di Maria Teresa Lattarulo. La Grande Camera si è pronunciata, con l’attesa sentenza nel caso Lautsi, sulla questione della presenza del crocifisso nelle aule scolastiche e ne ha riconosciuto la piena legittimità, secondo quanto sostenuto dal Governo italiano.
La controversia, com’è noto, traeva origine da un ricorso presentato dalla sig.ra Lautsi la quale affermava che l’esposizione del crocifisso nelle aule frequentate dai figli era in contrasto con la libertà religiosa e con il proprio diritto di garantire ai figli un’educazione e un insegnamento conformi alle proprie convinzioni religiose e filosofiche. Il ricorso era stato inizialmente accolto con la sentenza di Camera del 3 novembre 2009, ma il Governo italiano aveva impugnato la decisione dinanzi alla Grande Camera.
Quest’ultima, con la sentenza odierna, ha lasciato al margine di discrezionalità degli Stati la decisione se esporre i simboli religiosi nelle aule scolastiche, limitandosi a controllare che non vi fosse indottrinamento. Ciò è stato escluso perché, secondo la Corte, il crocifisso è un simbolo essenzialmente passivo, la cui influenza sugli alunni non può essere paragonata a un discorso didattico o alla partecipazione ad attività religiose. Inoltre, la Corte ha dato importanza alle caratteristiche di tolleranza dell’ordinamento italiano nel quale lo spazio scolastico è aperto a tutte le religioni. Si è ricordato, ad esempio, che il fatto di portare simboli e di indossare tenute a connotazione religiosa non è proibito agli alunni, le pratiche relative alle religioni non maggioritarie sono prese in considerazione, è possibile organizzare l’insegnamento religioso facoltativo per tutte le religioni riconosciute, la fine del Ramadan è spesso festeggiata nelle scuole. Infine la Corte ha sottolineato che è lasciato intatto il diritto dei genitori di istruire i figli secondo le proprie convinzioni religiose.
La Corte ha considerato quindi il crocifisso come un simbolo passivo. Nel nostro ordinamento, invece, a questa concezione se ne affiancano altre due: quella che lo vede come un simbolo laico, espressione dell’identità culturale e storica del popolo italiano, e l’altra che lo considera un simbolo di laicità, in quanto incarna i valori di tolleranza che ne costituiscono il contenuto.
Con questa decisione la Corte, molto opportunamente, ha lasciato agli Stati la concezione di laicità da adottare. Il nostro ordinamento appare particolarmente maturo perché accoglie una nozione positiva di laicità che non è vista, a differenza della concezione francese, come indifferenza ed estraneità dello Stato nei confronti del fenomeno religioso, ma come valutazione positiva di esso, fino ad arrivare al sostegno attivo. Inoltre la non indifferenza dello Stato è comunque improntata ad equidistanza, imparzialità e neutralità rispetto a tutte le confessioni religiose, realizzando un multiculturalismo nella tolleranza.
La controversia, com’è noto, traeva origine da un ricorso presentato dalla sig.ra Lautsi la quale affermava che l’esposizione del crocifisso nelle aule frequentate dai figli era in contrasto con la libertà religiosa e con il proprio diritto di garantire ai figli un’educazione e un insegnamento conformi alle proprie convinzioni religiose e filosofiche. Il ricorso era stato inizialmente accolto con la sentenza di Camera del 3 novembre 2009, ma il Governo italiano aveva impugnato la decisione dinanzi alla Grande Camera.
Quest’ultima, con la sentenza odierna, ha lasciato al margine di discrezionalità degli Stati la decisione se esporre i simboli religiosi nelle aule scolastiche, limitandosi a controllare che non vi fosse indottrinamento. Ciò è stato escluso perché, secondo la Corte, il crocifisso è un simbolo essenzialmente passivo, la cui influenza sugli alunni non può essere paragonata a un discorso didattico o alla partecipazione ad attività religiose. Inoltre, la Corte ha dato importanza alle caratteristiche di tolleranza dell’ordinamento italiano nel quale lo spazio scolastico è aperto a tutte le religioni. Si è ricordato, ad esempio, che il fatto di portare simboli e di indossare tenute a connotazione religiosa non è proibito agli alunni, le pratiche relative alle religioni non maggioritarie sono prese in considerazione, è possibile organizzare l’insegnamento religioso facoltativo per tutte le religioni riconosciute, la fine del Ramadan è spesso festeggiata nelle scuole. Infine la Corte ha sottolineato che è lasciato intatto il diritto dei genitori di istruire i figli secondo le proprie convinzioni religiose.
La Corte ha considerato quindi il crocifisso come un simbolo passivo. Nel nostro ordinamento, invece, a questa concezione se ne affiancano altre due: quella che lo vede come un simbolo laico, espressione dell’identità culturale e storica del popolo italiano, e l’altra che lo considera un simbolo di laicità, in quanto incarna i valori di tolleranza che ne costituiscono il contenuto.
Con questa decisione la Corte, molto opportunamente, ha lasciato agli Stati la concezione di laicità da adottare. Il nostro ordinamento appare particolarmente maturo perché accoglie una nozione positiva di laicità che non è vista, a differenza della concezione francese, come indifferenza ed estraneità dello Stato nei confronti del fenomeno religioso, ma come valutazione positiva di esso, fino ad arrivare al sostegno attivo. Inoltre la non indifferenza dello Stato è comunque improntata ad equidistanza, imparzialità e neutralità rispetto a tutte le confessioni religiose, realizzando un multiculturalismo nella tolleranza.
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