Operazione Domino: sequestrati beni per 100 mln a clan Stramaglia-Parisi

di Redazione. Beni per un valore di oltre 100 mln di euro sono stati confiscati alla criminalita' barese organizzata dalla Guardia di Finanza. I finanzieri hanno eseguito un decreto emesso dal Tribunale di Bari nei confronti di un imprenditore barese, Michele Labellarte, deceduto nel 2009, che riciclava i proventi delle attivita' illecite del sodalizio criminale "Stramaglia-Parisi". (leggi anche: Mantovano, colpire patrimoni illeciti)

IL PROVVEDIMENTO - Il provvedimento e' stato reso possibile dalla recente normativa antimafia che consente di richiedere l'applicazione della misura di prevenzione patrimoniale anche nei confronti degli eredi dei soggetti deceduti. La confisca riguarda 8 societa' di capitali, 89 immobili, tra cui ville, appartamenti, capannoni industriali e terreni, nelle province di Bari, Brindisi e Mantova, nonche' numerosi rapporti bancari ed autovetture. Il decreto del Tribunale e' giunto al termine delle indagini patrimoniali nell'ambito dell'operazione "Domino" che nel dicembre di due anni fa porto' all'arresto di 83 affiliati ai clan baresi.
In pratica, per la prima volta in Puglia i beni sequestrati ad un indiziato di appartenere ad un clan malavitoso vengono acquisiti definitivamente al patrimonio dello Stato, sfruttando le novita' legislative introdotte dai recenti 'pacchetti sicurezza' che hanno, tra l'altro, attribuito maggiore rilevanza alla ''pericolosita'/mafiosita' del bene'' rispetto a quella della persona che di quel bene dispone. Cio' consente, quindi, l'applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale in forma disgiunta da quella personale, nonche' la procedibilita', in caso di decesso della persona interessata ed entro 5 anni dalla sua morte, anche nei confronti degli eredi o aventi causa.

Ne deriva che il decesso di una persona sottoposta a misure di prevenzione (come nel caso di Labellarte), una volta accertata la sua organicita' ad un sodalizio di stampo mafioso, non fa venir meno l'applicabilita' della misura di prevenzione. Secondo quanto accertato dall'inchiesta tra il 2001 ed il 2002 il clan mafioso pugliese aveva la necessita' di convertire dalle lire agli euro ingenti somme di denaro derivanti dal traffico di sostanze stupefacenti, contrabbando, usura, estorsione e dal commercio di armi.

E per questo il boss Angelo Michele Stramaglia si rivolse a Labellarte, imprenditore rampante di Valenzano, condannato nel 2002 per bancarotta fraudolenta ed evasione fiscale, con grandi disponibilita' finanziarie e ben introdotto nei circuiti affaristici della 'Bari bene': un 'colletto bianco' disposto a 'lavare', come si dice in gergo, il tesoro dell'organizzazione.

IL 'TESORO' DI LABELLARTE - Ammontava a sei miliardi di vecchie lire, in contanti, il tesoro consegnato a Labellarte che era diventato il cassiere del clan con il compito di investire e diversificare quel denaro Il capo clan Savino Parisi ne rivendico' la proprieta' durante un incontro avvenuto in ospedale, dove l'imprenditore si trovava ricoverato in fin di vita. Le indagini del Gico hanno permesso di accertare che Labellarte disponeva indirettamente, avvalendosi di 'prestanome', di numerose societa' e conti correnti bancari attraverso cui ha potuto riciclare il 'tesoro' affidatogli dal clan Parisi-Stramaglia.
Le prove raccolte dai finanzieri durante le indagini economico-finanziarie, hanno fatto emergere una fitta rete imprenditoriale, il cosidetto 'Gruppo Societario Labellarte', costituita da societa' amministrate da 'teste di legno'. In particolare sono state individuate alcune societa', per la maggior parte immobiliari, che operavano sotto la sua direzione e controllo.

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