di Francesco Greco. L’idropulitrice? Una metafora. Della volgarità del tempo che ci è toccato in sorte. Violenta antiche armonie, lacera millenarie identità, con arroganza scava la pietra rubandole l’anima. Eppure, in simbiosi con agenti chimici aggressivi, è strumento di lavoro quotidiano sui cantieri di tanti, troppi restauri, da Santa Croce (Lecce) a Palazzo Gallone (Tricase). Di imprese attirate dal business (fondi europei) come le api dal miele. Scrostati i funghi accumulati dalla dolce sedimentazione del tempo, la pietra è impotente e nuda, attaccabile dagli agenti atmosferici (la pioggia). Sul filo del paradosso ragiona Sgarbi: “E’ meglio che i monumenti restino sepolti, così abbiamo la certezza della conservazione”.
Tempo curioso, spiazzante il nostro. Scarse le idee portanti del nostro vagare insonni nel XXI secolo. Ma poche anche le energie per dar corpo a quelle che s’affacciano da una Babele semantica simile a jungla. Prendi la ricerca: in Italia combattuta come peste manzoniana. Quella che scava la memoria, il cuore del passato, le sue radici, poi, ha una dimensione “ufficiale”, burocratica e sedentaria, e il volto appassionato di tanti giovani ricercatori che, anche provenendo dall’accademia, hanno preso a interrogarsi sull’identità, le sue infinite facce. E si spendono generosi contro l’oblio tracimante, donando alla terra con cui sono in debito anni, amore, risorse, teorizzando che “la microstoria è storia a tutti gli effetti”.
Muovendosi borderline, questa generazione di studiosi non ha pregiudizi, lavora, come si dice, a 360°. E spesso tira fuori diamanti dal fango e li dona a tutti noi. Il 95% di quel che sfogliamo è dovuto alla loro passione e militanza. E la politica? Non ti curar di loro ma guarda e passa. O ignora, non capisce l’importanza, anche economica (rapportandolo al turismo) dello studio dell’identità, o quando si muove mette sventatamente l’idropulitrice (vietata dalla 181 del 2007) in mano a restauratori, spesso “cazzafattàri” (intonacatori), bravi, ma non col materiale lapideo di ieri, o si blinda in sterili liturgie parolaie, “un modo di procedere che genera emigrazione con un Salento spopolato, snaturato e colonizzato” (Rocco Martella).
Ecco perché si accoglie con affetto e riconoscenza ogni ricerca che tenta di scannerizzare un territorio dal passato misterioso e sfuggente - il Salento lo è - che paradossalmente più si scava e meno si conosce. Segno che la nostra supponenza di padroneggiare il passato grazie agli strumenti offerti dalla modernità è relativizzata dalla complessità delle cose, la gente, i fatti, i miti, i riti, le superstizioni, l’epos di ieri. Ma il potere del telecomando e il mouse si rivela illusorio, falso, e provoca alienazione, solitudine, vuoto. “Januae. Ricerche e Studi Salentini - II”, Edizioni Januae, pp. 354, € 20 (a cura di Rocco Martella e Salvatore Musio, info: 340/3347944) si inscrive in quest’ansia di radici, studio di dinamiche barocche, scoprirne la ricchezza e l’estrema e viva forza dialettica. Un libro prezioso, e sudato, a costo zero per la collettività e le istituzioni che buttano il denaro in operazioni eticamente discutibili (“cattedrali nel deserto”), e non sanno, o fingono di non sapere che la memoria è una miniera d’oro che potrebbe dare pane e dignità a un esercito di precari. Questo ahimè lo status quo “anacronistico, illogico, presuntuoso”, osserva ancora Martella, che aggiunge: “E’ necessario rimuovere il rapporto denaro pubblico = mafia e mafia = emigrazione”.
Forse c’è dell’enfasi nel saggio di Gianluca Lecci che apre il lavoro, “50 anni senza identità”, ma nelle righe si legge la necessità storica di armonizzare il passato, prossimo e remoto, e la sua insospettata ricchezza con la contemporaneità senza la sua monumentalizzazione, ma con un input dialettico nel tentativo di riportare al loro primordiale, abbagliante nitore le radici scrostando la patina del tempo, e non, com’è stato fatto per la Chiesa di S. Pietro a Giuliano “’ntampagnàta (coperta) - accusa Martella – con una copertura metallica”. Il libro, dedicato a Maura Pacella-Coluccia, attrice e poetessa (“rappresentava armonia, musicalità, leggerezza e libertà”), offre, oltre a Lecci, offre altri 18 saggi firmati da Daniela De Lorentis, Pierpaolo Panico, Marco Imperio, Francesca Mastria, Marco Cavalera, Nicola Febbraro, Antonio Ippazio Piscopiello, Giovanni Giangreco, Mauro Ciardo, Vito Ingletto, E. Coen-Cagli, Daniela Vizzino, Salvatore Fiori, Carlo Longo, Nadia Esposito, Maria Antonietta De Paolis.
E’ impreziosito da 3 poesie, oltre alla stupenda “Sono le Veneri” di Maura, “La sposa della luna” (Lara Savoia) e “Donne” (Maddalena Nicolì). Si avvale di 4 cartine topografiche. Le traduzioni dal latino sono di Maria Antonietta Timpone. Bella la copertina, l’”Achillea Ligustica” e l’ultima (“Biacco e lucertola”). “Januae” è nata nel 2003, ha all’attivo 8 pubblicazioni, alcuni convegni tematici e interventi di recupero (l’ipogeo affrescato presso la Chiesa di S. Nicola a Sant’Eufemia, e 2 frantoi: “Turco-Cazzato” (Tricase), e della Parrocchia a Depressa. Il volume è stato presentato alla Biblioteca Comunale di Tricase in una serata condotta da Annalisa Nesca, applaudite le relazioni di Franco Mosco (Socio Ordinario della Società di Storia Patria per la Puglia), Francesco Accogli, direttore della Biblioteca e gli stessi curatori.
Tempo curioso, spiazzante il nostro. Scarse le idee portanti del nostro vagare insonni nel XXI secolo. Ma poche anche le energie per dar corpo a quelle che s’affacciano da una Babele semantica simile a jungla. Prendi la ricerca: in Italia combattuta come peste manzoniana. Quella che scava la memoria, il cuore del passato, le sue radici, poi, ha una dimensione “ufficiale”, burocratica e sedentaria, e il volto appassionato di tanti giovani ricercatori che, anche provenendo dall’accademia, hanno preso a interrogarsi sull’identità, le sue infinite facce. E si spendono generosi contro l’oblio tracimante, donando alla terra con cui sono in debito anni, amore, risorse, teorizzando che “la microstoria è storia a tutti gli effetti”.
Muovendosi borderline, questa generazione di studiosi non ha pregiudizi, lavora, come si dice, a 360°. E spesso tira fuori diamanti dal fango e li dona a tutti noi. Il 95% di quel che sfogliamo è dovuto alla loro passione e militanza. E la politica? Non ti curar di loro ma guarda e passa. O ignora, non capisce l’importanza, anche economica (rapportandolo al turismo) dello studio dell’identità, o quando si muove mette sventatamente l’idropulitrice (vietata dalla 181 del 2007) in mano a restauratori, spesso “cazzafattàri” (intonacatori), bravi, ma non col materiale lapideo di ieri, o si blinda in sterili liturgie parolaie, “un modo di procedere che genera emigrazione con un Salento spopolato, snaturato e colonizzato” (Rocco Martella).
Ecco perché si accoglie con affetto e riconoscenza ogni ricerca che tenta di scannerizzare un territorio dal passato misterioso e sfuggente - il Salento lo è - che paradossalmente più si scava e meno si conosce. Segno che la nostra supponenza di padroneggiare il passato grazie agli strumenti offerti dalla modernità è relativizzata dalla complessità delle cose, la gente, i fatti, i miti, i riti, le superstizioni, l’epos di ieri. Ma il potere del telecomando e il mouse si rivela illusorio, falso, e provoca alienazione, solitudine, vuoto. “Januae. Ricerche e Studi Salentini - II”, Edizioni Januae, pp. 354, € 20 (a cura di Rocco Martella e Salvatore Musio, info: 340/3347944) si inscrive in quest’ansia di radici, studio di dinamiche barocche, scoprirne la ricchezza e l’estrema e viva forza dialettica. Un libro prezioso, e sudato, a costo zero per la collettività e le istituzioni che buttano il denaro in operazioni eticamente discutibili (“cattedrali nel deserto”), e non sanno, o fingono di non sapere che la memoria è una miniera d’oro che potrebbe dare pane e dignità a un esercito di precari. Questo ahimè lo status quo “anacronistico, illogico, presuntuoso”, osserva ancora Martella, che aggiunge: “E’ necessario rimuovere il rapporto denaro pubblico = mafia e mafia = emigrazione”.
Forse c’è dell’enfasi nel saggio di Gianluca Lecci che apre il lavoro, “50 anni senza identità”, ma nelle righe si legge la necessità storica di armonizzare il passato, prossimo e remoto, e la sua insospettata ricchezza con la contemporaneità senza la sua monumentalizzazione, ma con un input dialettico nel tentativo di riportare al loro primordiale, abbagliante nitore le radici scrostando la patina del tempo, e non, com’è stato fatto per la Chiesa di S. Pietro a Giuliano “’ntampagnàta (coperta) - accusa Martella – con una copertura metallica”. Il libro, dedicato a Maura Pacella-Coluccia, attrice e poetessa (“rappresentava armonia, musicalità, leggerezza e libertà”), offre, oltre a Lecci, offre altri 18 saggi firmati da Daniela De Lorentis, Pierpaolo Panico, Marco Imperio, Francesca Mastria, Marco Cavalera, Nicola Febbraro, Antonio Ippazio Piscopiello, Giovanni Giangreco, Mauro Ciardo, Vito Ingletto, E. Coen-Cagli, Daniela Vizzino, Salvatore Fiori, Carlo Longo, Nadia Esposito, Maria Antonietta De Paolis.
E’ impreziosito da 3 poesie, oltre alla stupenda “Sono le Veneri” di Maura, “La sposa della luna” (Lara Savoia) e “Donne” (Maddalena Nicolì). Si avvale di 4 cartine topografiche. Le traduzioni dal latino sono di Maria Antonietta Timpone. Bella la copertina, l’”Achillea Ligustica” e l’ultima (“Biacco e lucertola”). “Januae” è nata nel 2003, ha all’attivo 8 pubblicazioni, alcuni convegni tematici e interventi di recupero (l’ipogeo affrescato presso la Chiesa di S. Nicola a Sant’Eufemia, e 2 frantoi: “Turco-Cazzato” (Tricase), e della Parrocchia a Depressa. Il volume è stato presentato alla Biblioteca Comunale di Tricase in una serata condotta da Annalisa Nesca, applaudite le relazioni di Franco Mosco (Socio Ordinario della Società di Storia Patria per la Puglia), Francesco Accogli, direttore della Biblioteca e gli stessi curatori.