"Giustizia a teatro": Nichi Vendola redime Masaniello

Vendola nei panni di Masaniello
di Maria Teresa Lattarulo. Non è facile giudicare i personaggi storici, perché essi portano spesso con sé un’aura di grandezza ambigua, nel bene e nel male. E’ il caso di Tommaso Aniello d’Amalfi detto Masaniello: fu un eroe-patriota o un sovversivo pluriomicida? Fu un disinteressato rappresentante del popolo o un populista che strumentalizzò la volontà popolare per la realizzazione di interessi personali?
La rassegna “Giustizia a teatro”, realizzata dal comitato scientifico “Organizzare la Giustizia”, presieduto dal Procuratore di Bari, Antonio Laudati, e del quale fanno parte rappresentanti degli Enti locali, dell’Università, degli Ordini degli Avvocati e dei Giornalisti e dell’Assostampa, attraverso lo strumento del processo, vuole sciogliere il dubbio sulla colpevolezza di queste celebri figure. I principi della parità delle armi tra accusa e difesa e del giudice terzo e imparziale mostrano così la loro importanza nell’accertamento della verità sui grandi problemi della storia.
I protagonisti del processo-spettacolo svoltosi mercoledì 23 marzo al Petruzzelli, presentato da Antonio Stornaiolo, sono stati l’imputato Masaniello, interpretato dall’on. Nichi Vendola, il presidente della Corte, prof. Giorgio Otranto, professore ordinario di Storia del cristianesimo e delle chiese presso la facoltà di Lettere dell’Università degli Studi di Bari, il pubblico ministero, dott. Giancarlo Caselli, Procuratore della Repubblica di Torino, il consulente del pubblico ministero, prof. Giuseppe Galasso, docente di Storia moderna presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli e l’avvocato difensore, prof. Avv. Giuseppe Spagnolo, professore ordinario di diritto penale presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Bari.
Il processo ha assolto dinanzi alla storia il "Re dei Lazzari"
L’imputato ha fatto il suo ingresso vestito di umili panni e con in mano un povero bastone, lo scettro del “Re dei lazzari”. Ha ascoltato i capi d’imputazione per fatti commessi a Napoli nel periodo 7/16 luglio 1647: associazione sovversiva, per avere promosso, costituito, organizzato e diretto un’associazione armata diretta a sovvertire violentemente gli ordinamenti sociali ed economici costituiti nel Regno di Napoli, impossessamento di armi, incendio, procurata evasione, omicidio volontario plurimo, per aver cagionato la morte di più persone per rappresaglia o condannandole alla pena capitale con l’aggravante di aver agito con abuso dei suoi poteri e di aver agito con crudeltà, nonché violazione del domicilio del Vicerè e violenza e minaccia per costringere decine di famiglie che abitavano nel suo quartiere a lasciare le loro case per poter costruire un palazzo per sé in piazza del Popolo. E’ stato interrogato e si è difeso strenuamente dall’accusa di interesse personale che macchia la sua reputazione e lo priva del senso di tutto il suo operato. Ha ascoltato la requisitoria del pubblico ministero che ha manifestato la difficoltà di pervenire ad una condanna nei confronti di un protagonista della nostra storia nazionale che si potrebbe definire un patriota ante litteram. E’ stato infine assolto per la risultanza di tre verdetti: quello di innocenza pronunziato dalla giuria mediatica composta da giornalisti, quello di colpevolezza pronunziato dal giudice e quello di innocenza pronunziato dalla giuria popolare, per settecentoquaranta voti contro trecentoquattordici.
Nel giudizio dei posteri su questo pescivendolo napoletano di ventisette anni che si è fatto rappresentante del popolo contro le ingiustizie dei potenti, la clemenza è stata più forte della giustizia.

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