Ragionevole durata dei processi: interviene la Corte europea
di Maria Teresa Lattarulo
Il problema endemico della ragionevole durata dei processi nel nostro ordinamento ha dato luogo a ben 475 condanne nei confronti dell’Italia pronunciate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo con un’unica sentenza che ha riunito tutti i ricorsi: la decisione Gaglione e altri c. Italia. A parte il dato rilevante costituito dall’elevato numero di condanne simultanee, la sentenza si segnala anche per il fatto che costituisce una condanna per irragionevole durata “al quadrato”: difatti i ricorrenti lamentavano l’eccessiva durata del procedimento che, in base alla c.d. legge Pinto, avrebbe dovuto fornire una riparazione … all’eccessiva durata dei propri giudizi di merito! In particolare, essi lamentavano un ritardo nel pagamento della riparazione che oscillava tra i 9 e i 49 mesi dal deposito in cancelleria delle decisioni fondate sulla legge Pinto. Inoltre, in quasi il 65% dei ricorsi il ritardo era uguale o superiore a diciannove mesi.
La Corte ha ricordato che il diritto a un giudice, ai sensi dell’art. 6 § 1, include il diritto all’esecuzione di una sentenza definitiva e vincolante e che l'esecuzione deve essere considerata parte del "processo".
Essa ha poi ribadito una precedente giurisprudenza per la quale, se è accettabile che le autorità abbiano bisogno di un certo periodo di tempo per effettuare un pagamento, tuttavia, trattandosi di un rimedio compensativo per riparare le conseguenze della eccessiva durata dei procedimenti, questo lasso di tempo non dovrebbe generalmente superare i sei mesi dal momento in cui la decisione di concedere il risarcimento diventa esecutiva. Inoltre, l'autorità statale non può addurre la mancanza di risorse per non onorare un debito fondato su una decisione giurisdizionale.
La Corte ha rilevato che il periodo di sei mesi dal momento in cui le decisioni risarcitorie erano diventate vincolanti era stato quindi ampiamente superato, con conseguente violazione dell’art. 6 § 1 della Convenzione.
Nella sentenza si sottolinea il carattere strutturale dell’inadempimento, rilevando come, al 7 dicembre 2010, pendano più di tremilanovecento ricorsi contro l’Italia per ritardo nella esecuzione delle decisioni di condanna ai sensi della legge Pinto. Questa situazione, secondo la Corte, rischia di paralizzare il suo stesso funzionamento e l’intero meccanismo di garanzia della Convenzione europea. Di qui l’appello al Governo italiano a modificare la legge Pinto per renderla più efficace e a prevedere stanziamenti di bilancio adeguati per il pagamento della indennità.
Se si pensa che le somme pagate a titolo di indennizzo ai sensi della legge Pinto sono passate da 3.873.427 euro nel 2002 a più di 81.000.000 euro al 31 dicembre 2008, appare particolarmente urgente una riforma dell’ordinamento giudiziario che assicuri una ragionevole durata dei giudizi di merito non solo per tutelare il diritto alla tutela giurisdizionale, ma anche per evitare un aumento considerevole della spesa pubblica che potrebbe rischiare di creare una situazione di crisi.
Il problema endemico della ragionevole durata dei processi nel nostro ordinamento ha dato luogo a ben 475 condanne nei confronti dell’Italia pronunciate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo con un’unica sentenza che ha riunito tutti i ricorsi: la decisione Gaglione e altri c. Italia. A parte il dato rilevante costituito dall’elevato numero di condanne simultanee, la sentenza si segnala anche per il fatto che costituisce una condanna per irragionevole durata “al quadrato”: difatti i ricorrenti lamentavano l’eccessiva durata del procedimento che, in base alla c.d. legge Pinto, avrebbe dovuto fornire una riparazione … all’eccessiva durata dei propri giudizi di merito! In particolare, essi lamentavano un ritardo nel pagamento della riparazione che oscillava tra i 9 e i 49 mesi dal deposito in cancelleria delle decisioni fondate sulla legge Pinto. Inoltre, in quasi il 65% dei ricorsi il ritardo era uguale o superiore a diciannove mesi.
La Corte ha ricordato che il diritto a un giudice, ai sensi dell’art. 6 § 1, include il diritto all’esecuzione di una sentenza definitiva e vincolante e che l'esecuzione deve essere considerata parte del "processo".
Essa ha poi ribadito una precedente giurisprudenza per la quale, se è accettabile che le autorità abbiano bisogno di un certo periodo di tempo per effettuare un pagamento, tuttavia, trattandosi di un rimedio compensativo per riparare le conseguenze della eccessiva durata dei procedimenti, questo lasso di tempo non dovrebbe generalmente superare i sei mesi dal momento in cui la decisione di concedere il risarcimento diventa esecutiva. Inoltre, l'autorità statale non può addurre la mancanza di risorse per non onorare un debito fondato su una decisione giurisdizionale.
La Corte ha rilevato che il periodo di sei mesi dal momento in cui le decisioni risarcitorie erano diventate vincolanti era stato quindi ampiamente superato, con conseguente violazione dell’art. 6 § 1 della Convenzione.
Nella sentenza si sottolinea il carattere strutturale dell’inadempimento, rilevando come, al 7 dicembre 2010, pendano più di tremilanovecento ricorsi contro l’Italia per ritardo nella esecuzione delle decisioni di condanna ai sensi della legge Pinto. Questa situazione, secondo la Corte, rischia di paralizzare il suo stesso funzionamento e l’intero meccanismo di garanzia della Convenzione europea. Di qui l’appello al Governo italiano a modificare la legge Pinto per renderla più efficace e a prevedere stanziamenti di bilancio adeguati per il pagamento della indennità.
Se si pensa che le somme pagate a titolo di indennizzo ai sensi della legge Pinto sono passate da 3.873.427 euro nel 2002 a più di 81.000.000 euro al 31 dicembre 2008, appare particolarmente urgente una riforma dell’ordinamento giudiziario che assicuri una ragionevole durata dei giudizi di merito non solo per tutelare il diritto alla tutela giurisdizionale, ma anche per evitare un aumento considerevole della spesa pubblica che potrebbe rischiare di creare una situazione di crisi.
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