di Nicola Ricchitelli
Uno scherzo per dimostrare quanto sia facile ingannare i sistemi di informazione. Tutto sarebbe dovuto accadere ad Andria in occasione del tour pugliese in programma la prossima primavera da parte del presidente della camera Gianfranco Fini. Un attentato, per l’appunto, organizzato in collaborazione con la mala andriese ai danni del leader di Futuro e libertà , per poi far ricadere la colpa sul Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. C’è solo un dettaglio non trascurabile: in tutta questa storia di vero non c’è nulla, se non che è stata messa su da un imprenditore andriese operante nel campo vinicolo e olivinicolo, il quarantaquattrenne Emanuele Catino.
L’ammissione è avvenuta propria sulle pagine della Gazzetta del Mezzogiorno tramite la penna di Gianpaolo Balsamo. Sarebbe dunque Emanuele Catino, candidato nelle scorse comunali andriesi, ad aver architettato il racconto circa il fantomatico attentato, con il fine ultimo di mettere alla berlina l’intero sistema di informazione per dimostrare come sia semplice montare un caso giornalistico da informazioni non veritiere e non verificate.
Tutto avrebbe avuto inizio lo scorso 13 dicembre a Milano, quando l’imprenditore andriese incontrò il direttore di Libero Maurizio Belpietro nel bar “Tre Marie” nelle vicinanze della redazione del quotidiano. "Andai nel capoluogo lombardo a mie spese e non pretesi alcun rimborso. Dissi al direttore che c’era la possibilità di un eventuale attentato nei confronti del presidente Fini. La notizia io l’avevo appresa da un parente del killer immaginario. In ogni caso, aggiunsi, l’attentato si sarebbe dovuto attuare nel caso in cui Berlusconi non avesse ottenuto la fiducia in Parlamento il 14 dicembre, giorno successivo al nostro incontro. Parlando con Belpietro, gli dissi che tutto questo doveva servire solo ed esclusivamente a buttare fango contro il premier, perché l’attentatore, dietro compenso di 200mila euro, avrebbe poi dovuto riferire che sarebbe stato assoldato da gente vicina agli ambienti di destra e di Berlusconi".
La rivelazione fa presa sul direttore di Libero che però attende due settimane per pubblicarla sul suo giornale. Successivamente Emanuele Catino fu identificato e ascoltato dalla Digos di Bari che dal procuratore capo del tribunale barese, Antonio Laudati.
Insomma, una lezione ai media, un gesto fatto perché: "Perché l’ho fatto? Perché sono stanco di leggere quotidianamente notizie su gran parte delle testate giornalistiche che mirano a destabilizzare il presidente Silvio Berlusconi. Ho ritenuto di mostrare quanto sia facile montare un caso giornalistico e ingenerare nell’opinione pubblica diffidenza, sconcerto e alle volte anche odio nei confronti di questa persona. Avrei potuto anche continuare a sostenere che dietro l’attentato ci potessero essere destra o sinistra, generando altri allarmi".
Uno scherzo per dimostrare quanto sia facile ingannare i sistemi di informazione. Tutto sarebbe dovuto accadere ad Andria in occasione del tour pugliese in programma la prossima primavera da parte del presidente della camera Gianfranco Fini. Un attentato, per l’appunto, organizzato in collaborazione con la mala andriese ai danni del leader di Futuro e libertà , per poi far ricadere la colpa sul Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. C’è solo un dettaglio non trascurabile: in tutta questa storia di vero non c’è nulla, se non che è stata messa su da un imprenditore andriese operante nel campo vinicolo e olivinicolo, il quarantaquattrenne Emanuele Catino.
L’ammissione è avvenuta propria sulle pagine della Gazzetta del Mezzogiorno tramite la penna di Gianpaolo Balsamo. Sarebbe dunque Emanuele Catino, candidato nelle scorse comunali andriesi, ad aver architettato il racconto circa il fantomatico attentato, con il fine ultimo di mettere alla berlina l’intero sistema di informazione per dimostrare come sia semplice montare un caso giornalistico da informazioni non veritiere e non verificate.
Tutto avrebbe avuto inizio lo scorso 13 dicembre a Milano, quando l’imprenditore andriese incontrò il direttore di Libero Maurizio Belpietro nel bar “Tre Marie” nelle vicinanze della redazione del quotidiano. "Andai nel capoluogo lombardo a mie spese e non pretesi alcun rimborso. Dissi al direttore che c’era la possibilità di un eventuale attentato nei confronti del presidente Fini. La notizia io l’avevo appresa da un parente del killer immaginario. In ogni caso, aggiunsi, l’attentato si sarebbe dovuto attuare nel caso in cui Berlusconi non avesse ottenuto la fiducia in Parlamento il 14 dicembre, giorno successivo al nostro incontro. Parlando con Belpietro, gli dissi che tutto questo doveva servire solo ed esclusivamente a buttare fango contro il premier, perché l’attentatore, dietro compenso di 200mila euro, avrebbe poi dovuto riferire che sarebbe stato assoldato da gente vicina agli ambienti di destra e di Berlusconi".
La rivelazione fa presa sul direttore di Libero che però attende due settimane per pubblicarla sul suo giornale. Successivamente Emanuele Catino fu identificato e ascoltato dalla Digos di Bari che dal procuratore capo del tribunale barese, Antonio Laudati.
Insomma, una lezione ai media, un gesto fatto perché: "Perché l’ho fatto? Perché sono stanco di leggere quotidianamente notizie su gran parte delle testate giornalistiche che mirano a destabilizzare il presidente Silvio Berlusconi. Ho ritenuto di mostrare quanto sia facile montare un caso giornalistico e ingenerare nell’opinione pubblica diffidenza, sconcerto e alle volte anche odio nei confronti di questa persona. Avrei potuto anche continuare a sostenere che dietro l’attentato ci potessero essere destra o sinistra, generando altri allarmi".