BARI. Quasi duecento matrimoni dichiarati nulli: qualcuno durato appena 7 giorni, e ben 25 casi perché quel «sì» pronunciato sull’altare non era sincero. Insomma voleva essere un «no». Tra dati e curiosità il bilancio del 2010 del Tribunale ecclesiastico regionale si presenta in linea con l’andamento medio dell’ultimo decennio, ma deve fare i conti con circa 600 cause ancora pendenti. Come dire che la lentocrazia - che già contraddistingue quella civile e penale - contamina anche la giustizia religiosa.
Inaugurando ieri l’anno giudiziario del Tribunale ecclesiastico regionale pugliese, l’arcivescovo di Bari-Bitonto, monsignor Francesco Cacucci ha esortato ad una riflessione "sui diritti dei genitori che non possono essere prevalenti su quelli dei figli. Viviamo - ha aggiunto mons. Cacucci - l'esistenza di due spinte che paiono in contraddittorio: da un lato il bisogno di far riferimento alla famiglia come base e punto fermo dell’amore e dall’altro una soggettività che porta anche difficoltà per la famiglia stessa e per i suoi componenti più deboli, i figli». «Per tal motivo - ha concluso - sarebbe importante che le parrocchie continuassero a seguire gli sposi anche dopo il matrimonio in un cammino di utile condivisione delle gioie e delle difficoltà della vita quotidiana".
Nel 2010 il Tribunale ecclesiastico, a fronte di 216 nuove cause (libelli) introdotte, ne ha decise 251 (3 in meno del 2009) dichiarandone nulle 196. La somma dei capi ammessi o respinti, non corrisponde al numero delle sentenze affermative o negative, in quanto alcune volte, nella stessa sentenza, il tribunale s’è pronunziato su più capi (alcuni dei quali ammessi e altri respinti).
Tra le cause di nullità figurano l'esclusione della indissolubilità (82), il difetto di giudizio e l’incapacità di assumersi oneri coniugali per cause di natura psichica (69), l’esclusione della prole (42) la simulazione totale del consenso (25). Seguono il timore (13), l'esclusione della fedeltà (12), l’impotenza (4), la condizione (3), il dolo (3), l’errore di qualità della persona (2) e l'esclusione del bonum coniugum (2).
Dalle 216 cause presentate nel 2010 risulta che dopo la celebrazione del matrimonio, 179 unioni matrimoniali sono durate tra 7 giorni e 10 anni. Al 31 dicembre 2010 inoltre le cause pendenti presso il Tribunale ecclesiastico erano ancora 577.
Affrontando il problema della fallita convivenza sotto il profilo delle categorie sociali, balza all’occhio che il fenomeno è spalmato in modo abbastanza uniforme. Così, nel 2010, in testa agli insoddisfatti uomini del rapporto di coppia che arrivano a chiedere la nullità della propria unione ci sono gli impiegati (22 casi), seguiti da militari in carriera e componenti delle forze dell’ordine (18), mentre professionisti e operai pari sono (16 libelli per ciascuna categoria), con i commercianti poco più dietro (12).
Tra le donne «attrici», guidano la classifica sempre le impiegate (20) quasi appaiate alle casalinghe (18), con libere professioniste e studentesse (14 casi ciascuno) a condividere il gradino più basso del podio. Poco dopo insegnanti, operaie e disoccupate (8). Tra coloro che invece subiscono la scelta di porre fine al matrimonio con l’intento di cancellare ogni traccia del passato, al primo posto ci sono gli operai (25 casi) e le impiegate (25), seguite a breve distanza da casalinghe (22), liberi professionisti (20), impiegati (18), studentesse (17), militari in carriera e componenti delle forze dell’ordine (13) e commercianti (12 uomini, 5 donne).
Inaugurando ieri l’anno giudiziario del Tribunale ecclesiastico regionale pugliese, l’arcivescovo di Bari-Bitonto, monsignor Francesco Cacucci ha esortato ad una riflessione "sui diritti dei genitori che non possono essere prevalenti su quelli dei figli. Viviamo - ha aggiunto mons. Cacucci - l'esistenza di due spinte che paiono in contraddittorio: da un lato il bisogno di far riferimento alla famiglia come base e punto fermo dell’amore e dall’altro una soggettività che porta anche difficoltà per la famiglia stessa e per i suoi componenti più deboli, i figli». «Per tal motivo - ha concluso - sarebbe importante che le parrocchie continuassero a seguire gli sposi anche dopo il matrimonio in un cammino di utile condivisione delle gioie e delle difficoltà della vita quotidiana".
Nel 2010 il Tribunale ecclesiastico, a fronte di 216 nuove cause (libelli) introdotte, ne ha decise 251 (3 in meno del 2009) dichiarandone nulle 196. La somma dei capi ammessi o respinti, non corrisponde al numero delle sentenze affermative o negative, in quanto alcune volte, nella stessa sentenza, il tribunale s’è pronunziato su più capi (alcuni dei quali ammessi e altri respinti).
Tra le cause di nullità figurano l'esclusione della indissolubilità (82), il difetto di giudizio e l’incapacità di assumersi oneri coniugali per cause di natura psichica (69), l’esclusione della prole (42) la simulazione totale del consenso (25). Seguono il timore (13), l'esclusione della fedeltà (12), l’impotenza (4), la condizione (3), il dolo (3), l’errore di qualità della persona (2) e l'esclusione del bonum coniugum (2).
Dalle 216 cause presentate nel 2010 risulta che dopo la celebrazione del matrimonio, 179 unioni matrimoniali sono durate tra 7 giorni e 10 anni. Al 31 dicembre 2010 inoltre le cause pendenti presso il Tribunale ecclesiastico erano ancora 577.
Affrontando il problema della fallita convivenza sotto il profilo delle categorie sociali, balza all’occhio che il fenomeno è spalmato in modo abbastanza uniforme. Così, nel 2010, in testa agli insoddisfatti uomini del rapporto di coppia che arrivano a chiedere la nullità della propria unione ci sono gli impiegati (22 casi), seguiti da militari in carriera e componenti delle forze dell’ordine (18), mentre professionisti e operai pari sono (16 libelli per ciascuna categoria), con i commercianti poco più dietro (12).
Tra le donne «attrici», guidano la classifica sempre le impiegate (20) quasi appaiate alle casalinghe (18), con libere professioniste e studentesse (14 casi ciascuno) a condividere il gradino più basso del podio. Poco dopo insegnanti, operaie e disoccupate (8). Tra coloro che invece subiscono la scelta di porre fine al matrimonio con l’intento di cancellare ogni traccia del passato, al primo posto ci sono gli operai (25 casi) e le impiegate (25), seguite a breve distanza da casalinghe (22), liberi professionisti (20), impiegati (18), studentesse (17), militari in carriera e componenti delle forze dell’ordine (13) e commercianti (12 uomini, 5 donne).
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