L’Intervista: Dante Marmone, una chiacchierata con Natale Catacchio e non solo

di Nicola Ricchitelli. Un inevitabile omaggio a colui che ha fatto la storia del teatro barese, oltre a forgiare personaggi celebri che hanno raccontato Bari tutta, dai quartieri della città vecchia sino ai quartieri nuovi quali Japigia e San Paolo. L’alba di un sogno che prese piede negli anni '70 con la fondazione della compagnia “Anonima G.R.”, alle tante incursioni nel cinema – non ultima quella con Lino Banfi ne Il Commissario Zagaria” – all’incontro con il regista Nanni Loy.

D: Un saluto da Giornale di Puglia a Dante Marmone – storico attore barese famoso tra l’altro per il ruolo de “la nonna “ interpretato nella fiction “Catene” – Dante negli ultimi tempi sei stato “avvistato” al fianco di Lino Banfi ne “Il Commissario Zagaria”. Cosa ci puoi raccontare di questa ennesima avventura?

R:« In effetti ogni nuovo film è un’avventura, perché l’attore deve riuscire ad entrare nel carattere e nella psicologia del personaggio che sta interpretando. Con Banfi ci conosciamo da molti anni, con lui ho partecipato in tre film, due per la televisione e uno per i cinema. Che dire, la persona è eccezionale sia sotto l’aspetto umano che professionale, con tutti ha un approccio cordiale e
semplice, lontano anni luce da certe arroganze che spesso si incontrano».

D: Dante, tutto prese piede nel 1972 con “I Baresi”: che ricordi hai di quell’esperienza?

R:« Fu la molla che fece scattare definitivamente in me l’impegno di fare l’attore. I Baresi erano un gruppo amatoriale, ma molto professionale e impegnato in un teatro popolare ma di contenuti sociali. Ci ho lavorato per due anni e mi sono serviti tantissimo. Da autodidatta che sono, con loro appresi la forza dell’impegno che occorre mettere nel nostro lavoro».

D: Cosa ha significato per te realizzare il sogno di fondare la compagnia teatrale “Anonima G.R.”?

R:« Quando nel 1974 fondammo l’Anonima G.R., avevamo un progetto preciso, creare una teatralità popolare che non guardasse più alle storie di Bari vecchia, ma puntasse l’attenzione ai nuovi quartieri popolari: Il San Paolo, Japigia e parlare della vita in questi quartieri, dove la vita popolare si era trasformata in realtà industriale, spingendo i pescatori e gli artigiani a diventare operai. Da un punto di vista artistico-creativo, volevamo esprimere tutte le nostre potenzialità e infatti negli anni abbiamo scritto una miriade di testi teatrali, televisivi, canzoni, che fotografano i personaggi e le avventure che ognuno di noi si trova a vivere».

D: Con l’Anonima G.R. vanti ben quasi 35 produzioni teatrali: quale quella che descrive meglio la città di Bari e il “barese doc”? Quale quella a cui sei maggiormente legata?

R:« Dico una ovvietà, sono legato a tutto gli spettacoli, perché ognuno rappresenta un dato momento, una situazioni, uno stato d’animo e paragonandoli, anche i fai una analisi su cosa stai combinando. Ovviamente ci sono spettacoli e personaggi che mi realizzano di più, ma questo è inevitabile».

D: Dante, come si scrive una commedia teatrale? Quali gli elementi che ti danno maggiore ispirazione?

R:« La creatività non ha delle regole, almeno la mia. Non è che mi siedo al computer e mi escono le idee. Alle volte basta un attimo per cogliere l’ispirazione e sviluppare una idea, ma in altri casi scrivere uno spettacolo è come un raccogliere le esperienze, i rapporti e le sensazioni di un periodo e trasformare il tutto in un racconto. Ma occorre essere istintivamente attenti a ciò che ci succede intorno ed elaborare, reinventare i personaggi e le loro storie».

D: Quanto è stato importante per te l’incontro con il regista Nanni Loy?

R:« Prima parlavo di Lino Banfi, della sua semplicità nel rapportarsi con gli altri, ma la lezione più grande in questo senso me l’ha data Nanni Loy. Era un maestro del Neo realismo italiano e con me, i miei colleghi si comportava come uno di noi, scherzavamo, ci prendeva in giro. Ma soprattutto è stato un mattone formidabile nella costruzione della mia esperienza di attore».

D: Il ruolo de “la nonna” da te interpretato nella fiction “catene” può dirsi il personaggio che ha segnato la tua consacrazione, come nasce questo personaggio?

R:« La nonna è un personaggio che interpreto dal 1974. Negli anni si è trasformato ma ha conservato sempre il suo spirito legato alle nostre nonne. La nonna è il personaggio che forse più di tutti mi fa sentire a mio agio, trovo la più perfetta sintonia che mi permette di inventare, improvvisare, di interagire con il pubblico con la massima naturalezza. Il personaggio è nato quando ero ragazzino, e con un amico ci divertivamo a parlare come due vecchine. Da quel
gioco è nato un personaggio straordinario».

D: Dante, chi è Natale Catacchio? Cosa ti accomuna a lui?

R:« Ne ho conosciuti tanti nella vita di Natale, sono quei bulli nostrani tutto fumo e niente arrosto. La loro fortuna è quella di avere mogli come Pasqua che li amano e si sacrificano per loro. Ho voluto rappresentare un personaggio che in galera le prende da tutti, pur facendo credere che è uno della malavita pesante, perché ho voluto comunicare ai tantissimi ragazzini che seguono Catene, che in fin dei conti chi sta in galera è una persona che subisce, e che, comunque, non è un modello da seguire. Anche se Natale di Catene, in fin dei conti, è un simpaticone».

D: Dante, hai mai pensato assieme a Tiziana di riproporre i personaggi di “Catene” sui palcoscenici quali “Zelig” o “Colorado Cafè”?

R:« Ci abbiamo pensato, ma non ci siamo mai impegnati per realizzarlo. Noi a Zelig ci siamo stati per quasi tutti gli anni novanta. Ogni anno eravamo chiamati li, a Milano a rappresentare i nostri spettacoli. Oggi, non so, emerge una comicità che non mi convince, non c’è satira, non ci sono graffi, tutto sembra disinfettato, attento a non disturbare nessuno e questo a noi non piace».

D: Cosa manca alla carriera artistica di Dante Marmone? E sotto il profilo umano?

R:« Mi mancano tante cose, non mi ritengo ancora realizzato, ho tanto da fare, da dire, da capire. Io spero di non arrivare mai al punto di dire che ho raggiunto i miei traguardi, perché sarebbe una menzogna».

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