di NICOLA RICCHITELLI - Era il 21 Agosto 1999, su un anonimo Brindisi - Bologna un giovanotto pugliese di 26 anni, travestito per mestiere, femminiello nei subborghi di Parigi, cade prigioniero di un feroce branco – tra di loro un giovane barlettano di 19 anni – violentato, malmenato per oltre un ora, calpestato come una fornica mentre il resto dei passeggeri preferivano farsi i fatti propri. Cindy aveva documenti da uomo ma un profumo di donna, sequestrato e costretto a soddisfare le voglie di una decina di giovanotti senza mestiere di Barletta e Napoli che come bestie impazzite giocarono con la loro preda, prima deridendola e poi schiacciandola senza pietà .
Cindy cercò di difendersi con le parole prima e le lacrime poi, pregandoli a lungo di lasciarla in pace: «Piangevo ma quelli non smettevano. Ho creduto di morire, più imploravo più si accanivano e mi deridevano». Su quell’Espresso Lecce – Bolzano, Cindy vi era salita da Fasano (Brindisi), alle 19 in punto. In stazione aveva conosciuto un ragazzo con i suoi stessi problemi, e con lui aveva preso posto in una carrozza di seconda classe. Tutto bene fino a Rimini, qualche chiacchiera, un pisolino, poi ancora il racconto di un pezzo della sua difficile vita passata sui marciapiedi parigini. Quasi una pellicola in bianco nero srotolata a bassa voce sotto la luce giallognola e fioca d’un treno triste. Alle tre erano tutti addormentati quando la città viaggiante, terra di nessuno, fu scossa dall’orda di barbari dei bassi napoletani e dei quartieri poveri di Barletta. Uno, quello che sembrava il capo, fece irruzione nello scompartimento cacciando in malo modo i passeggeri perchè facessero posto a una famiglia di conterranei. Poi, nota “Cindy” , il travestito, rannicchiato sul sedile, impaurito. Prima lo deride, poi chiama gli altri: per la poverina è stata la fine.
Tutti, a turno, approfittarono di lei. Nessuno, lì attorno, mosse un dito. Neanche il nuovo amico conosciuto sui binari. Tutti fecero finta di dormire, per quasi cento chilometri tutti finsero di non vedere, almeno fino alla stazione di Bologna, quando a treno fermo, Cindy ebbe il coraggio di invitare il direttore di quell’orribile orchestra ad appartarsi alla toilette, così da avere più intimità . E quello, presuntuoso, tra l’invidia dei compagni di sciagura abboccò. Ma “Cindy”, che alle brutture dei marciapiedi c'aveva fatto il callo, aveva già un piano per liberarsi: nel tragitto per il bagno scappò verso l’uscita del vagone menandosi per la porta come un fulmine. Sulla pensilina c’erano due poliziotti, gli corse incontro urlando e chiedendo aiuto. La fine dell’incubo, per lei, e l’inizio della caccia al ‘branco’. Tra il branco vi erano anche due balordi di Barletta, parlavano a stento l’italiano, uno non sapeva neppure leggere e scrivere. Non negarono di essersi divertiti, e si dettero addirittura degli imbecilli a vicenda per essersi fatti pizzicare.
Qualche anno dopo, - il 25 Gennaio del 2005 - a Milano il cadavere di un 36enne di Barletta, Nicola Caporusso, viene trovato semicarbonizzato alla periferia della città . Fondamentali le analisi delle impronte digitali del dito indice e del medio di una mano. Il confronto tra i rilievi degli agenti della Polizia scientifica della Questura con le impronte prese dagli uomini del commissariato di Barletta - che lo avevano fermato molti anni prima per un episodio di ricettazione e furto - da un nome a quel cadavere martoriato dalle fiamme scoperto da un passante in via Caio Mario, una strada alla periferia di Milano. L'uomo, che da una decina di anni aveva deciso di trasferirsi stabilmente in un centro alla provincia del capoluogo lombardo, per trovare un'occupazione fissa, era stato a Barletta in occasione delle vacanze natalizie. Al termine delle festività , era tornato al nord. Gli investigatori della Squadra mobile della Questura di Milano ipotizzarono che Caporusso fu strangolato e poi bruciato per un «fattaccio» maturato nell'ambiente della prostituzione dei transessuali. Alcuni «viados», fermati subito dopo il ritrovamento del cadavere, erano stati già stati interrogati dalla polizia nei giorni precedenti al ritrovamento, prima dell'identificazione della vittima.
Cindy cercò di difendersi con le parole prima e le lacrime poi, pregandoli a lungo di lasciarla in pace: «Piangevo ma quelli non smettevano. Ho creduto di morire, più imploravo più si accanivano e mi deridevano». Su quell’Espresso Lecce – Bolzano, Cindy vi era salita da Fasano (Brindisi), alle 19 in punto. In stazione aveva conosciuto un ragazzo con i suoi stessi problemi, e con lui aveva preso posto in una carrozza di seconda classe. Tutto bene fino a Rimini, qualche chiacchiera, un pisolino, poi ancora il racconto di un pezzo della sua difficile vita passata sui marciapiedi parigini. Quasi una pellicola in bianco nero srotolata a bassa voce sotto la luce giallognola e fioca d’un treno triste. Alle tre erano tutti addormentati quando la città viaggiante, terra di nessuno, fu scossa dall’orda di barbari dei bassi napoletani e dei quartieri poveri di Barletta. Uno, quello che sembrava il capo, fece irruzione nello scompartimento cacciando in malo modo i passeggeri perchè facessero posto a una famiglia di conterranei. Poi, nota “Cindy” , il travestito, rannicchiato sul sedile, impaurito. Prima lo deride, poi chiama gli altri: per la poverina è stata la fine.
Tutti, a turno, approfittarono di lei. Nessuno, lì attorno, mosse un dito. Neanche il nuovo amico conosciuto sui binari. Tutti fecero finta di dormire, per quasi cento chilometri tutti finsero di non vedere, almeno fino alla stazione di Bologna, quando a treno fermo, Cindy ebbe il coraggio di invitare il direttore di quell’orribile orchestra ad appartarsi alla toilette, così da avere più intimità . E quello, presuntuoso, tra l’invidia dei compagni di sciagura abboccò. Ma “Cindy”, che alle brutture dei marciapiedi c'aveva fatto il callo, aveva già un piano per liberarsi: nel tragitto per il bagno scappò verso l’uscita del vagone menandosi per la porta come un fulmine. Sulla pensilina c’erano due poliziotti, gli corse incontro urlando e chiedendo aiuto. La fine dell’incubo, per lei, e l’inizio della caccia al ‘branco’. Tra il branco vi erano anche due balordi di Barletta, parlavano a stento l’italiano, uno non sapeva neppure leggere e scrivere. Non negarono di essersi divertiti, e si dettero addirittura degli imbecilli a vicenda per essersi fatti pizzicare.
Qualche anno dopo, - il 25 Gennaio del 2005 - a Milano il cadavere di un 36enne di Barletta, Nicola Caporusso, viene trovato semicarbonizzato alla periferia della città . Fondamentali le analisi delle impronte digitali del dito indice e del medio di una mano. Il confronto tra i rilievi degli agenti della Polizia scientifica della Questura con le impronte prese dagli uomini del commissariato di Barletta - che lo avevano fermato molti anni prima per un episodio di ricettazione e furto - da un nome a quel cadavere martoriato dalle fiamme scoperto da un passante in via Caio Mario, una strada alla periferia di Milano. L'uomo, che da una decina di anni aveva deciso di trasferirsi stabilmente in un centro alla provincia del capoluogo lombardo, per trovare un'occupazione fissa, era stato a Barletta in occasione delle vacanze natalizie. Al termine delle festività , era tornato al nord. Gli investigatori della Squadra mobile della Questura di Milano ipotizzarono che Caporusso fu strangolato e poi bruciato per un «fattaccio» maturato nell'ambiente della prostituzione dei transessuali. Alcuni «viados», fermati subito dopo il ritrovamento del cadavere, erano stati già stati interrogati dalla polizia nei giorni precedenti al ritrovamento, prima dell'identificazione della vittima.