di Silvia Resta. “Felice è l’uomo che può riconoscere nel lavoro dell’oggi una porzione legata al valore di una vita e un’incarnazione del lavoro dell’eternità” (Maxwell). Apre così il suo discorso svoltosi ieri all’Università del Salento il professor Lucio Rossi, fisico e ricercatore del Cern di Ginevra, per cercare di spiegare il valore umano della ricerca scientifica, tema del convengo organizzato dai ragazzi del gruppo “Obiettivo Studenti” dal titolo “L'impresa scientifica: un’avventura umana”.
Parla orgoglioso della sua “macchina del tempo” il professor Rossi: l’LHC, l’acceleratore di particelle più grande e potente finora realizzato, uno dei più importanti progetti scientifici di tutti i tempi. Ne elenca le caratteristiche tecniche e le finalità operative, ma soprattutto prova (e ci riesce benissimo) a trasmettere l’entusiasmo e l’energia che si scatenano lavorando con amore e passione ad un progetto del genere. “Creiamo nuova luce” ammette fiero “una luce in grado però di essere vista solo grazie all’occhio umano”, confermando così l’importanza della componente umana in un sistema apparentemente basato su macchinari, progetti tecnici e calcoli astronomici.
Quello che il suo team di ricercatori sostanzialmente cerca di fare ogni giorno da più di vent’anni è di riprodurre il momento esatto in cui ha avuto origine l’universo: il momento del Big Bang. Sono quasi vicini alla meta, “siamo ad un milionesimo di secondo dopo lo scoppio” ammette il professore “ma ancora non è abbastanza”.
Una delle questioni più delicate infatti, uno dei misteri che maggiormente affascinano l’uomo, è la ragione della materialità delle cose, del loro essere oggetti dotati di massa. Generazioni di scienziati stanno cercando di dare risposta a tale questione ipotizzando modelli e concependo esperimenti. “All’interno dell’LHC (Large Hadron Collider), gigantesco collisore circolare di particelle dal diametro di circa 27 km” spiega il professor Rossi “vengono fatti collidere frontalmente fasci di particelle (protoni e ioni pesanti) che ruotano in senso opposto. Tali collisioni avvengono ciascuna ad energie migliaia di miliardi di volte superiori rispetto all’energia di una singola particella di luce visibile. Prezioso frutto di tali scontri sono miriadi di altre particelle delle quali vengono analizzate e studiate la carica, la massa e molte altre importanti caratteristiche fisiche”.
Fra gli scopi principali, quello di elaborare importantissime informazioni in base alle quali cercare di comprendere le interazioni fondamentali della natura e il ruolo giocato dalle particelle coinvolte. Uno dei principali obiettivi di un tale enorme sforzo, non solo tecnologico appunto ma soprattutto concettuale, computazionale e soprattutto energetico, è la comprensione del meccanismo fisico di produzione della massa. Negli anni ‘60 il professor Peter Ware Higgs propose una teoria che potrebbe consentire di spiegare per quale motivo le particelle hanno massa. Proprio alla ricerca della particella di Higgs, del cosiddetto bosone, anche conosciuto come “particella di Dio” per la capacità che avrebbe di giustificare la massa delle altre particelle attraverso la sua stessa esistenza, è rivolta la massima attenzione della comunità dei fisici.
E i risultati presentati dal Cern fanno immaginare che presto potrebbero esserci sviluppi estremamente interessanti. “La scoperta o l’esclusione della particella di Higgs, per come predetta dal modello standard, è sempre più vicina.” conclude Rossi “I computer continuano a elaborare l’incessante flusso di dati che giungono dagli esperimenti”. Forse Higgs avrà ragione o forse no, ma di certo la fisica ne uscirà vincitrice. Non resta quindi che aspettare continuando ad impegnarsi ogni giorno.
Significativo inoltre per la giornata di ieri, che ha richiamato oltre agli studenti dell’Università del Salento, anche alcune classi di studenti liceali, è stato anche l’intervento del professor Marco Mazzeo, ricercatore del Dipartimento di Nanotecnologie dell’Università del Salento, che ha argomentato la sua risposta alla domanda “Ma la scienza di base, serve?” sul rapporto tra scienza di base e nuove tecnologie, partendo dagli esperimenti di Einstein sino ad arrivare a quelli di Jobs e degli odierni ricercatori di nanotecnologie.
Una giornata insomma ricca di spunti e nuove informazioni per i giovani che si affacciano al mondo della scienza. Tutto questo per confermare che se dinanzi a domande ancestrali e al senso delle cose, la mente dell’uomo può diventare preda di smarrimento e inquietudine, la ricerca scientifica, con le sue verità validate dall’esperienza, contribuisce sicuramente a diminuire tale senso di incertezza. “Altroché se serve, quindi!”.
Parla orgoglioso della sua “macchina del tempo” il professor Rossi: l’LHC, l’acceleratore di particelle più grande e potente finora realizzato, uno dei più importanti progetti scientifici di tutti i tempi. Ne elenca le caratteristiche tecniche e le finalità operative, ma soprattutto prova (e ci riesce benissimo) a trasmettere l’entusiasmo e l’energia che si scatenano lavorando con amore e passione ad un progetto del genere. “Creiamo nuova luce” ammette fiero “una luce in grado però di essere vista solo grazie all’occhio umano”, confermando così l’importanza della componente umana in un sistema apparentemente basato su macchinari, progetti tecnici e calcoli astronomici.
Quello che il suo team di ricercatori sostanzialmente cerca di fare ogni giorno da più di vent’anni è di riprodurre il momento esatto in cui ha avuto origine l’universo: il momento del Big Bang. Sono quasi vicini alla meta, “siamo ad un milionesimo di secondo dopo lo scoppio” ammette il professore “ma ancora non è abbastanza”.
Una delle questioni più delicate infatti, uno dei misteri che maggiormente affascinano l’uomo, è la ragione della materialità delle cose, del loro essere oggetti dotati di massa. Generazioni di scienziati stanno cercando di dare risposta a tale questione ipotizzando modelli e concependo esperimenti. “All’interno dell’LHC (Large Hadron Collider), gigantesco collisore circolare di particelle dal diametro di circa 27 km” spiega il professor Rossi “vengono fatti collidere frontalmente fasci di particelle (protoni e ioni pesanti) che ruotano in senso opposto. Tali collisioni avvengono ciascuna ad energie migliaia di miliardi di volte superiori rispetto all’energia di una singola particella di luce visibile. Prezioso frutto di tali scontri sono miriadi di altre particelle delle quali vengono analizzate e studiate la carica, la massa e molte altre importanti caratteristiche fisiche”.
Fra gli scopi principali, quello di elaborare importantissime informazioni in base alle quali cercare di comprendere le interazioni fondamentali della natura e il ruolo giocato dalle particelle coinvolte. Uno dei principali obiettivi di un tale enorme sforzo, non solo tecnologico appunto ma soprattutto concettuale, computazionale e soprattutto energetico, è la comprensione del meccanismo fisico di produzione della massa. Negli anni ‘60 il professor Peter Ware Higgs propose una teoria che potrebbe consentire di spiegare per quale motivo le particelle hanno massa. Proprio alla ricerca della particella di Higgs, del cosiddetto bosone, anche conosciuto come “particella di Dio” per la capacità che avrebbe di giustificare la massa delle altre particelle attraverso la sua stessa esistenza, è rivolta la massima attenzione della comunità dei fisici.
E i risultati presentati dal Cern fanno immaginare che presto potrebbero esserci sviluppi estremamente interessanti. “La scoperta o l’esclusione della particella di Higgs, per come predetta dal modello standard, è sempre più vicina.” conclude Rossi “I computer continuano a elaborare l’incessante flusso di dati che giungono dagli esperimenti”. Forse Higgs avrà ragione o forse no, ma di certo la fisica ne uscirà vincitrice. Non resta quindi che aspettare continuando ad impegnarsi ogni giorno.
Significativo inoltre per la giornata di ieri, che ha richiamato oltre agli studenti dell’Università del Salento, anche alcune classi di studenti liceali, è stato anche l’intervento del professor Marco Mazzeo, ricercatore del Dipartimento di Nanotecnologie dell’Università del Salento, che ha argomentato la sua risposta alla domanda “Ma la scienza di base, serve?” sul rapporto tra scienza di base e nuove tecnologie, partendo dagli esperimenti di Einstein sino ad arrivare a quelli di Jobs e degli odierni ricercatori di nanotecnologie.
Una giornata insomma ricca di spunti e nuove informazioni per i giovani che si affacciano al mondo della scienza. Tutto questo per confermare che se dinanzi a domande ancestrali e al senso delle cose, la mente dell’uomo può diventare preda di smarrimento e inquietudine, la ricerca scientifica, con le sue verità validate dall’esperienza, contribuisce sicuramente a diminuire tale senso di incertezza. “Altroché se serve, quindi!”.