La ‘Majèste’, pioniera della moderna maestra d’asilo

di Vittorio Polito. Alcuni quotidiani hanno pubblicato la seguente notizia “A Bari l’alternativa casalinga all’asilo nido privato”. Un progetto finalizzato a formare “mamme educatrici” per mettersi in gioco come imprenditrici per realizzare un servizio innovativo sperimentale, insomma una specie di asilo nido “casalingo”.
Ma il progetto non è affatto innovativo, si tratta di un semplice ritorno al passato, con qualche aggiornamento. Vito Maurogiovanni ricorda la figura della “maijesta” nel suo libro “Cantata per una città” (Levante Editori). Negli anni in cui non esistevano gli asili, i bambini venivano lasciati in custodia alla signora maestra, severa ed eretta, una via di mezzo tra l’attuale babysitter e la maestra dell’asilo, poiché “sorvegliava” soprattutto bambini in età prescolare, anche piccolissimi, che le mamme lavoratrici affidavano alla sua custodia.
La “maijesta”, sostituiva, si fa per dire, l’asilo che mancava. Solitamente era una donna anziana, povera, nubile e sola, conosciuta in chiesa o in qualche sottano (locale alla strada), dove viveva, trattenendo i bambini mediante compenso con qualche soldino o con qualche regalo in natura. Il suo sottano (locale a livello stradale), era arredato con panchette e panchettine di legno, un tavolo, una bacchetta, una brocca con l’acqua, dalla quale tutti i piccoli attingevano per dissetarsi. I bambini con i propri cestini, si sedevano ai loro rozzi posti e la signora “maijesta” li tratteneva facendoli cantare e giocare fino a mezzogiorno, poi fuori i cestini, ed i piccoli mangiavano quel po’ che avevano portato da casa (fichi secchi, ‘chiacune’ e pane).
L’episodio della ‘maijesta” è stato ripreso anche da Linda Cascella nel suo capitolo “La baresità al femminile” (“Baresità, curiosità e…” Levante Editori), che ne fa una piacevole descrizione.
“Ho verificato tra i miei amici – perché ad un certo punto mi sono chiesta dove avessi vissuto finora – che non ero l’unica a non sapere di un altro mestiere piuttosto diffuso, quello della maijesta. Non parlo della maestra di scuola, alla quale confesso di aver subito pensato, ma della progenitrice di quella figura professionale che oggi in Francia si chiama assistente materna. Quando i bimbi che “circolavano” in casa erano tanti e non c’erano ancora gli asili, i più piccini venivano affidati alle cure di queste donne Ho avuto modo recentemente di fare una piacevole chiacchierata con una anziana signora alla quale ho chiesto se ricordava questo mestiere. Ha annuito sorridendo dolcemente, come se avessi ridestato un ricordo piacevole, e mi ha raccontato che quando era piccina, tra i suoi compiti c’era quello di accompagnare i due fratellini più piccoli, di uno e due anni, dalla maestra. Lei invece, che di anni ne aveva cinque, doveva aiutare la madre nelle faccende domestiche. I fratellini restavano dalla maestra fino al primo pomeriggio quando, sempre lei, andava a riprenderli”.
La “maijesta” ha ispirato anche qualche poeta ad immortalarla e ad esaltarla con propri versi, come ha fatto Peppino Zaccaro, un poeta dialettale barese, che l’ha ricordata nella simpatica poesia che segue.
La scrittura diversa del termine ‘maestra’ in dialetto barese è dovuta al modo in cui scrivono i vari autori.


La Maijèste

di Peppino Zaccaro

Ijnde a Barevècchie

mbonde a na strattuècchie

sott’o uarchengijdde

a nu settane a preppedagne

a chemmà Jangeline la garbenère

vonne le pecceninne

da la matine a la sère

acchembagnate da le mammere

che uanghètte, cestine e seggetèdde

chiangènne e che l’ècchie du sènne.

Mazze e panèlle

fascene le figghie bbèlle,

Staddeve citte

ca mò vène papunne

grite che voscia grosse

la maijèste Angeline

racchendanne storrie e storièlle

canzone e canzongine

e tutte abbattene le manine.

Ce pascijènze, ce sbattemijnde

pe cherrèsce chidde sckacchiatijdde.

Tècche de cambane

se sèndene lendane

se jabbrene le cestine

che la merènne

e facènne u segne de la crosce

prèghene acchesì le pecceninne:

«A menzadì senanne

uangiue candanne

Madonna mè du cijle

a Tè me raccomanne».

Parèvene acchijatate

chidd’aneme nnocènde

mbèsce a l’mbrevvise

acchemenze u tramote

facènne de cchiù la jose

che la maijèste sènza cchiù

nu picche de vosce.

Jè sèmbe fèste

acquanne le pecceninne

vonne a la maijèste.


La Maestra

di Peppino Zaccaro

In Barivecchia

in fondo ad una stradina

sotto un piccolo arco

in un locale a piano terra

a comare Angelina detta la carabiniere

vanno i bambini

dalla mattina alla sera

accompagnati dalle mamme

con panchetto, cestino e sediolina

piangenti e con gli occhi del sonno.

Con il bastone e le carote

si fanno i figli educati.

State zitti

che ora viene l’orco

grida con voce grossa

la maestra Angelina

raccontando storie e storielle

canzoni e canzoncine

e tutti battono le manine.

Che pazienza, che agitazione

per sopportare quei piccoli.

Tocchi di campane

giungono da lontano

si aprono i cestini

con la colazione

e facendo il segno della croce

così pregano i bambini:

«A mezzogiorno mentre suonano le campane

gli angeli cantano.

Madonna mia del cielo

A Te ci raccomandiamo».

Sembravano tranquille

quelle anime innocenti

invece all’improvviso

incomincia il disordine

facendo sempre più chiasso

con la maestra senza più voce

È sempre festa

quando i bambini

vanno dalla maestra.

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