"Il Grinta": il grande ritorno dei fratelli Coen


di Clizia Germinario. Candidato al premio Oscar come Miglior Film e con un notevole nemero di nomination collaterali, tra cui una per la giovanissima interprete principale, “Il Grinta” è l’ennesimo successo dei fratelli Coen, che rifanno l’omonimo film del ’69 con John Wayne, tratto da un romanzo di Charles Portis. La quattordicenne Mattie Ross (Hailee Steinfeld) assolda il pericoloso ed alcolizzato sceriffo Reuben "Rooster" Cogburn (Jeff Bridges “Tron: Legacy”) per uccidere il fuorilegge Tom Chaney (Josh Brolin “Wall Street: il denaro non dorme mai”), reo di aver assassinato suo padre ed ora rifugiatosi in territorio indiano. A loro si unirà il Texas Ranger LaBoeuf (Matt Damon, protagonista della saga su Jason Bourne), che invece insegue l’uomo per l’omicidio di un senatore.
Incursione dei Coen in un genere, il western, ultimamente poco frequentato da Hollywood: con un cast di prim’ordine mettono in scena una storia di vendetta e redenzione in cui “il crimine verrà sempre punito”, come cita la locandina italiana e traspare dal finale. Pur ben confezionato, il film non merita la pioggia di nomination agli Oscar ricevute: sorretto da una trama intrigante e da attori bravi e (quasi tutti) di richiamo e stimati, soffre di una certa piattezza d’insieme, di momenti noiosi e personaggi bidimensionali ed eccessivamente macchiettistici, ad eccezione della piccola Mattie. Lo sceriffo burbero ed ubriacone con, in fondo, un cuore d’oro, il Texas Ranger impavido e leale, il malfattore cattivo e sleale ecc. sono punti deboli che, seppur rassicuranti per lo spettatore che sa così cosa aspettarsi, sarebbe meglio lasciare ad un certo tipo cinema che si usava fare soprattutto in passato, dove il bene e il male erano distinti con precisione, per puntare ad una rappresenazione più veritiera della realtà e per dare maggior mordente alla vicenda. Nonostante ciò un prodotto ben fatto e a tratti godibile nel suo genere, pur con tutte le pecche del caso.