di Francesco Greco. Leccese doc, laurea in Filosofia, ama i gatti e gli artisti, comprare orecchini, bere caffè, fare il bagno, soprattutto osservare. Viaggia molto, in un’altra vita forse era una lady inglese tutta cappellini pastello e “oh, my diary!”, piange spesso, ovviamente è su Facebook. Loredana De Vitis s’è ritrovata famosa dalla sera alla mattina con un racconto, “rossella e andrea. Rossella e Andrea”, vincitore, con altri 9, dell’ultima edizione del concorso “Subway-Letteratura”, la cui raccolta, tirata in 5 mln di copie, è distribuita gratis alle fermate delle metropolitane italiane. Una visibilità micidiale. In un baleno è diventata un personaggio. Giornali e tv la cercano, passa la giornata a rispondere alle mail dei suoi lettori.
Domanda. Che effetto fa essere letti da milioni di persone?
Risposta. “Mi piace l’idea di essere nelle tasche delle persone, la modalità più che la quantità. È la realizzazione di un’ossessione: quella di una ragazzina che ascoltava ‘Paperback writer’ e pensava che sarebbe stato bello diventare ‘la scrittrice che sta in una tasca’. In ogni caso, mi piace ancora di più l’effetto che mi fa ricevere mail dopo che m’hanno letta, dopo aver “smosso” qualcosa in qualche anima o almeno in qualche testa. E quando avrò un editore pagante sono certa che l’effetto sarà ancora migliore”.
D. Quali letture ti hanno influenzata?
R. “Iniziare a scrivere come giornalista di cronaca. Poi la Filosofia all’Università. Poi William Shakespeare instillato da una incredibile insegnante di Inglese alle superiori, il volto di Virginia Woolf rintracciabile nelle sue parole, la mistura di reale e immaginario in Isabelle Allende, certo surrealismo nei Beatles, la pienezza dei corpi di Tamara de Lempicka, le pugnalate di Carla Lonzi, l’atmosfera d’ansia e bellezza di ‘Blade Runner’, il coraggio ne ‘Il Signore degli Anelli’, cercare e leggere su Internet, prendere treni e aerei, immergermi in alcune città, frequentare l’Udi, parlare con donne profondissime, conoscere uomini interessanti, osservare le curve di certi fumetti, voler essere nell’universo di Harry Potter. Infine, un’attrazione indicibile per il Giappone e quasi la necessità di produrre con le mani, si tratti di una ciambella o del disegno che magari finisce in copertina”.
D. Il libro sul comodino?
R. “Adesso una raccolta di lettere di Frida Kahlo: ‘Querido doctorcito. Lettere al dottor Leo Eloesser’.
D. Ti riconosci un pregio?
R. “Sono bellissima, non ti pare? Ahahhahah. Dai, questa battuta te la spiego la prossima volta”.
D. E un difetto?
R. “Un mio caro amico dice che sono ‘tolemaica’, cioè mi piace che le cose girino attorno a me. Io avrei detto egocentrica, ma a quanto pare la sfumatura è diversa”.
D. Credi nell'amicizia fra donne?
R. “Mai abbastanza, posso fare di meglio”.
D. Che tecnica di scrittura usi? Prendi di continuo appunti?
R. “Sì, appunti. Quasi sempre. Se non prendo appunti è perché quello che leggo, ascolto, osservo, mangio, annuso, tocco non stanno lasciando neppure un segno. Succede, e quando succede è tristissimo. Molte versioni? Non esattamente. Ad esempio dopo aver scritto una scena posso passare ore a lavorare sul ritmo. Tutto deve scorrere come dico io, come ho in mente. Il contenuto deve collassare nella forma”.
D. Che intendi per eclettismo? Che lavori su più livelli artistici?
R. “Ho usato questa parola? Quando e dove? Spero di non averla usata. Comunque penso d’aver capito cosa vuoi dire. Allora, anche quando prendo appunti non è la scrittura l’unico medium. Per esempio faccio foto e registro suoni. In generale mi piace avere molti stimoli, e di conseguenza mi esprimo. Uso scrittura e immagini, ai suoni attribuisco grande importanza. Quando cucino, l’odore è fondamentale. Un giorno userò gli odori anche per scrivere, spero”.
D. Fai vita da movida?
R. “Per niente, mi annoia a morte. Esco se mi va quando mi va con chi mi va. E spesso esco da sola a fare le cose che mi piacciono e per le quali trovare una compagnia interessante è molto difficile. Però mi piace il gin-tonic. Questo dettaglio mi salva dall’immagine di una molto snob?”.
D. Quanti amici hai su Fb?
R. “Adesso sono sui 700 e in crescendo. Me la tiro parecchio, lo devo ammettere: se non conosco personalmente chi mi contatta… ci sto attenta. Nella maggior parte dei casi, voglio almeno due righe via messaggio. Se mi interessa qualcuno che contatto, scrivo perché”.
D. Ti senti una scrittrice provinciale o globale?
R. “È una domanda trabocchetto? Ahahahahah. Provo a essere seria, va bene. Non mi riconosco nella ‘provincia’ come caratteristica del mio lavoro, ma vivo in provincia e questo è un fatto. La retorica del bel posto in cui viviamo non mi interessa, casa mia è dove sono io e alimento le relazioni importanti per me. Il racconto del mondo che mi incuriosisce parte da quello che vivo e osservo, ma questo oggettivamente non affonda le sue radici nella provincia. Essere ‘globale’ è un bell’augurio. Vedremo cosa succederà e cosa potrò ancora raccontare”.
D. La tua è una scrittura sperimentale? Di ricerca?
R. “Sai, nella conferenza stampa di presentazione dei vincitori di ‘Subway’, a Milano, hanno detto che col mio racconto hanno voluto dare spazio a ‘sperimentazione’ e ‘provocazione’. Non è male per una ‘provinciale’, non trovi?”.
D. Cosa c'è nel cassetto?
R. “Soprattutto orecchini, i sogni sono da qualche altra parte: ben alimentati in svariati organi irrorati da sangue”.
Domanda. Che effetto fa essere letti da milioni di persone?
Risposta. “Mi piace l’idea di essere nelle tasche delle persone, la modalità più che la quantità. È la realizzazione di un’ossessione: quella di una ragazzina che ascoltava ‘Paperback writer’ e pensava che sarebbe stato bello diventare ‘la scrittrice che sta in una tasca’. In ogni caso, mi piace ancora di più l’effetto che mi fa ricevere mail dopo che m’hanno letta, dopo aver “smosso” qualcosa in qualche anima o almeno in qualche testa. E quando avrò un editore pagante sono certa che l’effetto sarà ancora migliore”.
D. Quali letture ti hanno influenzata?
R. “Iniziare a scrivere come giornalista di cronaca. Poi la Filosofia all’Università. Poi William Shakespeare instillato da una incredibile insegnante di Inglese alle superiori, il volto di Virginia Woolf rintracciabile nelle sue parole, la mistura di reale e immaginario in Isabelle Allende, certo surrealismo nei Beatles, la pienezza dei corpi di Tamara de Lempicka, le pugnalate di Carla Lonzi, l’atmosfera d’ansia e bellezza di ‘Blade Runner’, il coraggio ne ‘Il Signore degli Anelli’, cercare e leggere su Internet, prendere treni e aerei, immergermi in alcune città, frequentare l’Udi, parlare con donne profondissime, conoscere uomini interessanti, osservare le curve di certi fumetti, voler essere nell’universo di Harry Potter. Infine, un’attrazione indicibile per il Giappone e quasi la necessità di produrre con le mani, si tratti di una ciambella o del disegno che magari finisce in copertina”.
D. Il libro sul comodino?
R. “Adesso una raccolta di lettere di Frida Kahlo: ‘Querido doctorcito. Lettere al dottor Leo Eloesser’.
D. Ti riconosci un pregio?
R. “Sono bellissima, non ti pare? Ahahhahah. Dai, questa battuta te la spiego la prossima volta”.
D. E un difetto?
R. “Un mio caro amico dice che sono ‘tolemaica’, cioè mi piace che le cose girino attorno a me. Io avrei detto egocentrica, ma a quanto pare la sfumatura è diversa”.
D. Credi nell'amicizia fra donne?
R. “Mai abbastanza, posso fare di meglio”.
D. Che tecnica di scrittura usi? Prendi di continuo appunti?
R. “Sì, appunti. Quasi sempre. Se non prendo appunti è perché quello che leggo, ascolto, osservo, mangio, annuso, tocco non stanno lasciando neppure un segno. Succede, e quando succede è tristissimo. Molte versioni? Non esattamente. Ad esempio dopo aver scritto una scena posso passare ore a lavorare sul ritmo. Tutto deve scorrere come dico io, come ho in mente. Il contenuto deve collassare nella forma”.
D. Che intendi per eclettismo? Che lavori su più livelli artistici?
R. “Ho usato questa parola? Quando e dove? Spero di non averla usata. Comunque penso d’aver capito cosa vuoi dire. Allora, anche quando prendo appunti non è la scrittura l’unico medium. Per esempio faccio foto e registro suoni. In generale mi piace avere molti stimoli, e di conseguenza mi esprimo. Uso scrittura e immagini, ai suoni attribuisco grande importanza. Quando cucino, l’odore è fondamentale. Un giorno userò gli odori anche per scrivere, spero”.
D. Fai vita da movida?
R. “Per niente, mi annoia a morte. Esco se mi va quando mi va con chi mi va. E spesso esco da sola a fare le cose che mi piacciono e per le quali trovare una compagnia interessante è molto difficile. Però mi piace il gin-tonic. Questo dettaglio mi salva dall’immagine di una molto snob?”.
D. Quanti amici hai su Fb?
R. “Adesso sono sui 700 e in crescendo. Me la tiro parecchio, lo devo ammettere: se non conosco personalmente chi mi contatta… ci sto attenta. Nella maggior parte dei casi, voglio almeno due righe via messaggio. Se mi interessa qualcuno che contatto, scrivo perché”.
D. Ti senti una scrittrice provinciale o globale?
R. “È una domanda trabocchetto? Ahahahahah. Provo a essere seria, va bene. Non mi riconosco nella ‘provincia’ come caratteristica del mio lavoro, ma vivo in provincia e questo è un fatto. La retorica del bel posto in cui viviamo non mi interessa, casa mia è dove sono io e alimento le relazioni importanti per me. Il racconto del mondo che mi incuriosisce parte da quello che vivo e osservo, ma questo oggettivamente non affonda le sue radici nella provincia. Essere ‘globale’ è un bell’augurio. Vedremo cosa succederà e cosa potrò ancora raccontare”.
D. La tua è una scrittura sperimentale? Di ricerca?
R. “Sai, nella conferenza stampa di presentazione dei vincitori di ‘Subway’, a Milano, hanno detto che col mio racconto hanno voluto dare spazio a ‘sperimentazione’ e ‘provocazione’. Non è male per una ‘provinciale’, non trovi?”.
D. Cosa c'è nel cassetto?
R. “Soprattutto orecchini, i sogni sono da qualche altra parte: ben alimentati in svariati organi irrorati da sangue”.