di Roberta Calò. “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Questo è quanto ci rammenta l’art.3 della Costituzione italiana in materia di tutela sia del cittadino che dell’esercizio della giustizia.
Ma oggi è davvero così?
Una anche superficiale panoramica sull’inquietante scenario politico e giudiziario del nostro Paese farebbe tremare quanti hanno sempre creduto che la nostra Repubblica sia una Repubblica democratica fondata sul lavoro: ma di chi? La crisi economica che sta incrinando la tranquilla quotidianità degli italiani è aggravata da una instabilità politica e giudiziaria in cui la meritocrazia è stata soppiantata tragicamente dalla corsa all’accaparramento, armato da circolazioni sottobanco di “sovvenzioni finanziarie” in cui la dinamica di stampo mafioso sembra quasi essere uno status quo legalizzato dall’agire dei nostri governanti che ne hanno fatto una filosofia di vita.
L’ancestrale do ut des o politica del baratto è stata rivisitata in chiave moderna ponendola come base per creare coalizioni, esercitare un ruolo, amministrare il potere legislativo, esecutivo e giudiziario. Il classismo di stampo francese che pensavamo essere stato stroncato dalla Rivoluzione Francese, sembra essere risorto in un’Italia in cui la massa resta inerme dinanzi allo strafare di pochi “eletti”(da noi).
Tale realtà colma ormai le pagine dei giornali e sembra inficiare gravemente sia sul fronte economico che su quello giudiziario.
I giornali si popolano dunque di casi di cronaca in cui il modus operandi della “Giustizia” sembra vacillare: ordinanze contraddittorie, procedure investigative fallimentari, proscioglimenti inaspettati con rispettivi risarcimenti, spostamenti di sede dei processi, inquinamento di prove, casi caduti in prescrizione, tempistiche burocratiche ed amministrative esagerate. Il triangolo politica, giustizia e mass media sembra dunque risucchiare il nostro Paese in un vortice che ridicolizza l’Italia agli occhi del suo popolo e del popolo mondiale. Si prospetta quindi una rappresentazione teatrale in cui ogni attore ha ben studiato il proprio ruolo e il popolo, ovviamente, è l’unico a “pagare” per assistere ad un simile spettacolo. I mass media strumentalizzano le notizie e si lasciano strumentalizzare dai titani della politica; la Giustizia si dimena tra l’esercizio pratico del suo potere e la promulgazione di leggi ad personam che sviliscono la ricerca della verità ; i governanti plasmano demiurgicamente menti, poteri e leggi fondando la propria sicurezza su voti “acquistati”, e non con la “fiducia”. Abbiamo voluto a tal proposito intervistare un noto giornalista, scrittore e studioso, il dott. Alberto Mariantoni per tentare di sbrogliare una così intricata questione:
In merito agli sviluppi dei recenti casi di cronaca, cosa secondo Lei non sta funzionando nel sistema giudiziario italiano?
Senza dovere necessariamente entrare nei dettagli di qualche caso particolare che tutti conosciamo, penso che il problema debba essere inquadrato ed analizzato altrimenti. Non mi sembra, infatti, che certe situazioni possano essere unicamente accollate alle sole eventuali insufficienze del sistema giudiziario italiano. In tutti i casi, anche se – per pura ipotesi – le eventuali disfunzioni della Giustizia del nostro Paese (che ci sono, attenzione, e sono sciaguratamente considerevoli ed ingiustificabili!) fossero apparentemente riconducibili soltanto a quello specifico organo dello Stato, non sarebbe esclusivamente “curando” e tentando di “sanare” gli effetti che tendono a scaturire da quest’ultimo che potremo mai essere in condizione di eliminare le cause che ne permettono l’anomala esistenza e persistenza. In altre parole, se qualcuno di noi dovesse avere la sfortuna di constatare una metastasi su un braccio o una gamba, non è cercando di medicare quell’occasionale o contingente “piaga” che potremmo mai avere la possibilità di risolvere la causa tumorale che l’ha generata. Ed il “tumore”, in Italia – è triste e deludente doverlo affermare – ha un nome ed un cognome ben preciso: è l’intero apparato generale dello Stato. E’ tutto il Sistema, ormai – con l’insieme dei suoi organi rappresentativi, legislativi, giudiziari centrali, nonché intermedi, collaterali, secondari, accessori e/o periferici – che è deliquescente, deteriorato e, quindi, non più in grado di funzionare correttamente. Malgrado gli sforzi, lo Stato, in quasi tutte le sue funzioni e responsabilità , continua quotidianamente a scontentare l’opinione pubblica, fino al punto di non riuscire più a rendersi credibile. E la cosa più grave è che le Istituzioni non posseggono più l’Autorità indispensabile per farsi rispettare, i Governi non governano più nulla, il Parlamento ed il Senato sono diventati il feudo privilegiato e l’ufficio privato di innominabili lobbies, di numerose caste di faccendieri e di oscene e vomitevoli oligarchie al servizio di interessi extra-nazionali, e la Giustizia, infine, un ordinamento di facciata, all’interno del quale – accanto sicuramente a bravi e responsabili Magistrati che cercano di fare il loro dovere – si sono formate ed operano, le une in contrapposizione alle altre, tutta una serie di diverse e variegate suddivisioni e lottizzazioni politiche che nulla hanno a che vedere con la Giustizia.
In che misura l'instabilità politica e la promulgazione di leggi ad personam (es. 'legge bavaglio') stanno nuocendo all'amministrazione della giustizia?
Come le dicevo un attimo fa, lo Stato e le sue Istituzioni non prendono più a modello del loro funzionamento il concetto classico di Res publica. Con la globalizazione, infatti, tutto si è trasformato in “aree private” a scopo di lucro o di carriera. Va da sé, dunque, che i diversi organi dello Stato si siano a loro volta trasfigurati in un serie di “cittadelle” che vengono sistematicamente e ciclicamente espugnate da gruppi contrapposti che le occupano (o cercano di farlo) a proprio esclusivo vantaggio ed a danno e pregiudizio – non solo dei gruppi avversari, ma addirittura – dell’insieme dei cittadini che queste ultime pretendono rappresentare e tutelare. Anche in questo caso, non è facendo esclusivamente opposizione all’introduzione della “Legge bavaglio” che riusciremo a curare la “malattia” generalizzata di cui le Istituzioni del nostro Paese sono irrimediabilmente affette.
Quanto la visibilità mediatica ha influenzato, in positivo o in negativo, lo sviluppo investigativo e procedurale dei recenti casi di cronaca?
Quando all’inizio degli anni 1970 divenni pubblicista, la stampa italiana, con tutti i pregi e difetti che allora possedeva, era una cosa seria. I proprietari di testate avevano per principale vocazione, quella di fare dell’informazione. I direttori, i redattori capo ed i giornalisti dei vari Media, erano qualificati, capaci, competenti e responsabili. Sulle loro colonne, il fatto era il fatto, e l’opinione era l’opinione. I Media, dunque, qualunque opinione politica potessero esprimere, svolgevano un ruolo fondamentale: informare i cittadini di ciò che stava accadendo in Italia e nel Mondo. E li informavano, dopo avere loro stessi accuratamente accertato e verificato l’avvenimento. A partire dagli anni 1990, invece, la stampa scritta ed audio-visiva è diventata un vero e proprio affare commerciale. E come tale, si è auto-stravolta. Lo scoop, ad esempio – che, una volta, per qualsiasi organo di informazione, era l’eccezione che confermava la regola dell’equilibrio e della responsabile e volontaria auto-censura nella pubblica diffusione delle notizie – è diventato la regola! Per vendere la loro “merce” invendibile e/o per battere in notorietà le altre testate concorrenti, non si esita affatto a fabbricare artificialmente degli scoop, su qualsiasi argomento. Al punto tale che “notizie” di cronaca o di semplice gossip che un tempo, al massimo, sarebbero state pubblicate in poche righe o in un banale riquadro o trafiletto, su una o due colonne, in decima pagina, a sinistra in basso, oggi sono diventate “notizie” di primaria importanza che escono in prima pagina, a nove colonne, con preventivo ed inevitabile lancio pubblicitario sulle Agenzie di stampa. Agendo in questa assurda maniera, i Media – come il cane che si morde la coda – si sono auto-condannati ad operare scoop quotidiani a ripetizione che oltre ad “uccidere” o condannare alla banalità anche le notizie importanti, tolgono ugualmente valore e credibilità al concetto stesso di scoop. Come nel caso degli organi dello Stato, secondo me, anche i Media non sono più in condizione di svolgere correttamente il loro lavoro. Per “fare scoop”, infatti, si permettono perfino il lusso di imbastire dei veri e propri processi mediatici e di emettere esplicite e non richieste pre-sentenze, su dei procedimenti giudiziari che – non solo non sono fino ad allora passati in giudicato, ma addirittura – non sono stati ancora nemmeno finiti di istruire. Per cercare di fare “cassetta”, e sulla base di qualche congettura o illazione quasi mai verificata (non per cattiveria, ma perché non c’è più tempo, in redazione, di verificare nulla!), si sbattono gratuitamente ed irresponsabilmente occasionali “mostri” in prima pagina. E quando, poi, magari, qualcuno di questi ultimi risulta innocente, nessuno organo di stampa si prende la briga di rettificare! Insomma, se la stampa – invece di volersi sostituire, ogni volta, ai ruoli ed alle competenze dello Stato, della Giustizia o della Polizia – facesse esclusivamente il suo mestiere, il Mondo andrebbe sicuramente meglio.
Nell'obiettività di quale voce dovrebbe a Suo parere confidare l'opinione pubblica?
Nella situazione attuale, in nessuna voce. Ivi compresa la mia! In un Mondo, infatti, che ha posto al centro della società il denaro, mettendo criminalmente tra parentesi l’essere umano, tutti i “colpi” sono permessi. Ad esempio, chi potrebbe escludere con certezza che lei ed io siamo stati pagati per affermare o sostenenre ciò che stiamo testimoniando o attestando? Pertanto, siccome anche l’onesta intellettuale dei diversi “attori” della società è diventato un optional, non ci si può più fidare di nessuno.
Come riuscire, allora, a distinguere l’informazione vera da quella falsa?
L’unica cosa che posso dirle, è indicare a lei ed al lettore un metodo, per evitare di farsi sistematicamente turlupinare. Ognuno, in definitiva, con un po’ di pazienza, dovrebbe metodicamente abituarsi a considerare l’insieme delle informazioni che ogni giorno ci vengono copiosamente propinate, come interamente false o diffusamente manipolate. Dovrebbe, poi, cercare di informarsi altrimenti sull’argomento che ha preso in considerazione, prestando l’orecchio all’insieme delle altre “campane” che esistono su quell’avvenimento. Dovrebbe successivamente fare la radice quadrata della radice quadrata del tutto. Ed, infine, dovrebbe – utilizzando il suo proprio buonsenso – porsi la classica e proverbiale domanda che tende a porsi Seneca, nel suo Medea: Cui prodest? A chi tutto ciò favorisce o avvantaggia? Se non favorisce o non avvantaggia nessuno, l’informazione è reale. Se favorisce o avvantaggia qualcuno in particolare, l’informazione è falsa o sicuramente manipolata!
Nell'atavica e vicendevole strumentalizzazione tra organi politici e organi di comunicazione, quale potrebbe essere una possibile e più concretamente percorribile via d'uscita per tentare di salvaguardare almeno in parte "giustizia" e "verità "?
All’ora attuale, sperare di potere riuscire a separare (anche in parte) il grano dal loglio, mi sembra davvero un’impossibile impresa. Per potere ottenere ciò che preconizza e le sta a cuore, credo sia indispensabile incominciare con l’azzerare tutto, e ricominciare daccapo. E ricominciando, concentrare tutti gli sforzi possibili della futura società , sull’educazione civica e culturale della popolazione di domani. E’ solo insegnando di nuovo alle giovani generazioni l’antica e sempre attuale paideia (cioè, l’arte di migliorarsi o di raffinarsi, per valorizzare la propria natura e per meglio raffinare e migliorare quella degli altri membri della medesima Polis/Civitas) che si può sperare di ricreare una società organica, partecipativa e differenziata e, soprattutto, a misura umana. Una società , insomma, dove ogni cosa possa essere al suo posto ed ogni posto alla sua cosa. Ai giovani, come lei, pertanto – visto che sarete voi, e non i vecchi come me, a dover vivere nel Mondo che verrà – di tentare l’avventura. Credo che ne valga la pena!
Rispondendo al richiamo del dott. Mariantoni quella che necessita dunque è una risposta forte dimostrando che c’è una considerevole parte della nuova generazione che crede ancora in ideali ben lontani da quelli di wildeiana memoria: “Oggigiorno i giovani credono che il denaro sia tutto, e quando sono grandi ne hanno la certezza”. E forse facendo leva su quei valori e su quelle verità potremo vivacemente sovvertire una realtà come quella attuale in cui: "Capita a tutti, soprattutto ai giovani, di pensare di avere il mondo in pugno, e a volte è anche vero. Ma nell'attimo stesso in cui uno è convinto che tutto vada per il meglio, ci sono leggi statistiche che lavorano alle sue spalle, pronte a fregarlo".(Bukowski). Il vero potere, infatti, giace nelle mani e nelle tasche di pochi, ma vive nelle menti e nei cuori delle masse.