BARI. La Fondazione Petruzzelli propone il secondo appuntamento nell’ambito degli “Eventi Speciali fuori abbonamento” dedicati all'arte corale che avranno luogo al Teatro Forma di Bari.
Mercoledì 23 febbraio alle 21.00, al Teatro Forma, il Coro della Fondazione Petruzzelli, diretto dal maestro Franco Sebastiani ed accompagnato all’organo da Lucia Conca, eseguirà un programma dedicato ai Magnificat di Domenico Scarlatti, di Giovanni Paisiello e di Arvo Pärt. Interverrà Alberto Triola, direttore artistico del Festival della Valle d’Itria.
I Magnificat
Nella liturgia cattolica, il “Magnificat” fa parte dell’ufficio del Vespro e viene cantato, come i Salmi, negli otto modi ecclesiastici. È un “inno” in lode del Signore, con il quale la Beata Vergine Maria – come riporta l’evangelista Luca (I, 46-55) – rispose al saluto della cugina Elisabetta nella casa di Zaccaria. Il testo – che incomincia con le parole “Magnificat anima mea Dominum” – è uno dei più celebri e consta di dodici versi. A parte l’origine gregoriana del canto – “Cantica majora” in onore della Vergine – il testo ha da sempre affascinato tutti i musicisti che hanno lavorato per la Chiesa – in particolare nei secc. dal XV al XVIII - ma che però spesso hanno realizzato creazioni artistiche al di là dell’eventuale legame con la cerimonia squisitamente sacra. A cominciare dal fiammingo Jacob Obrecht (1450-1505), si usava cantare in chiesa i versi dispari secondo l’espressione gregoriana, lasciando i versi pari alla creatività del compositore. Fra i “Magnificat” dovuti a musicisti celebri vanno ricordati quelli di Dufay, Lasso, Palestrina, Monteverdi per giungere anche ad altri – in qualche caso anche non cattolici – quali J. S. Bach e W. A. Mozart.
Domenico Scarlatti (1685-1757) è noto e ricordato essenzialmente per i suoi celebri “Esercizi per gravicembalo” (oggi definiti “sonate”), ma sulle orme del padre Alessandro, aveva iniziato la carriera come operista e compositore di musica sacra (in tale veste lavorò a Roma a S. Maria Maggiore ed in S. Pietro e quindi a Lisbona, prima di trasferirsi in Spagna). Come compositore sacro egli creò essenzialmente per coro con eventuale accompagnamento d’organo e, stilisticamente – come altri compositori coevi del resto – si riallaccia allo “stile antico” vale a dire quello in cui eccelse Palestrina. Fra le sue opere più note e valide vanno ricordati un “Te Deum”, un “Miserere” ed appunto il “Magnificat” – unica pagina del genere nella sua produzione, probabilmente composta nel periodo romano – strutturato per quattro voci “a cappella”, opera nella quale il musicista si riallaccia al “cantus firmus”, concludendo con un impressionante “Amen”.
Noto invece per la sua vastissima produzione operistica, buffa e seria, Giovanni Paisiello (1740-1816) – compose complessivamente oltre un centinaio di lavori – si avvicinò alla musica sacra agli esordi della carriera, quando ancora studiava a Napoli. Al genere si riaccostò poi periodicamente, ma quasi sempre per ragioni legate ad eventi specifici, nel corso del suo peregrinare in Europa – fu in Russia ed in Francia, oltre che, beninteso, a Napoli – vale la pena citare, fra le sue creazioni non operistiche infatti, l’oratorio “La passione di Gesù Cristo” su testo di Metastasio, un “Te Deum” composto a Napoli, una “Passione”, una “Missa Defunctorum”, e più di un “Magnificat”, testo al cui spirito il musicista si accostò, ogni volta con tutta la forza della sua vena creativa. Il Magnificat in Sol maggiore a quattro voci, violini, viole, bassi ed organo fu composto dal sessantunenne compositore tarantino nel 1801 un anno prima che si trasferisse a Parigi per dirigere, su espresso invito di Napoleone, la Cappella consolare. Composto di venti pagine manoscritte è conservato nella Biblioteca del convento domenicano di Palermo.
La posizione di Arvo Pärt (1935 – vivente) nel contesto della musica contemporanea, è molto particolare. La sua carriera creativa può essere divisa in tre periodi. Ma da un’attenta considerazione della sua produzione si evince che la sua idea è la realizzazione di un linguaggio musicale il più semplice possibile e scevro da ornamenti, nel quale “il meno esprime il più”. Di qui una musica che rivela sofferenza, tramite “mezzi” appunto rarefatti, poche note, ripetizioni melodiche ossessive, senza tonalità prestabilita, ritmi o sequenze ritmiche ipnotiche, e soprattutto “silenzi” il cui impiego sottile conferisce alla musica – anche quella vocale - un carattere misterioso, ma comunque di profonda spiritualità. E’ il caso appunto del “Magnificat” – composto nel 1989 – che pur legato ad un testo particolare, conserva nella sua semplicità strutturale un fascino di sicura presa e che si pone per valenza accanto a pagine non meno avvincenti quali le “Beatitudini” o il “De Profundis”.
Mercoledì 23 febbraio alle 21.00, al Teatro Forma, il Coro della Fondazione Petruzzelli, diretto dal maestro Franco Sebastiani ed accompagnato all’organo da Lucia Conca, eseguirà un programma dedicato ai Magnificat di Domenico Scarlatti, di Giovanni Paisiello e di Arvo Pärt. Interverrà Alberto Triola, direttore artistico del Festival della Valle d’Itria.
I Magnificat
Nella liturgia cattolica, il “Magnificat” fa parte dell’ufficio del Vespro e viene cantato, come i Salmi, negli otto modi ecclesiastici. È un “inno” in lode del Signore, con il quale la Beata Vergine Maria – come riporta l’evangelista Luca (I, 46-55) – rispose al saluto della cugina Elisabetta nella casa di Zaccaria. Il testo – che incomincia con le parole “Magnificat anima mea Dominum” – è uno dei più celebri e consta di dodici versi. A parte l’origine gregoriana del canto – “Cantica majora” in onore della Vergine – il testo ha da sempre affascinato tutti i musicisti che hanno lavorato per la Chiesa – in particolare nei secc. dal XV al XVIII - ma che però spesso hanno realizzato creazioni artistiche al di là dell’eventuale legame con la cerimonia squisitamente sacra. A cominciare dal fiammingo Jacob Obrecht (1450-1505), si usava cantare in chiesa i versi dispari secondo l’espressione gregoriana, lasciando i versi pari alla creatività del compositore. Fra i “Magnificat” dovuti a musicisti celebri vanno ricordati quelli di Dufay, Lasso, Palestrina, Monteverdi per giungere anche ad altri – in qualche caso anche non cattolici – quali J. S. Bach e W. A. Mozart.
Domenico Scarlatti (1685-1757) è noto e ricordato essenzialmente per i suoi celebri “Esercizi per gravicembalo” (oggi definiti “sonate”), ma sulle orme del padre Alessandro, aveva iniziato la carriera come operista e compositore di musica sacra (in tale veste lavorò a Roma a S. Maria Maggiore ed in S. Pietro e quindi a Lisbona, prima di trasferirsi in Spagna). Come compositore sacro egli creò essenzialmente per coro con eventuale accompagnamento d’organo e, stilisticamente – come altri compositori coevi del resto – si riallaccia allo “stile antico” vale a dire quello in cui eccelse Palestrina. Fra le sue opere più note e valide vanno ricordati un “Te Deum”, un “Miserere” ed appunto il “Magnificat” – unica pagina del genere nella sua produzione, probabilmente composta nel periodo romano – strutturato per quattro voci “a cappella”, opera nella quale il musicista si riallaccia al “cantus firmus”, concludendo con un impressionante “Amen”.
Noto invece per la sua vastissima produzione operistica, buffa e seria, Giovanni Paisiello (1740-1816) – compose complessivamente oltre un centinaio di lavori – si avvicinò alla musica sacra agli esordi della carriera, quando ancora studiava a Napoli. Al genere si riaccostò poi periodicamente, ma quasi sempre per ragioni legate ad eventi specifici, nel corso del suo peregrinare in Europa – fu in Russia ed in Francia, oltre che, beninteso, a Napoli – vale la pena citare, fra le sue creazioni non operistiche infatti, l’oratorio “La passione di Gesù Cristo” su testo di Metastasio, un “Te Deum” composto a Napoli, una “Passione”, una “Missa Defunctorum”, e più di un “Magnificat”, testo al cui spirito il musicista si accostò, ogni volta con tutta la forza della sua vena creativa. Il Magnificat in Sol maggiore a quattro voci, violini, viole, bassi ed organo fu composto dal sessantunenne compositore tarantino nel 1801 un anno prima che si trasferisse a Parigi per dirigere, su espresso invito di Napoleone, la Cappella consolare. Composto di venti pagine manoscritte è conservato nella Biblioteca del convento domenicano di Palermo.
La posizione di Arvo Pärt (1935 – vivente) nel contesto della musica contemporanea, è molto particolare. La sua carriera creativa può essere divisa in tre periodi. Ma da un’attenta considerazione della sua produzione si evince che la sua idea è la realizzazione di un linguaggio musicale il più semplice possibile e scevro da ornamenti, nel quale “il meno esprime il più”. Di qui una musica che rivela sofferenza, tramite “mezzi” appunto rarefatti, poche note, ripetizioni melodiche ossessive, senza tonalità prestabilita, ritmi o sequenze ritmiche ipnotiche, e soprattutto “silenzi” il cui impiego sottile conferisce alla musica – anche quella vocale - un carattere misterioso, ma comunque di profonda spiritualità. E’ il caso appunto del “Magnificat” – composto nel 1989 – che pur legato ad un testo particolare, conserva nella sua semplicità strutturale un fascino di sicura presa e che si pone per valenza accanto a pagine non meno avvincenti quali le “Beatitudini” o il “De Profundis”.