di Vittorio Polito
Un vecchio proverbio recita: La ràsce come la uè la fásce. La ràsce (razza o raja), è un pesce cartilagineo che si può preparare in vari modi. Anche per il dialetto barese, sotto certi aspetti, è la stessa cosa, poiché ognuno lo scrive come vuole e come crede, preferendo eventualmente un autore invece che un altro e, spesso, inventandosi il modo di scriverlo. In questi giorni ho consultato alcuni calendari pubblicati di recente in dialetto barese e, nonostante la mia simpatia per il dialetto di casa nostra, noto una grande confusione su come ognuno scrive il nostro vernacolo, confrontandolo con alcuni dizionari attualmente presenti sul mercato. Dal confronto si evince che ogni autore, scrive come vuole o secondo una grammatica o un dizionario al quale si ispira. Attualmente pur presenti sul mercato vari dizionari, non vi sono regole ufficiali da seguire, per cui l’ispirazione è assolutamente libera. Alcuni esempi: calendario diventa calendarie, calannàrrie, calannàrie; gennaio: gennàie, gennàre (come Gennaro), scennàre; Cande-lora: Candelore, Cannelòre; Maggio: màggie, mâsce,masce; Giugno: giùgne,sciugne, sciùggne; Ottobre: ottòbre, attòbre; giovedì: giovedie, gevedì, scevedì; venerdì: venerdie, vrenedì, vrennedì, vernedì; Francesco: Frangische, Frangìscke, Brangische; Frangìske, Giovanni: Giuanne, Giuànne, GGiuànne, Giacomo: Giacheme, Giàggheme, Ggiàggheme, Guglielmo: Guglielme, Guglièlme, Ghegglièlme; Leopoldo: Leopolde, Diapòlde; Nicandro: Nicandre, Lecàndre; Filippo: Felippe, Belìppe; Ferdinando: Ferdenande, Fredenànde; Luigi Gonzaga: Luigi Conzaghe, Luìgge Chenzàche; Leonardo: Leonarde, Uanàrde; Santi Pietro e Paolo: S. Pitre e Paule, Sandre Pìite e PPàule; Pompeo: Pompee, Bombè; Bari: Bare, BBare, Vare; Eligio: Eligie, Alìsce. Quest’ultimo nome, come si vede, qualcuno lo traduce esattamente con il nome dell’alice o acciuga, per cui se si dovesse dire, ad esempio, “Eligio si mangia le ali-ci”, si tradurrebbe in dialetto Alìsce se mange l’alìsce(?). Insomma una gran confusione ed anche un esagerato uso di consonanti. Va evidenziato che uno dei calendari consultati precisa che “La trascrizione in dialetto del testo è stata realizzata seguendo le regole approvate dal Seminario di studio e approfondimento sul dialetto barese”, ma da quello che risulta a chi scrive, le regole approvate dal Seminario citato sono ancora molto poche e non ancora ufficializzate. Pertanto, il calendario di che trattasi, riporta solo alcune delle regole approvate (e non ancora ufficializzate), mentre tutto il resto è probabilmente frutto di fantasia. È anche il caso di ricordare che un autore, nelle precedenti edizioni del calendario, riporta molti nomi scritti diversamente. Pertanto, ciò che viene pubblicato nel nostro dialetto in fatto di poesie, testi, calendari, dizionari e grammatiche non fa altro che confondere le idee all’ignaro lettore che non riesce a capire il perché della scrittura così diversa. Ovvero non sa proprio che pesci prendere, dal momento che gli autori non condividono alcuna regola. Per cui, viene spontaneo dire che il dialetto barese è una lingua personale paragonabile, appunto, alla Ràsce, ca come la uè la fásce.
Un vecchio proverbio recita: La ràsce come la uè la fásce. La ràsce (razza o raja), è un pesce cartilagineo che si può preparare in vari modi. Anche per il dialetto barese, sotto certi aspetti, è la stessa cosa, poiché ognuno lo scrive come vuole e come crede, preferendo eventualmente un autore invece che un altro e, spesso, inventandosi il modo di scriverlo. In questi giorni ho consultato alcuni calendari pubblicati di recente in dialetto barese e, nonostante la mia simpatia per il dialetto di casa nostra, noto una grande confusione su come ognuno scrive il nostro vernacolo, confrontandolo con alcuni dizionari attualmente presenti sul mercato. Dal confronto si evince che ogni autore, scrive come vuole o secondo una grammatica o un dizionario al quale si ispira. Attualmente pur presenti sul mercato vari dizionari, non vi sono regole ufficiali da seguire, per cui l’ispirazione è assolutamente libera. Alcuni esempi: calendario diventa calendarie, calannàrrie, calannàrie; gennaio: gennàie, gennàre (come Gennaro), scennàre; Cande-lora: Candelore, Cannelòre; Maggio: màggie, mâsce,masce; Giugno: giùgne,sciugne, sciùggne; Ottobre: ottòbre, attòbre; giovedì: giovedie, gevedì, scevedì; venerdì: venerdie, vrenedì, vrennedì, vernedì; Francesco: Frangische, Frangìscke, Brangische; Frangìske, Giovanni: Giuanne, Giuànne, GGiuànne, Giacomo: Giacheme, Giàggheme, Ggiàggheme, Guglielmo: Guglielme, Guglièlme, Ghegglièlme; Leopoldo: Leopolde, Diapòlde; Nicandro: Nicandre, Lecàndre; Filippo: Felippe, Belìppe; Ferdinando: Ferdenande, Fredenànde; Luigi Gonzaga: Luigi Conzaghe, Luìgge Chenzàche; Leonardo: Leonarde, Uanàrde; Santi Pietro e Paolo: S. Pitre e Paule, Sandre Pìite e PPàule; Pompeo: Pompee, Bombè; Bari: Bare, BBare, Vare; Eligio: Eligie, Alìsce. Quest’ultimo nome, come si vede, qualcuno lo traduce esattamente con il nome dell’alice o acciuga, per cui se si dovesse dire, ad esempio, “Eligio si mangia le ali-ci”, si tradurrebbe in dialetto Alìsce se mange l’alìsce(?). Insomma una gran confusione ed anche un esagerato uso di consonanti. Va evidenziato che uno dei calendari consultati precisa che “La trascrizione in dialetto del testo è stata realizzata seguendo le regole approvate dal Seminario di studio e approfondimento sul dialetto barese”, ma da quello che risulta a chi scrive, le regole approvate dal Seminario citato sono ancora molto poche e non ancora ufficializzate. Pertanto, il calendario di che trattasi, riporta solo alcune delle regole approvate (e non ancora ufficializzate), mentre tutto il resto è probabilmente frutto di fantasia. È anche il caso di ricordare che un autore, nelle precedenti edizioni del calendario, riporta molti nomi scritti diversamente. Pertanto, ciò che viene pubblicato nel nostro dialetto in fatto di poesie, testi, calendari, dizionari e grammatiche non fa altro che confondere le idee all’ignaro lettore che non riesce a capire il perché della scrittura così diversa. Ovvero non sa proprio che pesci prendere, dal momento che gli autori non condividono alcuna regola. Per cui, viene spontaneo dire che il dialetto barese è una lingua personale paragonabile, appunto, alla Ràsce, ca come la uè la fásce.
Che tantissimi termini dialettali baresi possiedano più varianti (data l’evoluzione linguistica), è una cosa risaputa; lo sanno anche gli invertebrati. Nonostante ciò, è comunque giusto che si cerchi di dare dignità al nostro magnifico dialetto, fissando delle regole comuni di scrittura. Onore a chi si impegna a farlo, dunque!... Determinate regole vanno fissate, in quanto indiscutibilmente fanno parte della natura della nostra lingua. E’ importante, ad esempio, non confondere tra loro i suoni /ji/ e /ij/ (errore molte volte commesso dagli scrittori). E’ importante non adoperare la “j” a casaccio (e pertanto, siccome occorrerebbe studiare approfonditamente l’argomento in questione, per semplificare le cose, sarebbe meglio non utilizzarla affatto). E’ importante saper individuare le “i” e le “u” prostetiche. E’ importante distinguere le “e” semimute da quelle non semimute. E’ importante trasformare (nei casi previsti) “ns” in “nz”, “mp”/”nb”/”np” in “mb”, “nf” in “nv”/”mb”, “nt” in “nd”, “lt” in “ld”, “nq”/”nc” in “ng”, ecc.. E’ fondamentale l’uso di “sck”. E’ importante distinguere “sc” da “ssc”. Con l’elenco mi fermo qui per non tediare i lettori, ma è ovvio che di regole da menzionare ce ne sarebbero ancòra. E’ necessario però che le regole vadano applicate con coerenza e logicità. Ed infine, credo che chi appoggia l’anarchia in scrittura, non voglia bene al nostro grandioso idioma.
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