Zio Michele non demorde: sono io il colpevole e mi ucciderò sulla tomba di Sarah

di Roberta Calò. "Sono stato frainteso: sono io il colpevole e mi ucciderò sulla tomba di Sarah". Nei giorni scorsi Michele Misseri, accusato ormai solo di aver occultato il cadavere della povera Sarah Scazzi, aveva dichiarato alla telecamere del telecamere di TgSky24 che sarebbe andato a piangere sulla tomba della nipote "quando uscirà il colpevole". Oggi fornisce ancora un'altra versione, spiegando ai giornalisti che ci sarebbe stato un fraintendimento. (leggi anche: "Perchè ho ucciso? Non lo so dire, ma Cosima e Sabrina sono innocenti")
L'opinione è pubblicata è ben abituata ai fraintedimenti del contadino di Avetrana che ha trascorso gli ultimi mesi fornendo prima una versione della verità per poi ritrattarla. Quello che appare evidente è sicuramente la strumentalizzazione degli organi mediatici da parte di tutti i componenti della famiglia Misseri che cercano dallo scorso 26 Agosto di pilotare l'attenzione degli italiani e degli inquirenti.
L'uomo nella medesima occasione in cui sembrava per un attimo di essere stato colto da un momento di defaillance psicologica, aveva dichiarato perfino che c'era nei suoi piani l'intenzione di recarsi a casa Scazzi per far visita a Concetta Serrano, madre della vittima ma che l'accanimento dei giornalisti fuori dal cancello di via Deledda glielo impedivano. Oggi ritratta e dice: " Non avrò il coraggio di guardarla in faccia".
Intanto, il giudice per le indagini preliminari Martino Rosati ha disposto l'isolamento per Sabrina Misseri e per la madre Cosima Serrano, entrambe indagate per l'omicidio di Sarah Scazzi.
Alle due donne di casa Misseri, detenute presso il carcere di Taranto, infatti è stato vietato di poter ricevere visite o di potersi incontrare.
Quello a cui si sta assistendo è un percorso già battuto a seguito all'incarcerazione di Michele Misseri mesi fa, quando l'uomo risultava il principale indagato del caso. Anche a lui era stato vietato di ricevere visite, soprattutto dopo aver accertato che queste ultime influenzavano poi le testimonianze dell'indagato.
Ora, dopo sette mesi da quel giorno, l'uomo pota le piante del suo giardino e sua moglie e sua figlia sono state iscritte nel registro degli indagati. Quello che ci si augura, almeno questa volta, è che le prove risultino inconfutabili e che rendano giustizia ad una povera quindicenne brutalmente strangolata per colpa, almeno questo è il movente per ora accreditato, della gelosia.

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