di Pasquale Diroma
Nel suo articolo «Il passato che non vuole passare» del 1986, lo storico tedesco E. Nolte sosteneva la tesi secondo cui l’avvento al potere del nazismo sia da mettere in stretta relazione e contrapposizione con il comunismo sovietico o, in altri termini, il catastrofico conflitto ideologico tra Occidente e Oriente sia stato partorito dalla rivoluzione del 1917. L’obiettivo di fondo dell’opera del Nolte era quella di liberare la Germania dal senso di colpa di «un passato che non passa». Accusato di voler banalizzare il nazismo, l’opera di Nolte diede il via ad una famosa polemica storiografica. Ciò che è successo ieri sera presso la Galleria del Teatro Curci di Barletta, a margine della cerimonia conclusiva delle iniziative commemorative legate al Giorno della Memoria, ha riportato alla mente di chi scrive queste poche note, quell’aspra polemica tra dotti.
Erano circa le venti e trenta quando la sezione locale della Giovane Italia, movimento giovanile del Popolo della Libertà , inscenava un piccolo sit-in di protesta all’ingresso della Galleria stessa. Motivo della contestazione, con annessa distribuzione di volantini agli astanti della cerimonia sulla Shoah, la mancata organizzazione da parte dell’amministrazione comunale della Città della Disfida di un «evento che potesse ricordare un pezzo doloroso della nostra storia», i martiri delle foibe.
Il movimento contesta come esistano «solo a Barletta morti e commemorazioni di serie A e serie B»; come nonostante l’istituzione del 10 Febbraio Giorno del Ricordo, il silenzio e la mancanza di iniziative su quei tragici eventi si contrappongano in modo stridente alle «grandi e doverose mobilitazioni di studenti e professori nel celebrare il “Giorno della Memoria”».
E qui ritorniamo alla polemica tra storici summenzionata. Sebbene la richiesta della Giovane Italia sia del tutto legittima, non sarebbe, forse, più onesto intellettualmente, portare a conoscenza anche le misure discriminatorie e gli atti delittuosi commessi dagli italiani sia durante il regime fascista che in età liberale nei territori al confine orientale e sul suolo jugoslavo durante l’occupazione militare? Ricordare giustamente le vittime delle foibe, le sofferenze degli esuli e il maledetto velo di silenzio steso su quei tragici fatti, non dovrebbe accompagnarsi al ricordo dei tremendi crimini commessi dai nostri connazionali? Non si rischia di banalizzare il tutto?
Anziché definire sbrigativamente lo Stato jugoslavo sorto dalle macerie e dalle distruzioni del nazifascismo come «una dittatura per fortuna tramontata», non sarebbe il caso di riconoscerne la funzione pacificante e unitaria degli slavi del sud, popoli che venuto meno quel collante – statalista e autoritario possiamo anche ammetterlo – si sono scontrati e ammazzati fino all’ultimo sangue?
Non sarebbe meglio organizzare pubblici incontri di studio attorno all’argomento, il cui approfondimento non può che “liberare” finalmente la memoria di quegli eventi da ogni sorta di speculazione politica? Forse il primo passo per avere una memoria condivisa e divulgata alle nuove generazioni.
Nel suo articolo «Il passato che non vuole passare» del 1986, lo storico tedesco E. Nolte sosteneva la tesi secondo cui l’avvento al potere del nazismo sia da mettere in stretta relazione e contrapposizione con il comunismo sovietico o, in altri termini, il catastrofico conflitto ideologico tra Occidente e Oriente sia stato partorito dalla rivoluzione del 1917. L’obiettivo di fondo dell’opera del Nolte era quella di liberare la Germania dal senso di colpa di «un passato che non passa». Accusato di voler banalizzare il nazismo, l’opera di Nolte diede il via ad una famosa polemica storiografica. Ciò che è successo ieri sera presso la Galleria del Teatro Curci di Barletta, a margine della cerimonia conclusiva delle iniziative commemorative legate al Giorno della Memoria, ha riportato alla mente di chi scrive queste poche note, quell’aspra polemica tra dotti.
Erano circa le venti e trenta quando la sezione locale della Giovane Italia, movimento giovanile del Popolo della Libertà , inscenava un piccolo sit-in di protesta all’ingresso della Galleria stessa. Motivo della contestazione, con annessa distribuzione di volantini agli astanti della cerimonia sulla Shoah, la mancata organizzazione da parte dell’amministrazione comunale della Città della Disfida di un «evento che potesse ricordare un pezzo doloroso della nostra storia», i martiri delle foibe.
Il movimento contesta come esistano «solo a Barletta morti e commemorazioni di serie A e serie B»; come nonostante l’istituzione del 10 Febbraio Giorno del Ricordo, il silenzio e la mancanza di iniziative su quei tragici eventi si contrappongano in modo stridente alle «grandi e doverose mobilitazioni di studenti e professori nel celebrare il “Giorno della Memoria”».
E qui ritorniamo alla polemica tra storici summenzionata. Sebbene la richiesta della Giovane Italia sia del tutto legittima, non sarebbe, forse, più onesto intellettualmente, portare a conoscenza anche le misure discriminatorie e gli atti delittuosi commessi dagli italiani sia durante il regime fascista che in età liberale nei territori al confine orientale e sul suolo jugoslavo durante l’occupazione militare? Ricordare giustamente le vittime delle foibe, le sofferenze degli esuli e il maledetto velo di silenzio steso su quei tragici fatti, non dovrebbe accompagnarsi al ricordo dei tremendi crimini commessi dai nostri connazionali? Non si rischia di banalizzare il tutto?
Anziché definire sbrigativamente lo Stato jugoslavo sorto dalle macerie e dalle distruzioni del nazifascismo come «una dittatura per fortuna tramontata», non sarebbe il caso di riconoscerne la funzione pacificante e unitaria degli slavi del sud, popoli che venuto meno quel collante – statalista e autoritario possiamo anche ammetterlo – si sono scontrati e ammazzati fino all’ultimo sangue?
Non sarebbe meglio organizzare pubblici incontri di studio attorno all’argomento, il cui approfondimento non può che “liberare” finalmente la memoria di quegli eventi da ogni sorta di speculazione politica? Forse il primo passo per avere una memoria condivisa e divulgata alle nuove generazioni.