di Roberta Calò
Conclusa la prima parte dell’autopsia: è stato stabilito che il corpo di Yara Gambirasio si trovava lì dall’inizio, da tre mesi. Le ferite da taglio e un po’ di terriccio con un ciuffo d’erba stretti nella mano della vittima sono forse il segno di un tentativo della ragazza di reagire, di cercare di restare ancora attaccata alla vita. Forse ha cercato una via di fuga ma le ferite di arma da taglio sul collo e sulla schiena hanno forse frenato il suo tentativo di ribellione ai suoi carnefici.
Pantacollant, felpa, scarpe da ginnastica, nastro tra i capelli: tutto in perfetto ordine; solo gli slip erano stati tagliati sul lato destro. Non si presuppone violenza in quanto lo slip potrebbe essersi lacerato a seguito della coltellata sferrata all’altezza dei reni su quel punto preciso.
Ancora difficile stabilire se c’è stata violenza o meno, per questo bisognerà attendere esami più approfonditi. Resta ora nelle mani della polizia scientifica il compito di comprendere i motivi per cui l’assassino ha portato via il cellulare lasciando sim e batteria. Per qualcuno non si tratta di assassinio seriale e gli oggetti ritrovati non sembrerebbero nemmeno rappresentare una firma al delitto; per altri quegli oggetti sono una sfida lanciata alle forze dell’ordine.
Il magistrato Simonetta Martone ha dichiarato: “Questo tipo di assassini vanno cercati vicini alla vittima. Di solito la verità è molto più banale di quello che sia”. Il giudice ha peraltro ipotizzato che se l’assassino avesse agito con i guanti, sarebbe stato molto difficile sfilare una sim dal cellulare; in ogni caso si tratterebbe di uomo che ha agito a sangue freddo e che, mettendo a frutto le sue minime conoscenze in ambito tecnologico, ha ben ipotizzato che il cellulare avrebbe potuto spianare la strada alle indagini e pertanto l’ha portato via. Gli inquirenti non escludono l’ipotesi che l’assassino avrebbe potuto perfino, sotto minaccia, obbligato Yara a togliere sim e batteria dal suo apparecchio telefonico.
Suor Claudia Clavelli, preside della scuola Maria Vergine ha dichiarato: “Chi ha commesso un atto del genere dovrebbe ritrovare la propria umanità, che in questo momento vuol dire legalmente costituirsi e riconoscere il proprio errore. Parlare di perdono adesso vuol dire banalizzarlo. Il perdono bisogna costruirselo dentro”.
Secondo lo psichiatra Crepet si potrebbe trattare di una persona giovane, che ha quindi facilmente approcciato con una tredicenne, con problemi a relazionarsi con gli altri e con delle macchie psicologiche che lo identificherebbero come una persona apparentemente normale ma psicologicamente pericolosa. Anche per questo la piccola cittadina di Brembate trema al sol pensiero che un assassino, “un orco”, possa ancora agirarsi per le strade del paesino rappresentando una minaccia per gli abitanti. Uomini, donne, bambini, compagni di classe contro la paura, contro la violenza, contro la cattiveria hanno sfidato la crudeltà umana con la compassione, con la preghiera, con la riflessione prendendo parte ad una veglia che ieri ha avuto inizio alle 20,15 nella chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta a Brembate Sopra con le parole di Don Corinno: “È un momento molto difficile e può sembrare che il Signore non abbia ascoltato le nostre preghiere. Ma le nostre preghiere, questa sera, si trasformano in lodi a Dio per i miracoli che l'angosciante vicenda di Yara ha prodotto nella nostra comunità. o parlerei piuttosto della banalità del male. Il male è in mezzo a noi e dentro di noi. Non basta colpevolizzare qualcuno bisogna lavorare perché questo male che è dentro di noi non sfoci in atti di questo genere”. Poi il parroco si è fatto portavoce di un messaggio dei genitori della vittima: “L'unica cosa che possiamo dire è un grazie immenso a tutti coloro che ci stanno vicini”.
Sono molti i punti su cui far luce; innanzitutto come mai in una zona battuta in lungo e in largo nessuno abbia trovato il corpo.
L’uomo che l’ha ritrovata, Ilario Scotti, ha commentato: “Ho visto il mio aereoplanino e poi il corpo a un metro e mezzo. A un primo momento sembrava un manichino ma non focalizzavo. Ho chiamato subito la polizia. (L’immagine) ce l’ho stampata anche se non sono stato lì a vedere. L’ho vista solo tre volte”. Si brancola nel buio sul come mai il corpo non sia stato ritrovato prima; non si sa se l’assassino sia un abitante locale ma di sicuro conosce bene quei luoghi, luoghi isolati, con sterpaglie molto alte adatte a nascondere un omicidio e un occultamento di cadavere. La zona, secondo quanto riferiscono gli autoctoni, si trova in prossimità della discoteca “Le Sabbie Mobili” ed è bazzicata perlopiù da prostitute, spacciatori, persone poco raccomandabili.
L’uso di cocaina, è stato fatto notare dallo stesso Crepet, comporta attacchi di violenza compulsiva; peraltro la stessa persona era in possesso, e non casuale, di un’ arma con cui ha poi consumato il delitto. L’ipotesi più avvallata è quella di un assassino giovane.
La polizia, intanto, lavora sui tabulati telefonici per capire se il telefonino di Yara abbia lasciato un percorso, una traccia, prima che la ragazza fosse costretta a spegnerlo. Negli ambienti investigativi è stato proposto di effettuare prelievi di sangue per verificare il Dna di coloro che abitano in zona e hanno a carico precedenti penali per aggressioni a sfondo sessuale.
Il controllo incrociato starebbe passando in rassegna tutti i cellulari presenti nella zona della scomparsa e del ritrovamento. La ragazza ha ricevuto l’ultimo messaggio 18.45 e ha risposto entro le 18.55. Alle 19.01 la madre avrebbe chiamato la figlia ma il cellulare era già spento. Si pensa che forse la ragazza sia potuta salire a bordo di un’auto di una persona di cui si fidava e in quel frangente, forse, la giovane ginnasta continuava a messaggiare. Aderendo a tale ipotesi, è probabile che la ragazza conoscesse il suo aggressore in quanto non ha opposto resistenza alla persona che la stava conducendo in un luogo lontano da casa sua. Anche per questo motivo si stanno analizzando nuovamente le persone che erano inizialmente state ascoltate.
D’aiuto si spera possano essere anche le telecamere di sicurezza dei capannoni industriali limitrofi nelle cui immagini potrebbero nascondersi indizi utili.
Sono stati setacciati settecentocinquanta chilometri quadrati di quel campo a dodici chilometri da Brembate per mano di protezione civile e forze dell’ordine; gli stessi operai dell’industria vicina hanno continuato a lavorare e Ilario Scotti, l’uomo che ha ritrovato il corpo, si era recato anche nei giorni prima in quel campo senza accorgersi di nulla. Nel mirino della polemica ora si troveranno sicuramente le forze implicate nelle ricerche che non hanno portato alla luce un corpo che si trovava a soli dodici chilometri dal luogo della scomparsa. Un volontario in preda all’ira ha dichiarato: “Ci siamo fatti un mazzo così per tre mesi e non possono tirarci la croce addosso. Noi non siamo manovalanza, il modo in cui veniamo utilizzati non dipende da noi. Non si può giocare allo scaricabarile proprio con noi”. L'assessore alla Protezione Civile in primis ha dichiarato: "Che nessuno osi mettere in dubbio il lavoro svolto volontariamente da centinaia di uomini che con grande spirito di sacrificio, con abnegazione, mettendo spesso da parte gli affetti familiari, si sono prodigati fino all'inverosimile". "L'instancabile impegno sotto la pioggia e la neve, con temperature sotto lo zero e in zone spesso impervie non può essere sottovalutato o peggio denigrato" - ha spiegato La Russa - "pur ricordando che l'uomo e le sue azioni sono sempre perfettibili". "Il dolore e lo sgomento dei familiari è il dolore delle centinaia di volontari della Protezione Civile che quotidianamente, per tre mesi, hanno setacciato strade, campi, sterrati, boschi e fiumi" - ha concluso l'assessore, ringraziando i "numerosi gruppi di volontari provenienti da ogni parte della Lombardia, ognuno con il suo bagaglio di competenze ed esperienza".
Conclusa la prima parte dell’autopsia: è stato stabilito che il corpo di Yara Gambirasio si trovava lì dall’inizio, da tre mesi. Le ferite da taglio e un po’ di terriccio con un ciuffo d’erba stretti nella mano della vittima sono forse il segno di un tentativo della ragazza di reagire, di cercare di restare ancora attaccata alla vita. Forse ha cercato una via di fuga ma le ferite di arma da taglio sul collo e sulla schiena hanno forse frenato il suo tentativo di ribellione ai suoi carnefici.
Pantacollant, felpa, scarpe da ginnastica, nastro tra i capelli: tutto in perfetto ordine; solo gli slip erano stati tagliati sul lato destro. Non si presuppone violenza in quanto lo slip potrebbe essersi lacerato a seguito della coltellata sferrata all’altezza dei reni su quel punto preciso.
Ancora difficile stabilire se c’è stata violenza o meno, per questo bisognerà attendere esami più approfonditi. Resta ora nelle mani della polizia scientifica il compito di comprendere i motivi per cui l’assassino ha portato via il cellulare lasciando sim e batteria. Per qualcuno non si tratta di assassinio seriale e gli oggetti ritrovati non sembrerebbero nemmeno rappresentare una firma al delitto; per altri quegli oggetti sono una sfida lanciata alle forze dell’ordine.
Il magistrato Simonetta Martone ha dichiarato: “Questo tipo di assassini vanno cercati vicini alla vittima. Di solito la verità è molto più banale di quello che sia”. Il giudice ha peraltro ipotizzato che se l’assassino avesse agito con i guanti, sarebbe stato molto difficile sfilare una sim dal cellulare; in ogni caso si tratterebbe di uomo che ha agito a sangue freddo e che, mettendo a frutto le sue minime conoscenze in ambito tecnologico, ha ben ipotizzato che il cellulare avrebbe potuto spianare la strada alle indagini e pertanto l’ha portato via. Gli inquirenti non escludono l’ipotesi che l’assassino avrebbe potuto perfino, sotto minaccia, obbligato Yara a togliere sim e batteria dal suo apparecchio telefonico.
Suor Claudia Clavelli, preside della scuola Maria Vergine ha dichiarato: “Chi ha commesso un atto del genere dovrebbe ritrovare la propria umanità, che in questo momento vuol dire legalmente costituirsi e riconoscere il proprio errore. Parlare di perdono adesso vuol dire banalizzarlo. Il perdono bisogna costruirselo dentro”.
Secondo lo psichiatra Crepet si potrebbe trattare di una persona giovane, che ha quindi facilmente approcciato con una tredicenne, con problemi a relazionarsi con gli altri e con delle macchie psicologiche che lo identificherebbero come una persona apparentemente normale ma psicologicamente pericolosa. Anche per questo la piccola cittadina di Brembate trema al sol pensiero che un assassino, “un orco”, possa ancora agirarsi per le strade del paesino rappresentando una minaccia per gli abitanti. Uomini, donne, bambini, compagni di classe contro la paura, contro la violenza, contro la cattiveria hanno sfidato la crudeltà umana con la compassione, con la preghiera, con la riflessione prendendo parte ad una veglia che ieri ha avuto inizio alle 20,15 nella chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta a Brembate Sopra con le parole di Don Corinno: “È un momento molto difficile e può sembrare che il Signore non abbia ascoltato le nostre preghiere. Ma le nostre preghiere, questa sera, si trasformano in lodi a Dio per i miracoli che l'angosciante vicenda di Yara ha prodotto nella nostra comunità. o parlerei piuttosto della banalità del male. Il male è in mezzo a noi e dentro di noi. Non basta colpevolizzare qualcuno bisogna lavorare perché questo male che è dentro di noi non sfoci in atti di questo genere”. Poi il parroco si è fatto portavoce di un messaggio dei genitori della vittima: “L'unica cosa che possiamo dire è un grazie immenso a tutti coloro che ci stanno vicini”.
Sono molti i punti su cui far luce; innanzitutto come mai in una zona battuta in lungo e in largo nessuno abbia trovato il corpo.
L’uomo che l’ha ritrovata, Ilario Scotti, ha commentato: “Ho visto il mio aereoplanino e poi il corpo a un metro e mezzo. A un primo momento sembrava un manichino ma non focalizzavo. Ho chiamato subito la polizia. (L’immagine) ce l’ho stampata anche se non sono stato lì a vedere. L’ho vista solo tre volte”. Si brancola nel buio sul come mai il corpo non sia stato ritrovato prima; non si sa se l’assassino sia un abitante locale ma di sicuro conosce bene quei luoghi, luoghi isolati, con sterpaglie molto alte adatte a nascondere un omicidio e un occultamento di cadavere. La zona, secondo quanto riferiscono gli autoctoni, si trova in prossimità della discoteca “Le Sabbie Mobili” ed è bazzicata perlopiù da prostitute, spacciatori, persone poco raccomandabili.
L’uso di cocaina, è stato fatto notare dallo stesso Crepet, comporta attacchi di violenza compulsiva; peraltro la stessa persona era in possesso, e non casuale, di un’ arma con cui ha poi consumato il delitto. L’ipotesi più avvallata è quella di un assassino giovane.
La polizia, intanto, lavora sui tabulati telefonici per capire se il telefonino di Yara abbia lasciato un percorso, una traccia, prima che la ragazza fosse costretta a spegnerlo. Negli ambienti investigativi è stato proposto di effettuare prelievi di sangue per verificare il Dna di coloro che abitano in zona e hanno a carico precedenti penali per aggressioni a sfondo sessuale.
Il controllo incrociato starebbe passando in rassegna tutti i cellulari presenti nella zona della scomparsa e del ritrovamento. La ragazza ha ricevuto l’ultimo messaggio 18.45 e ha risposto entro le 18.55. Alle 19.01 la madre avrebbe chiamato la figlia ma il cellulare era già spento. Si pensa che forse la ragazza sia potuta salire a bordo di un’auto di una persona di cui si fidava e in quel frangente, forse, la giovane ginnasta continuava a messaggiare. Aderendo a tale ipotesi, è probabile che la ragazza conoscesse il suo aggressore in quanto non ha opposto resistenza alla persona che la stava conducendo in un luogo lontano da casa sua. Anche per questo motivo si stanno analizzando nuovamente le persone che erano inizialmente state ascoltate.
D’aiuto si spera possano essere anche le telecamere di sicurezza dei capannoni industriali limitrofi nelle cui immagini potrebbero nascondersi indizi utili.
Sono stati setacciati settecentocinquanta chilometri quadrati di quel campo a dodici chilometri da Brembate per mano di protezione civile e forze dell’ordine; gli stessi operai dell’industria vicina hanno continuato a lavorare e Ilario Scotti, l’uomo che ha ritrovato il corpo, si era recato anche nei giorni prima in quel campo senza accorgersi di nulla. Nel mirino della polemica ora si troveranno sicuramente le forze implicate nelle ricerche che non hanno portato alla luce un corpo che si trovava a soli dodici chilometri dal luogo della scomparsa. Un volontario in preda all’ira ha dichiarato: “Ci siamo fatti un mazzo così per tre mesi e non possono tirarci la croce addosso. Noi non siamo manovalanza, il modo in cui veniamo utilizzati non dipende da noi. Non si può giocare allo scaricabarile proprio con noi”. L'assessore alla Protezione Civile in primis ha dichiarato: "Che nessuno osi mettere in dubbio il lavoro svolto volontariamente da centinaia di uomini che con grande spirito di sacrificio, con abnegazione, mettendo spesso da parte gli affetti familiari, si sono prodigati fino all'inverosimile". "L'instancabile impegno sotto la pioggia e la neve, con temperature sotto lo zero e in zone spesso impervie non può essere sottovalutato o peggio denigrato" - ha spiegato La Russa - "pur ricordando che l'uomo e le sue azioni sono sempre perfettibili". "Il dolore e lo sgomento dei familiari è il dolore delle centinaia di volontari della Protezione Civile che quotidianamente, per tre mesi, hanno setacciato strade, campi, sterrati, boschi e fiumi" - ha concluso l'assessore, ringraziando i "numerosi gruppi di volontari provenienti da ogni parte della Lombardia, ognuno con il suo bagaglio di competenze ed esperienza".
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