ALTAMURA (BA). Nella mattinata odierna, a soli quattro mesi di distanza dal maxi sequestro di dieci milioni di euro nei confronti del clan Mangione di Gravina, i Carabinieri della Compagnia di Altamura, supportati dai colleghi di Matera, Cosenza, Monfalcone (Go) e San Donato Milanese, hanno proceduto ad un cospicuo sequestro “antimafia” (applicando il c.d. “pacchetto sicurezza”) di numerosi beni mobili ed immobili, per un valore complessivo pari a circa trenta milioni di euro, in esecuzione di una specifica ordinanza emessa il 22 febbraio 2011 dal Tribunale di Bari – Sezione Misure di Prevenzione. Principale destinatario della misura, scaturita dall’indagine patrimoniale a cui è stato dato il nome “Secondopiano”, è Raffaele Dipalma, 59enne pregiudicato, con precedenti vari, già libero vigilato, già coinvolto nelle note operazioni di polizia denominate “Gravina” e “Canto del Cigno”, che all’epoca dimostrarono chiaramente la sua contiguità con i principali clan mafiosi operanti in Gravina in Puglia e nelle zone limitrofe (Mangione, Gigante, Matera).
L'INDAGINE - L’indagine patrimoniale e finanziaria si inquadra in una ampia attività di contrasto alla locale criminalità organizzata, rivolta soprattutto ad aggredire i patrimoni acquisiti illecitamente dai loro componenti, e in conformità di quelli che sono gli attuali indirizzi che provengono in tal senso dalla Procura della Repubblica di Bari. Gli accertamenti svolti da carabinieri di Altamura e coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bari hanno permesso di appurare che il Dipalma ed i suoi prossimi congiunti, a fronte di modesti redditi dichiarati, risultano essere proprietari, anche attraverso interposte persone fisiche e giuridiche, di 98 cespiti immobiliari (19 terreni edificabili e 79 immobili tra appartamenti, locali commerciali, magazzini ed autorimesse; ubicati nei Comuni sopra indicati), 4 società (due imprese edili, una finanziaria ed una azienda di produzione e vendita materassi), 3 autovetture, depositi bancari presso 8 diversi istituti di credito. Il valore complessivo dei beni da sottoporre a sequestro è stato stimato pari a circa 30 milioni di euro. A nulla sono serviti i tentativi di depistare le autorità attraverso fittizie cessioni di quote societarie a dei prestanome, anche loro destinatari della misura in atto, o i successivi investimenti in altre attività di per sé lecite, investimenti secondo gli inquirenti sono stati effettuati partendo da un patrimonio comunque “inquinato in origine”. È’ stato dimostrato appieno che la sperequazione tra le ufficiali e lecite fonti di reddito attribuibili a Raffaele Dipalma, direttamente o anche indirettamente attraverso i suoi familiari e le società da loro controllate, rispetto all’entità effettiva dei beni nella sua materiale disponibilità, sia direttamente riconducibile, almeno in origine, agli illeciti guadagni derivanti da attività delittuose.
L'INDAGINE - L’indagine patrimoniale e finanziaria si inquadra in una ampia attività di contrasto alla locale criminalità organizzata, rivolta soprattutto ad aggredire i patrimoni acquisiti illecitamente dai loro componenti, e in conformità di quelli che sono gli attuali indirizzi che provengono in tal senso dalla Procura della Repubblica di Bari. Gli accertamenti svolti da carabinieri di Altamura e coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bari hanno permesso di appurare che il Dipalma ed i suoi prossimi congiunti, a fronte di modesti redditi dichiarati, risultano essere proprietari, anche attraverso interposte persone fisiche e giuridiche, di 98 cespiti immobiliari (19 terreni edificabili e 79 immobili tra appartamenti, locali commerciali, magazzini ed autorimesse; ubicati nei Comuni sopra indicati), 4 società (due imprese edili, una finanziaria ed una azienda di produzione e vendita materassi), 3 autovetture, depositi bancari presso 8 diversi istituti di credito. Il valore complessivo dei beni da sottoporre a sequestro è stato stimato pari a circa 30 milioni di euro. A nulla sono serviti i tentativi di depistare le autorità attraverso fittizie cessioni di quote societarie a dei prestanome, anche loro destinatari della misura in atto, o i successivi investimenti in altre attività di per sé lecite, investimenti secondo gli inquirenti sono stati effettuati partendo da un patrimonio comunque “inquinato in origine”. È’ stato dimostrato appieno che la sperequazione tra le ufficiali e lecite fonti di reddito attribuibili a Raffaele Dipalma, direttamente o anche indirettamente attraverso i suoi familiari e le società da loro controllate, rispetto all’entità effettiva dei beni nella sua materiale disponibilità, sia direttamente riconducibile, almeno in origine, agli illeciti guadagni derivanti da attività delittuose.
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