Libri: “Il valore dell’acqua”, la formula della vita

di Francesco Greco. Accadueo: la formula della vita, e della civiltà, la nostra e quella eventuale dei mondi paralleli immaginati 5 secoli fa da Giordano Bruno. Indugiamo sotto la doccia, ci laviamo i denti facendola scorrere abbondante, innaffiamo i fiori sul balcone nel cuore dell’estate. Gesti d’ogni giorno, abitudini consunte, di massa. Mai che ci fermassimo a riflettere cos’accadrebbe se d’improvviso il rubinetto divenisse avaro, lo scroscio privo di pressione, l’acqua scarsa, razionata, come ad altre latitudini e come fu qui nel dopoguerra e talvolta anche oggi.
L’han fatto per noi Erasmo D’Angelis (presidente di Publiacqua, il gestore del servizio nella Toscana centrale) e Fulvio Irace (nel management Acea, il principale operatore italiano nel servizio idrico), consegnandoci “Il valore dell’acqua” (Chi la gestisce, quanta ne consumiamo e come possiamo salvarla), Dalai, Milano 2011, pp. 512, € 20 (art director Mara Scanavino), un saggio articolato, sfaccettato, documentato, giustamente, civilmente allarmato, che in prefazione il sindaco di Firenze Matteo Renzi definisce “sorprendente e intrigante, con verità scomode per tutti”.
A cominciare dal cittadino comune che in Italia ne iper-consuma 252 litri al giorno, rispetto ai 10 più o meno che toccano a un africano. Manco l’acqua è uguale per tutti, figuriamoci il resto. Nato come istant-book a ridosso del referendum di primavera 2011 che ha mobilitato gli italiani preoccupati delle mani di lobby private sul rubinetto, passato il pericolo ed entrati in fase di “ripubblicizzazione”, il saggio ha acquistato più forza dialettica. L’excursus di De Angelis e Irace ha una visuale planetaria ma anche valore enciclopedico, nel senso che ogni aspetto (storico, economico, scientifico, epico, ecc.) è stato scannerizzato in modo oggettivo, lontano dalla propaganda, come un nervo scoperto qual è il “pianeta blu” merita.
Dai cianobatteri sintetici di 325 milioni d’anni fa agli Assiri, i Babilonesi e i Sumeri (che danno l’etimologia alla parola: vuol dire “generazione”), popoli che a partire dal 5000 a. C. realizzarono le prime canalizzazioni regolamentandone l’uso nel Codice di Hammurabi e su tavolette del 1700, fino alla “scoperta” che il Paese è addirittura privo di un’Authority (i poteri, all’italiana, sono frammentati): “Non essendo una merce come le altre ma un bene universale, ha bisogno di uscire dal limbo delle buone intenzioni per entrare a pieno titolo nel sistema delle politiche ambientali e industriali”. Magari guardando alla OFWAT (l’Authority inglese), “una delle più serie e rigorose esperienze di controllo e regolazione del settore al mondo”.
Il saggio ci mette a parte di una terminologia cui dovremo abituarci domani. La “blue economy”, per dire. Oggi dà lavoro a 180mila persone, ma a fronte della metà di acqua che, in alcune aree del Paese, si perde (con gran dispendio di energia elettrica e il CO2 di un milione di auto che fanno 20mila km. l’anno) in tubature obsolete e dunque da rifare, potrebbe essere un serio atout economico e occupazionale. Il Sud è messo peggio: per far giungere nelle case 100 litri d’acqua ne devono partire il doppio. Ma è un’emergenza di cui la Casta non si rende conto, e che come sempre sarà affrontata con l’affanno: è un dato culturale, il dna. Basti dire che per acqua e depurazione le finanziarie non mettono in bilancio un euro. Si danza sul Titanic. Intanto continuiamo a prelevare 9 miliardi di metri cubi all’anno e a essere il terzo Paese al mondo per consumo di minerale: un invasamento collettivo se il 95% degli italiani non ne fa a meno trasfigurando la bottiglia di plastica in status. E dire che nel secondo dopoguerra “il rubinetto segnava il passaggio dalla miseria al boom economico e dei consumi”.
Le premesse per una “rivoluzione idrica” ci son tutte. Siamo a un soffio dagli “indignatos”: il popolo dell’acqua mèmore delle parole di Platone: “…tutto era arricchito dalle piogge annuali di Zeus che non andavano perdute come ora scorrendo dalla nuda terra fino al mare…” e dell’economista Antonio Massarutto: “L’acqua è un bene di Dio, ma il Signore non ci ha mandato anche tubi e impianti…”. E se nel Tamigi sono tornati a guizzare i salmoni e Renzi sogna di tuffarsi nell’Arno, noialtri vogliamo solo che l’acqua sia un bene di tutti.

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