di Maria Teresa Lattarulo
Nuove garanzie per gli immigrati, derivanti dal diritto europeo, stanno conducendo i nostri giudici a disapplicare una delle disposizioni più contestate del Testo Unico sull’immigrazione e cioè quella che prevede l’arresto e la detenzione fino a cinque anni degli immigrati che si trattengano nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine di allontanamento dell’autorità amministrativa. In pratica, l’Unione europea ha adottato nel 2008 la c.d. direttiva rimpatri, la cui finalità è proprio quella di assicurare che l’espulsione degli immigrati irregolari avvenga nel rispetto dei diritti umani e senza ricorrere a restrizioni della libertà personale, salvo il caso della permanenza per un breve periodo nei centri di identificazione ed espulsione. Tale direttiva richiedeva di essere attuata, con l’adozione di leggi interne, entro il 24 dicembre 2010, termine scaduto senza che il nostro Stato adottasse alcun provvedimento. Molti giudici, pertanto, hanno applicato il principio per il quale una direttiva non attuata produce comunque effetti quando le sue norme abbiano un contenuto completo e, sulla base della preminenza del diritto comunitario, hanno ritenuto che la direttiva rimpatri non consenta più di applicare l’art. 14 comma 5 ter e quater del Testo Unico sull’immigrazione che prevede il reato di inosservanza dell’ordine di allontanamento dal territorio. Le autorità giudiziarie della nostra regione, che è particolarmente interessata dall’immigrazione irregolare, si sono dimostrate sensibili alle esigenze di rispetto del diritto comunitario e dei diritti umani: in particolare la Procura di Lecce ha disposto, con una circolare del 10 febbraio scorso, che non sia esercitata l’azione penale né si proceda all’arresto per il reato di cui all’art. 14 comma 5 ter e quater.
In conclusione, la normativa comunitaria impone al nostro ordinamento di abbandonare l’impostazione criminalizzante e sanzionatoria adottata sinora nella materia dell’immigrazione, ma rivelatasi poco proficua, senza trascurarne i costi per la collettività in termini di spese giudiziarie (per i processi, per le traduzioni e per le difese di ufficio) e di incremento della popolazione carceraria. Molto più produttive potrebbero essere una politica preventiva attraverso aiuti ai Paesi di provenienza ed una politica di integrazione e stabilizzazione sociale.
Nuove garanzie per gli immigrati, derivanti dal diritto europeo, stanno conducendo i nostri giudici a disapplicare una delle disposizioni più contestate del Testo Unico sull’immigrazione e cioè quella che prevede l’arresto e la detenzione fino a cinque anni degli immigrati che si trattengano nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine di allontanamento dell’autorità amministrativa. In pratica, l’Unione europea ha adottato nel 2008 la c.d. direttiva rimpatri, la cui finalità è proprio quella di assicurare che l’espulsione degli immigrati irregolari avvenga nel rispetto dei diritti umani e senza ricorrere a restrizioni della libertà personale, salvo il caso della permanenza per un breve periodo nei centri di identificazione ed espulsione. Tale direttiva richiedeva di essere attuata, con l’adozione di leggi interne, entro il 24 dicembre 2010, termine scaduto senza che il nostro Stato adottasse alcun provvedimento. Molti giudici, pertanto, hanno applicato il principio per il quale una direttiva non attuata produce comunque effetti quando le sue norme abbiano un contenuto completo e, sulla base della preminenza del diritto comunitario, hanno ritenuto che la direttiva rimpatri non consenta più di applicare l’art. 14 comma 5 ter e quater del Testo Unico sull’immigrazione che prevede il reato di inosservanza dell’ordine di allontanamento dal territorio. Le autorità giudiziarie della nostra regione, che è particolarmente interessata dall’immigrazione irregolare, si sono dimostrate sensibili alle esigenze di rispetto del diritto comunitario e dei diritti umani: in particolare la Procura di Lecce ha disposto, con una circolare del 10 febbraio scorso, che non sia esercitata l’azione penale né si proceda all’arresto per il reato di cui all’art. 14 comma 5 ter e quater.
In conclusione, la normativa comunitaria impone al nostro ordinamento di abbandonare l’impostazione criminalizzante e sanzionatoria adottata sinora nella materia dell’immigrazione, ma rivelatasi poco proficua, senza trascurarne i costi per la collettività in termini di spese giudiziarie (per i processi, per le traduzioni e per le difese di ufficio) e di incremento della popolazione carceraria. Molto più produttive potrebbero essere una politica preventiva attraverso aiuti ai Paesi di provenienza ed una politica di integrazione e stabilizzazione sociale.