interpretavamo e poi via, si partiva con le riprese. Un grandissimo talento.
D. Chi è, oggi, Claudia Cardinale?
R. È una donna che lavora molto. Soprattutto all’estero. Viaggia, riflette, ricorda. Una donna che guarda al futuro. Sempre. Non a caso, i miei ultimi registi sono tutti giovani esordienti. Confido molto in loro. Ogni tanto, poi, capita di ascoltare qualche vecchio amico, come Alan Delon o Jean Paul Belmondo, e ridere insieme del passato.
D. Più italiana o più francese?
R. Io ho una natura multiculturale. Tunisi è la città in cui sono nata. La Francia mi ha dato la lingua. E l’Italia la cultura.
(Intervista tratta dalla conversazione tra l'attrice, Claudia Cardinale, e Enrico Magrelli)