di Maria Teresa Lattarulo
Un “papa laico”: così è stato definito, per la sua autorevolezza che lo sollevava al di sopra delle polemiche culturali, Benedetto Croce. Su questo insigne storico della cultura, come è stato definito da Eugenio Garin nel suo libro: “Intellettuali italiani del XX secolo”, si è tenuto il 31 gennaio, presso la sala consiliare del Comune di Bari, un incontro con il prof. Pasquale Martino che si colloca all’interno di una serie di presentazioni di libri e seminari in occasione dei centocinquant’anni dall’Unità d’Italia.
Croce è un esponente, ha spiegato il prof. Martino, della generazione post-risorgimentale che operava tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento. Questa generazione, attraverso l’interpretazione del processo dell’unificazione e del ruolo che in esso aveva svolto il Meridione, stava traendo un primo bilancio del processo unitario ancora in costruzione. Nell’ottica di Benedetto Croce il ruolo del Sud riguarda soprattutto la cultura e gli intellettuali. Le considerazioni di Croce sono disseminate in molte delle sue tantissime opere, ma soprattutto nella Storia del Regno di Napoli, pubblicata nel 1925.
Sono anni cruciali della storia d’Italia, perché sono gli anni dell’inizio della fascistizzazione. Il regime stava per crollare sotto l’ondata di sdegno del delitto Matteotti, ma successivamente avrebbe rafforzato la sua posizione. Croce era già una personalità egemone della cultura italiana (sono state usate espressioni come “dittatura culturale”, per la capacità di permeare con le proprie idee non soltanto il proprio campo, ma anche quello altrui; Gramsci lo definisce “leader nazionale del liberalismo”). La sua posizione si muove, ha spiegato il prof. Martino, fra un conservatorismo illuminato e un centro aperto verso sinistra che cerca di interpretare anche le istanze nuove poste dal socialismo. Sul piano filosofico, è un esponente della rinascita idealista che critica il positivismo in quanto religione della scienza. In questa operazione culturale ha un compagno di elaborazione filosofica in Giovanni Gentile che coinvolge subito nel progetto della sua rivista, “La Critica”, del 1904. Croce si dedica alla critica letteraria e alla filosofia dell’arte, l’estetica: proprio la critica letteraria l’ha reso popolare. Ha pubblicato il Breviario di estetica, incentrato sulla distinzione fondamentale fra poesia che è intuizione, liricità , e non-poesia.
Nella Storia del Regno di Napoli Croce individua le forze che resistevano ai processi di unificazione nelle forze del feudalesimo. Egli ritiene che le varie monarchie si siano battute contro il peso di arretratezza insito nel particolarismo feudale e abbiano svolto una funzione unificatrice, anche sul piano culturale, e attribuisce questo ruolo ai Borboni del 1700. La monarchia dei Borboni sarebbe stata una monarchia progressiva che avrebbe consentito l’evoluzione della cultura. Esemplificative sono la scuola giuridica napoletana che definì quali fossero le prerogative dello Stato di diritto, demistificando i presunti diritti del feudalesimo, ma anche filosofi, come Vico e Campanella, che costituirono le prime espressioni del pensiero laico e antidogmatico. Il 1799, anno della Rivoluzione napoletana, sarebbe stato anche l’anno della rottura tra monarchia e borghesia progressiva: la monarchia borbonica, da quel momento in poi, avrebbe deciso di collocarsi su posizioni di reazione, mentre il Piemonte, che era retto, nel Settecento, da una monarchia oscurantista, sarebbe stato però mosso nell’Ottocento da un desiderio di espansione che avrebbe contribuito al processo di unificazione.
Nel 1925 Gentile e Croce si schierano su posizioni contrapposte: il primo promuove il Manifesto degli intellettuali fascisti che ebbe la firma di Marinetti e dei futuristi, mentre al secondo viene chiesto di promuovere il manifesto degli intellettuali antifascisti che fu sottoscritto da autori quali Montale e di Palazzeschi. Lo scontro diventa frontale, anche se per Gentile è impossibile scindere cultura e politica, mentre per Croce la cultura è al di sopra della politica. Con la caduta del fascismo “si consuma”, ha concluso il prof. Martino, “il destino parallelo e contrastante di Croce e Gentile”: Gentile cadde ferito a colpi di pistola dai partigiani di fronte a casa sua, mentre Croce, a Bari, presiedette il primo congresso dell’Italia libera. “E’ la nuova Italia che fa rinascere quella vecchia”, l’Italia liberale che era prima della parentesi fascista e che non aveva mai cessato di esistere.
Un “papa laico”: così è stato definito, per la sua autorevolezza che lo sollevava al di sopra delle polemiche culturali, Benedetto Croce. Su questo insigne storico della cultura, come è stato definito da Eugenio Garin nel suo libro: “Intellettuali italiani del XX secolo”, si è tenuto il 31 gennaio, presso la sala consiliare del Comune di Bari, un incontro con il prof. Pasquale Martino che si colloca all’interno di una serie di presentazioni di libri e seminari in occasione dei centocinquant’anni dall’Unità d’Italia.
Croce è un esponente, ha spiegato il prof. Martino, della generazione post-risorgimentale che operava tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento. Questa generazione, attraverso l’interpretazione del processo dell’unificazione e del ruolo che in esso aveva svolto il Meridione, stava traendo un primo bilancio del processo unitario ancora in costruzione. Nell’ottica di Benedetto Croce il ruolo del Sud riguarda soprattutto la cultura e gli intellettuali. Le considerazioni di Croce sono disseminate in molte delle sue tantissime opere, ma soprattutto nella Storia del Regno di Napoli, pubblicata nel 1925.
Sono anni cruciali della storia d’Italia, perché sono gli anni dell’inizio della fascistizzazione. Il regime stava per crollare sotto l’ondata di sdegno del delitto Matteotti, ma successivamente avrebbe rafforzato la sua posizione. Croce era già una personalità egemone della cultura italiana (sono state usate espressioni come “dittatura culturale”, per la capacità di permeare con le proprie idee non soltanto il proprio campo, ma anche quello altrui; Gramsci lo definisce “leader nazionale del liberalismo”). La sua posizione si muove, ha spiegato il prof. Martino, fra un conservatorismo illuminato e un centro aperto verso sinistra che cerca di interpretare anche le istanze nuove poste dal socialismo. Sul piano filosofico, è un esponente della rinascita idealista che critica il positivismo in quanto religione della scienza. In questa operazione culturale ha un compagno di elaborazione filosofica in Giovanni Gentile che coinvolge subito nel progetto della sua rivista, “La Critica”, del 1904. Croce si dedica alla critica letteraria e alla filosofia dell’arte, l’estetica: proprio la critica letteraria l’ha reso popolare. Ha pubblicato il Breviario di estetica, incentrato sulla distinzione fondamentale fra poesia che è intuizione, liricità , e non-poesia.
Nella Storia del Regno di Napoli Croce individua le forze che resistevano ai processi di unificazione nelle forze del feudalesimo. Egli ritiene che le varie monarchie si siano battute contro il peso di arretratezza insito nel particolarismo feudale e abbiano svolto una funzione unificatrice, anche sul piano culturale, e attribuisce questo ruolo ai Borboni del 1700. La monarchia dei Borboni sarebbe stata una monarchia progressiva che avrebbe consentito l’evoluzione della cultura. Esemplificative sono la scuola giuridica napoletana che definì quali fossero le prerogative dello Stato di diritto, demistificando i presunti diritti del feudalesimo, ma anche filosofi, come Vico e Campanella, che costituirono le prime espressioni del pensiero laico e antidogmatico. Il 1799, anno della Rivoluzione napoletana, sarebbe stato anche l’anno della rottura tra monarchia e borghesia progressiva: la monarchia borbonica, da quel momento in poi, avrebbe deciso di collocarsi su posizioni di reazione, mentre il Piemonte, che era retto, nel Settecento, da una monarchia oscurantista, sarebbe stato però mosso nell’Ottocento da un desiderio di espansione che avrebbe contribuito al processo di unificazione.
Nel 1925 Gentile e Croce si schierano su posizioni contrapposte: il primo promuove il Manifesto degli intellettuali fascisti che ebbe la firma di Marinetti e dei futuristi, mentre al secondo viene chiesto di promuovere il manifesto degli intellettuali antifascisti che fu sottoscritto da autori quali Montale e di Palazzeschi. Lo scontro diventa frontale, anche se per Gentile è impossibile scindere cultura e politica, mentre per Croce la cultura è al di sopra della politica. Con la caduta del fascismo “si consuma”, ha concluso il prof. Martino, “il destino parallelo e contrastante di Croce e Gentile”: Gentile cadde ferito a colpi di pistola dai partigiani di fronte a casa sua, mentre Croce, a Bari, presiedette il primo congresso dell’Italia libera. “E’ la nuova Italia che fa rinascere quella vecchia”, l’Italia liberale che era prima della parentesi fascista e che non aveva mai cessato di esistere.