Ma il progetto non è affatto innovativo, si tratta di un semplice ritorno al passato, con qualche aggiornamento. Vito Maurogiovanni ricorda la figura della “maijesta” nel suo libro “Cantata per una città” (Levante Editori). Negli anni in cui non esistevano gli asili, i bambini venivano lasciati in custodia alla signora maestra, severa ed eretta, una via di mezzo tra l’attuale babysitter e la maestra dell’asilo, poiché “sorvegliava” soprattutto bambini in età prescolare, anche piccolissimi, che le mamme lavoratrici affidavano alla sua custodia.
La “maijesta”, sostituiva, si fa per dire, l’asilo che mancava. Solitamente era una donna anziana, povera, nubile e sola, conosciuta in chiesa o in qualche sottano (locale alla strada), dove viveva, trattenendo i bambini mediante compenso con qualche soldino o con qualche regalo in natura. Il suo sottano (locale a livello stradale), era arredato con panchette e panchettine di legno, un tavolo, una bacchetta, una brocca con l’acqua, dalla quale tutti i piccoli attingevano per dissetarsi. I bambini con i propri cestini, si sedevano ai loro rozzi posti e la signora “maijesta” li tratteneva facendoli cantare e giocare fino a mezzogiorno, poi fuori i cestini, ed i piccoli mangiavano quel po’ che avevano portato da casa (fichi secchi, ‘chiacune’ e pane).
L’episodio della ‘maijesta” è stato ripreso anche da Linda Cascella nel suo capitolo “La baresità al femminile” (“Baresità, curiosità e…” Levante Editori), che ne fa una piacevole descrizione.
“Ho verificato tra i miei amici – perché ad un certo punto mi sono chiesta dove avessi vissuto finora – che non ero l’unica a non sapere di un altro mestiere piuttosto diffuso, quello della maijesta. Non parlo della maestra di scuola, alla quale confesso di aver subito pensato, ma della progenitrice di quella figura professionale che oggi in Francia si chiama assistente materna. Quando i bimbi che “circolavano” in casa erano tanti e non c’erano ancora gli asili, i più piccini venivano affidati alle cure di queste donne Ho avuto modo recentemente di fare una piacevole chiacchierata con una anziana signora alla quale ho chiesto se ricordava questo mestiere. Ha annuito sorridendo dolcemente, come se avessi ridestato un ricordo piacevole, e mi ha raccontato che quando era piccina, tra i suoi compiti c’era quello di accompagnare i due fratellini più piccoli, di uno e due anni, dalla maestra. Lei invece, che di anni ne aveva cinque, doveva aiutare la madre nelle faccende domestiche. I fratellini restavano dalla maestra fino al primo pomeriggio quando, sempre lei, andava a riprenderli”.
La “maijesta” ha ispirato anche qualche poeta ad immortalarla e ad esaltarla con propri versi, come ha fatto Peppino Zaccaro, un poeta dialettale barese, che l’ha ricordata nella simpatica poesia che segue.
La scrittura diversa del termine ‘maestra’ in dialetto barese è dovuta al modo in cui scrivono i vari autori.
La Maijèste di Peppino Zaccaro Ijnde a Barevècchie mbonde a na strattuècchie sott’o uarchengijdde a nu settane a preppedagne a chemmà Jangeline la garbenère vonne le pecceninne da la matine a la sère acchembagnate da le mammere che uanghètte, cestine e seggetèdde chiangènne e che l’ècchie du sènne. Mazze e panèlle fascene le figghie bbèlle, Staddeve citte ca mò vène papunne grite che voscia grosse la maijèste Angeline racchendanne storrie e storièlle canzone e canzongine e tutte abbattene le manine. Ce pascijènze, ce sbattemijnde pe cherrèsce chidde sckacchiatijdde. Tècche de cambane se sèndene lendane se jabbrene le cestine che la merènne e facènne u segne de la crosce prèghene acchesì le pecceninne: «A menzadì senanne uangiue candanne Madonna mè du cijle a Tè me raccomanne». Parèvene acchijatate chidd’aneme nnocènde mbèsce a l’mbrevvise acchemenze u tramote facènne de cchiù la jose che la maijèste sènza cchiù nu picche de vosce. Jè sèmbe fèste acquanne le pecceninne vonne a la maijèste. | La Maestra di Peppino Zaccaro In Barivecchia in fondo ad una stradina sotto un piccolo arco in un locale a piano terra a comare Angelina detta la carabiniere vanno i bambini dalla mattina alla sera accompagnati dalle mamme con panchetto, cestino e sediolina piangenti e con gli occhi del sonno. Con il bastone e le carote si fanno i figli educati. State zitti che ora viene l’orco grida con voce grossa la maestra Angelina raccontando storie e storielle canzoni e canzoncine e tutti battono le manine. Che pazienza, che agitazione per sopportare quei piccoli. Tocchi di campane giungono da lontano si aprono i cestini con la colazione e facendo il segno della croce così pregano i bambini: «A mezzogiorno mentre suonano le campane gli angeli cantano. Madonna mia del cielo A Te ci raccomandiamo». Sembravano tranquille quelle anime innocenti invece all’improvviso incomincia il disordine facendo sempre più chiasso con la maestra senza più voce È sempre festa quando i bambini vanno dalla maestra. |
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