Libia: chi sono i veri nemici d'Oriente di Gheddafi?

di Roberta Calò. All’inizio di marzo Nicolas Sarkozy aveva dato il via alla sua crociata umanitaria in Libia contro Gheddafi. Il settimanale Le Canard enchaîné del 16 marzo rende noto che a Bengasi giunge un carico di cannoni da 105 millimetri e di batterie antiaeree scortati da istruttori militari pronti all’addestramento degli insorti. La scelta è accompagnata da un discordante sfondo politico in cui per esempio l’ex presidente del Front National Jean-Marie Le Pen ha dichiarato: “Accuso il governo francese di aver preparato questa guerra, di averla premeditata”. Vista la linea intrapresa dal governo francese non appare strano che l’ex braccio destro del colonnello libico, Nouri Mesmari abbia messo a disposizione della Francia, già da ottobre, tutte le informazioni necessarie per entrare in azione in cambio di asilo politico.
E mentre in Italia si negava l’evidenza su quanto stava accadendo, a Londra e Parigi era stato già designato il nome in codice dell’operazione: South Mistral (ora tramuta in Harmattan o Odissey Dawn). Non è mancato il repentino supporto degli Usa che ha lasciato interdetti tanti che, come il presidente della Bolivia Evo Morales, si saranno posti la domanda: "Come è possibile che un premio Nobel per la Pace possa avviare un'invasione, un bombardamento?”. La risposta giunge nelle sue parole conclusive palesando l’intenzione dell’America “di appropriarsi delle risorse naturali di questo Paese”. Non è dunque più un mistero sulle reali motivazioni per cui l’attenzione internazionale punta alle rivolte della Libia piuttosto che su altri paesi, se già il presidente della Commissione Difesa al Senato italiano,Giampiero Cantoni aveva dichiarato: “Dobbiamo tutelare i nostri interessi. Abbiamo importanti investimenti in Libia, in particolare nel campo energetico, che vedono l'Eni attore fondamentale. L'atteggiamento della Francia non è accettabile, c'è il pericolo che Francia e Inghilterra vogliano andare oltre il mandato dell'Onu. Forse anche con la finalità di relegare il nostro Paese in secondo piano”. La guerra interna per primeggiare sul ruolo che ciascuna nazione occidentale vorrebbe assumere in questa coalizione è partita. Resta da porsi, a questo punto, un interrogativo su chi siano i reali nemici di Gheddafi e a chi l’occidente abbia fornito le armi per insorgere contro il, teoricamente, sanguinario tiranno per poter attingere a piene mani dalle fonti petrolifere libiche. Per giungere ad una risposta occorre precisare qualche dettaglio storico. In molti Paesi dell’Africa Nera da oltre una trentina di anni si susseguono sanguinose guerre alimentate sottobanco dagli armamenti forniti dai medesimi paesi occidentali che poi partono per missioni umanitarie. L’industri bellica risulta una fonte economica di non poco conto, oltre quella petrolifera. Uno studio approfondito del noto giornalista Alberto Mariantoni, militante da anni nelle questioni del mondo orientale, dimostra come “la rivolta generalizzata dell’intera popolazione libica, contro il regime del Colonnello Gheddafi, ha piuttosto l’aria di essere un’ordinaria o straordinaria insurrezione di alcune frazioni di Tribù del Paese, contro quelle – senz’altro molto più numerose (almeno il 60%, su all’incirca 140 tribù che conta la Libia) – che continuano ad appoggiare e sostenere il medesimo regime”.
Si tratta dunque di una “Setta o Confraternita mistico-missionaria-militante dell’Islam” nota come Senussiya. Questa tariqa (confraternita) nata in Libia nel 1843, nella sua estremizzazione del credo islamico e “delle sue innovazioni dottrinali ha generalmente tendenza ad essere contestato e condannato” dai teologi islamici delle altre scuole. Cresciuta e sviluppatasi smisuratamente raccogliendo consensi anche in Egitto e in Algeria, la Senussiya si va sempre più configurando come “organizzazione di iniziati ideologico-teologico-religiosi (khuan) che è estremamente e particolarmente ordinata, affiatata e strutturata. Una specie di organismo para-militare” tesa a portare avanti la propria lettura della dottrina contro tutto e tutti; a maggior ragione in situazioni di rivolta aperta come quella contro il regime di Gheddafi. “E’ questa Setta politico-religiosa, -rivela Mariantoni- per intenderci, che è la famosa al-Qaida di cui continua sistematicamente a parlare il Colonnello libico, nei suoi ormai quasi quotidiani ed accalorati speech televisivi. E contro la quale, sin dall’inizio della rivolta, minacciandola di drastiche e sanguinose rappresaglie, ha cercato di mettere in guardia quelli che, fino al giorno prima, lui aveva ingenuamente creduto che fossero davvero diventati i suoi “amici” dell’Occidente!”.
Si dovrebbe pertanto aprire in ognuno di noi un critico e auto-riflessivo dibattito su due questioni fondamentali: come mai l’insurrezione libica apparentemente generalizzata sia partita proprio in quelle zone in cui tale setta è particolarmente pregnante e come mai i dirigenti della Senussiya siano improvvisamente e simultaneamente insorti, supportati da “consiglieri di specialisti miltari fatti espressamente giungere dall’Afghanistan”, contro Gheddafi.

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