di Vittorio Polito. La Chiesa di San Gregorio è una piccola chiesa che sorge ai margini della piazzetta di San Nicola, edificata da un certo Adralisto, come ricorda mons. Nicola Milano nel suo libro «Le chiese della Diocesi di Bari» (Levante Editori).
La prima notizia è contenuta in una pergamena dell’Archivio di San Nicola del 1015. Notizie più attendibili risultano da un prezioso documento del 1089 sia per la storia della chiesa di San Gregorio che per la stessa Basilica di San Nicola, dal quale si apprende che l’Abate Elia, arcivescovo di Bari e Canosa, acquista per cento soldi due case “terranee”, di proprietà di un certo “Nicolaus”, che si trovano nella corte del Catapano, forse con lo scopo di fare spazio nella costruenda Basilica ed al complesso edilizio che doveva sorgere intorno.
In un altro documento del 1136 vi è altra citazione con l’indicazione della sua origine gentilizia, ed ancora, in altra pergamena del 1210 si fa il nome di un certo Giovanni sacerdote di San Gregorio “De Adralisto”, una famiglia armena che la trasformò in cappella privata.
Dalle poche notizie che si dispongono si apprende che gli Adralisto furono al centro di lotte politiche della Bari Medievale, soprattutto intorno al 1040, quando si manifestò la crisi del dominio bizantino, e in tutta la Puglia si moltiplicarono le sollevazioni appoggiate dai normanni nel tentativo di sfruttare la situazione a proprio vantaggio. In questa girandola di vicende gli Adralisto furono coinvolti tragicamente e pagarono con la distruzione delle loro case date alle fiamme.
A giudicare dalle frequenti menzioni nei documenti dell’epoca, sembra che la vicinanza con San Nicola favorisse la vitalità della Chiesa che giuridicamente apparteneva all’Arcivescovo di Bari. In epoca angioina il clero di S. Nicola cominciò ad accarezzare l’idea di entrarne in possesso. Il momento favorevole si presentò con l’avvento di Carlo II d’Angiò (1285-1309), il più grande benefattore nella storia della Basilica. Su sua richiesta, il 22 novembre 1308, l’Arcivescovo Romualdo e molti canonici firmarono l’atto di donazione di S. Gregorio, allora detto “de Mercatello”, denominazione attribuita per l’esistenza nelle vicinanze di un mercatino probabilmente ittico, concedendo alla Basilica anche la giurisdizione temporale e spirituale.
La chiesa che durante i secoli fu soggetta a gravissime deturpazioni: ai muri esterni vennero addossate alcune fabbriche, che attaccandosi alla torre sinistra della Chiesa di S. Nicola chiudevano completamente da quel lato il primo cortile della Basilica.
La facciata è cuspidata al centro e a spioventi ai lati e tripartita da lesene, mentre il portale è sormontato da tre monofore centinate, sono adornate tutt’intorno da grani di rosario.
La chiesa ospita sull’altare maggiore un pregevole Crocifisso in legno dipinto. Trattasi di una notevole scultura del secolo XVII.
Nella Chiesa di San Gregorio sono anche conservate le statue lignee dei “Misteri” della passione che vengono portate in processione il Venerdì Santo, alternativamente con quelle della Vallisa, in seguito ad un decreto di Mons. Michele Basilio Clary del 1825. Motivo di questa disposizione, la rivalità esistente tra gli appartenenti alle due confraternite. E così dal 1825, come ricorda Vito Maurogiovanni, per evitare frequenti controversie tra le due opposte fazioni, i Misteri della Vallisa escono negli anni pari, e quelli di San Gregorio nei dispari. Pace fatta, anche se l’ironia popolare, determinata indubbiamente dall’antica rivalità , è rimasta ancora oggi. Ai Misteri della Vallisa non è stato tolto il soprannome di chiangiamiuue (piagnoni), mentre quelli della Chiesa di San Gregorio sono soprannominati vendelùse (da vento).
La prima notizia è contenuta in una pergamena dell’Archivio di San Nicola del 1015. Notizie più attendibili risultano da un prezioso documento del 1089 sia per la storia della chiesa di San Gregorio che per la stessa Basilica di San Nicola, dal quale si apprende che l’Abate Elia, arcivescovo di Bari e Canosa, acquista per cento soldi due case “terranee”, di proprietà di un certo “Nicolaus”, che si trovano nella corte del Catapano, forse con lo scopo di fare spazio nella costruenda Basilica ed al complesso edilizio che doveva sorgere intorno.
In un altro documento del 1136 vi è altra citazione con l’indicazione della sua origine gentilizia, ed ancora, in altra pergamena del 1210 si fa il nome di un certo Giovanni sacerdote di San Gregorio “De Adralisto”, una famiglia armena che la trasformò in cappella privata.
Dalle poche notizie che si dispongono si apprende che gli Adralisto furono al centro di lotte politiche della Bari Medievale, soprattutto intorno al 1040, quando si manifestò la crisi del dominio bizantino, e in tutta la Puglia si moltiplicarono le sollevazioni appoggiate dai normanni nel tentativo di sfruttare la situazione a proprio vantaggio. In questa girandola di vicende gli Adralisto furono coinvolti tragicamente e pagarono con la distruzione delle loro case date alle fiamme.
A giudicare dalle frequenti menzioni nei documenti dell’epoca, sembra che la vicinanza con San Nicola favorisse la vitalità della Chiesa che giuridicamente apparteneva all’Arcivescovo di Bari. In epoca angioina il clero di S. Nicola cominciò ad accarezzare l’idea di entrarne in possesso. Il momento favorevole si presentò con l’avvento di Carlo II d’Angiò (1285-1309), il più grande benefattore nella storia della Basilica. Su sua richiesta, il 22 novembre 1308, l’Arcivescovo Romualdo e molti canonici firmarono l’atto di donazione di S. Gregorio, allora detto “de Mercatello”, denominazione attribuita per l’esistenza nelle vicinanze di un mercatino probabilmente ittico, concedendo alla Basilica anche la giurisdizione temporale e spirituale.
La chiesa che durante i secoli fu soggetta a gravissime deturpazioni: ai muri esterni vennero addossate alcune fabbriche, che attaccandosi alla torre sinistra della Chiesa di S. Nicola chiudevano completamente da quel lato il primo cortile della Basilica.
La facciata è cuspidata al centro e a spioventi ai lati e tripartita da lesene, mentre il portale è sormontato da tre monofore centinate, sono adornate tutt’intorno da grani di rosario.
La chiesa ospita sull’altare maggiore un pregevole Crocifisso in legno dipinto. Trattasi di una notevole scultura del secolo XVII.
Nella Chiesa di San Gregorio sono anche conservate le statue lignee dei “Misteri” della passione che vengono portate in processione il Venerdì Santo, alternativamente con quelle della Vallisa, in seguito ad un decreto di Mons. Michele Basilio Clary del 1825. Motivo di questa disposizione, la rivalità esistente tra gli appartenenti alle due confraternite. E così dal 1825, come ricorda Vito Maurogiovanni, per evitare frequenti controversie tra le due opposte fazioni, i Misteri della Vallisa escono negli anni pari, e quelli di San Gregorio nei dispari. Pace fatta, anche se l’ironia popolare, determinata indubbiamente dall’antica rivalità , è rimasta ancora oggi. Ai Misteri della Vallisa non è stato tolto il soprannome di chiangiamiuue (piagnoni), mentre quelli della Chiesa di San Gregorio sono soprannominati vendelùse (da vento).