Yara: è caccia ad un 40enne

di Roberta Calò. Proseguono le indagini sul caso Gambirasio e questa volta si dirigono in direzione scientifica. Sono infatti stati prelevati diversi tamponi di saliva di frequentatori del centro sportivo di Brembate per poterli confrontare con le tracce di dna trovate sui guanti della vittima. La raccolta di codici genetici da paragonare non avviene all’insaputa, ma come diretta volontà delle persone che si sono sottoposte, molte delle quali papà delle ragazze che frequentano il centro.

S'INDAGA SU UN 40ENNE - Intanto non mancano anche in questo i casi colpi di scena; secondo indiscrezioni lasciate trapelare dal giornale Panorama, la cui notizia verrà pubblicata il 18 marzo, nel mirino degli inquirenti ci potrebbe essere un uomo di 40 anni che si trovava in prossimità della palestra la sera della scomparsa di Yara e che non risulta completamente estraneo al mondo della giovane ginnasta. Il rapporto che legava questa persona e la ragazza è stato definito almeno per ora ama senza ulteriori e accertati approfondimenti " molto interessante".

IL SINDACO DI BREMBATE - In attesa dei riscontri, il sindaco di Brembate Diego Locatelli fa sapere che: “La prossima settimana i genitori di Yara potrebbero sapere qualcosa di più preciso sulla data dei funerali”; non manca un appunto a quanto dichiarato dal procuratore aggiunto Meroni nel corso della conferenza stampa tenutasi nei giorni scorsi per fare il punto della situazione sulle indagini in corso: “Sono parole che non mi hanno entusiasmato - ha detto Locatelli - ma sinceramente non mi aspettavo molto di più. Si capisce che non hanno niente in mano, lasciamoli lavorare e aspettiamo. Siamo ancora in tempo, ma la richiesta che abbiamo formulato subito dopo il ritrovamento di Yara, interpretando anche il pensiero dei suoi genitori, è tuttora valida e legittima: vogliamo sapere chi è stato. Rispetto la professionalità di tutti - ha spiegato il sindaco - ma anche loro dovranno rendere conto della loro competenza e della loro responsabilità. Ancora non si sa nulla al riguardo e il fatto di sapere che forse l'assassino non è del paese non mi rende più o meno contento. Sono pronto a qualsiasi soluzione”.

LETTERA DALLE FORZE DELL'ORDINE - Molte domande a cui non si trovava risposta circa le dinamiche che hanno fallito nelle modalità di ricerche e di gestione del caso della piccola Yara Gambirasio giungono inaspettatamente in una lettera scritta da due esponenti delle forze dell’ordine che per ovvi motivi hanno deciso di restare anonimi ma che portano alla luce tristi realtà oscure all’opinione pubblica italiana. “ Quella in cui ci ritroviamo a vivere è una surreale atmosfera di asfissiante smarrimento, talmente pesante da sconfinare nello sconforto. Avvertiamo un livello tale di rabbia e scoramento che non ci possiamo più esimere dal non esprimerlo. Aleggia nell'aria una sorta di senso diffuso di impotenza che si tramuta in consequenziale pessimismo sull'esito delle indagini. Una situazione contraddittoria e deleteria che sentiamo l'esigenza di spiegare, oltre che approfondire. Sottolineiamo questo, sgombrare il campo da strumentalizzazioni di sorta o di parte e il sorgere di sterili polemiche prive di spirito costruttivo. Ispirandoci a Martin Luther King, che sosteneva che «le nostre vite cominciano a finire il giorno in cui stiamo zitti di fronte alle cose che contano», nemmeno noi in questo momento possiamo restare in silenzio. Potremo sbagliarci, ma negli ultimi tre mesi abbiamo assistito ad una gestione delle indagini da parte degli inquirenti perlomeno discutibile e oggettivamente farraginosa e, non da ultimo, improduttiva. Senza gettare la croce addosso a nessuno (buona fede ed impegno non sono in discussione), forse la chiave di questo insuccesso investigativo è da ricercarsi nella cronica assenza (storica) di sinergia tra carabinieri e polizia. La questione è annosa e di vecchia data, ma si ripropone in maniera antipatica e puntuale, eppure non si riesce a comprendere quando questo Paese capirà (ed ammetterà) quanto sia deleterio il dualismo tra due forze dell'ordine che invece di condividere mezzi, uomini e risorse, finiscono per nascondere alla controparte informazioni ed indizi, con l'unico risultato di non raggiungere mai il traguardo consolandosi che nemmeno i cugini (di un versante o dell'altro) sono riusciti a raggiungerlo. Semplicemente avvilente! Il caso della scomparsa di Yara prima e della scoperta del suo povero corpo deturpato, ha di nuovo portato alla ribalta il problema: il palese conflitto di interessi e attribuzioni tra i vertici dell'Arma dei carabinieri e della polizia di Stato, che determina, con puntualità ossessiva, una chiara, evidente dispersione di forze e di energie, a discapito della scoperta della verità d'indagine. Sconcertante, inoltre, e non possiamo davvero sorvolare sulla questione, la direzione e la conduzione delle indagini affidata alla magistratura che, alla prova dei fatti, si è dimostrata impreparata o per lo meno avventata nel suo incedere, come testimoniato in modo eclatante nella circostanza dell'arresto di un cittadino straniero (determinato da un'errata traduzione di una conversazione telefonica) rintracciato a bordo di una nave fatta rientrare apposta nelle acque territoriali italiane (!). E non da ultimo, come non citare le circostanze (evidenziate ampiamente da numerosi organi di stampa) del nuovo sequestro, a distanza di giorni, dell'area del ritrovamento del cadavere di Yara per l'effettuazione di rilievi scientifici chiaramente ormai «inquinati» dal libero accesso di giornalisti e gente comune dei giorni precedenti. Ad ogni modo, al di là delle questioni prettamente tecniche ed investigative, la drammatica ed assurda vicenda dell'assassinio della piccola Yara ha indelebilmente segnato tutta la società civile e spolverato ogni coscienza, nessuna esclusa. Proprio per questo motivo, la magistratura e le forze dell'ordine avrebbero, anzi «hanno», il dovere di fare il loro dovere nel massimo della trasparenza, assicurando alla giustizia colui (o coloro) che hanno commesso l'omicidio o che ad esso sono connessi. Questa lettera non è uno sfogo ma solo un'ammissione pubblica che se le cose a volte non vanno come dovrebbero, le responsabilità non si possono sempre camuffare. È troppa l'amarezza per l'evoluzione della vicenda, dal punto di vista investigativo, e per quello che, ahinoi, ci ritroviamo a vedere da chi osserva da una visuale privilegiata come la nostra. Troppa, per continuare a comprimerla nel silenzio. Non ci resta che guardare avanti e sforzarci di pensare positivo. Quello che in cuor nostro auspichiamo per il futuro è una vera ed autentica collaborazione tra le forze di polizia e una maggiore responsabilità da parte della magistratura, per poter garantire una pretesa e legittima richiesta di giustizia e sicurezza. Inoltre, invochiamo anche maggior rispetto per tutti coloro che «volontariamente» (quindi spontaneamente) hanno contribuito alle ricerche di Yara. Ci riferiamo a tutti i volontari della Protezione civile, preziosi per l'opera prestata sacrificando tempo e risorse personali in nome di un ideale sempre più sbiadito nei cieli della nostra società: la solidarietà. E scusaci Yara, a nome di tutti noi, se sei finita per diventare motivo di un assurdo contendere investigativo. Perdonaci, se puoi”.

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