di Francesco Greco. Un fatto è certo: non ne hanno sbagliata una. Eclissi di Sole e di Luna, terremoti, maremoti, tsunami e varie catastrofi. Ora il pianeta vive col fiato sospeso, e si domanda: e se i Maya avessero ragione e il 21/12/2012 fosse l’ultimo giorno di vita per l’umanità e invano si aspetterà il sorgere del sole? Non sarebbe, a dire dello scienziato Telmo Pievani, la prima “estinzione”, ma la sesta. Il mondo ha già visto altri 5 stop and go, siamo solo gli unici sopravvissuti, purtroppo, bisbiglieranno i più critici.
Aspettando l’allineamento dei pianeti sullo stesso asse e la precessione degli equinozi, magari un bell’asteroide vagante nello spazio per tornare, come direbbe l’astrofisica Margherita Hack “nel ciclo del carbonio”, ai superstiziosi non resta che studiare il volo degli uccelli, chiedere lumi agli intestini degli animali, scrutare i fondi di caffè o interrogare la Sfinge. O magari leggere “L’incognita se”, di Barbara Miele, Edizioni Miele 2011, pp. 186, € 12.50, un romanzo in cui la giovane scrittrice (svizzera di nascita ma “adottata” dalla Puglia) fa baluginare fra le righe i capitoli lo sfavillare di qualche diamante sparso qua e là a mò di traccia da seguire per sapere cosa esattamente potrà succedere a Natale 2012 (se si dovrà acconciare il presepe o sarà fatica inutile).
E seguendo le piste disseminate con abile, teatrale noncuranza, chissà, trovare un’àncora di salvezza, un espediente per sfuggire a un destino forse già scritto, una “dritta” per allontanare l’amaro calice dell’Apocalisse, una password per scoprire che i Maya non intendevano il “the end” da noi temuto, ma forse una suggestiva variazione estetico-semantica sul tema. Magari, chissà, si sbagliano e non vogliono dire 2012 ma 3012, o forse 12012, oppure 22012, o…
Il sottotitolo del romanzo, d’altronde, è un indizio da cui partire: “Viaggio tra le profezie del popolo Maya sulla fine del mondo”. E’ risaputo che essi hanno speculato, e di fino, sugli astri, i numeri, il tempo, la filosofia, la spiritualità. E’ inoltre noto che hanno praticato i sacrifici umani per ingraziarsi dèi sempre avidi di sangue. Tutto questo, e tante interfacce ancora, fanno parte del bagaglio di conoscenze di due archeologi italiani, Veronica e Massimo, compagni di studi d’Archeologia, che convocati dal professor Gherardi, loro vecchio docente all’Università, si ritrovano al check-in del volo diretto in Guatemala, dove sono già accampati altri appassionati di questa civiltà precolombiana provenienti da ogni parte del mondo, e ognuno ha approfondito un aspetto della cultura e civiltà Maya: le cognizioni sul tempo, la vita quotidiana, usi e costumi, la religione con la mappatura delle divinità, la medicina, le superstizioni, l’architettura, il complesso della scrittura, l’arte e i dipinti, la piramide sociale che tiene unito il popolo al centro e in periferia: insomma, il collante che tiene unita una collettività consentendogli di progredire e non atomizzare il proprio tessuto sociale.
Sotto lo sguardo severo ma anche d’approvazione del vecchio professore, gli studiosi sono decisi a decodificare gli enigmi contenuti nei geroglifici su stele sepolte nel caldo ventre della terra e d’improvviso riapparse. Non è un lavoro facile, e presto s’accorgono che la sfida con un popolo misterioso le cui conoscenze sono molto più avanzate di quel che si ritiene, è un azzardo che hanno affrontato con infantile incoscienza. Ma per tutti è l’occasione della loro vita, e perciò non resta che continuare la lotta ingaggiata.
A eccitare gli animi, e ridare slancio all’impresa, un interrogativo a prima vista quasi banale, ma che si rivela determinante per il prosieguo della campagna: davvero i Maya 5 secoli fa si sono estinti tutti come fu per la misteriosa Atlantide? E se un esiguo clan, col suo sciamano, fosse sopravvissuto nella foresta e giunto sino all’epoca del web e i subprime? E se proprio loro possedessero l’aleph, la pietra filosofale, la formula alchimica in grado d’illuminare la profezia del 22 dicembre 2012?
Barbara Miele si conferma (questa è la quarta prova: sinora ha pubblicato “Sara sarà”, 2006, “Noi: due io”, 2008 e “Zucchero e peperoncino”, 2008) una narratrice di razza, intrecciando un romanzo attraversato dal filo rosso di una suspence lieve e incalzante. L’architettura della storia è impregnata da un pathos che conquista, il suo sviluppo procede sicuro e nitido, con uno stile scarno, essenziale che richiama Hemingway. La psicologia dei personaggi, Veronica e Massimo su tutti, è abbozzata con pennellate decise come nella pittura rinascimentale. Sospeso fra i ruderi di ieri e gli input postmoderni del XXI secolo, “L’incognita se” è retto inoltre da una musicalità interna capace d’una dirompente forza evocativa e dialettica, e ha nel ritmo uno dei suoi atout più evidenti, e vincenti.
Aspettando l’allineamento dei pianeti sullo stesso asse e la precessione degli equinozi, magari un bell’asteroide vagante nello spazio per tornare, come direbbe l’astrofisica Margherita Hack “nel ciclo del carbonio”, ai superstiziosi non resta che studiare il volo degli uccelli, chiedere lumi agli intestini degli animali, scrutare i fondi di caffè o interrogare la Sfinge. O magari leggere “L’incognita se”, di Barbara Miele, Edizioni Miele 2011, pp. 186, € 12.50, un romanzo in cui la giovane scrittrice (svizzera di nascita ma “adottata” dalla Puglia) fa baluginare fra le righe i capitoli lo sfavillare di qualche diamante sparso qua e là a mò di traccia da seguire per sapere cosa esattamente potrà succedere a Natale 2012 (se si dovrà acconciare il presepe o sarà fatica inutile).
E seguendo le piste disseminate con abile, teatrale noncuranza, chissà, trovare un’àncora di salvezza, un espediente per sfuggire a un destino forse già scritto, una “dritta” per allontanare l’amaro calice dell’Apocalisse, una password per scoprire che i Maya non intendevano il “the end” da noi temuto, ma forse una suggestiva variazione estetico-semantica sul tema. Magari, chissà, si sbagliano e non vogliono dire 2012 ma 3012, o forse 12012, oppure 22012, o…
Il sottotitolo del romanzo, d’altronde, è un indizio da cui partire: “Viaggio tra le profezie del popolo Maya sulla fine del mondo”. E’ risaputo che essi hanno speculato, e di fino, sugli astri, i numeri, il tempo, la filosofia, la spiritualità. E’ inoltre noto che hanno praticato i sacrifici umani per ingraziarsi dèi sempre avidi di sangue. Tutto questo, e tante interfacce ancora, fanno parte del bagaglio di conoscenze di due archeologi italiani, Veronica e Massimo, compagni di studi d’Archeologia, che convocati dal professor Gherardi, loro vecchio docente all’Università, si ritrovano al check-in del volo diretto in Guatemala, dove sono già accampati altri appassionati di questa civiltà precolombiana provenienti da ogni parte del mondo, e ognuno ha approfondito un aspetto della cultura e civiltà Maya: le cognizioni sul tempo, la vita quotidiana, usi e costumi, la religione con la mappatura delle divinità, la medicina, le superstizioni, l’architettura, il complesso della scrittura, l’arte e i dipinti, la piramide sociale che tiene unito il popolo al centro e in periferia: insomma, il collante che tiene unita una collettività consentendogli di progredire e non atomizzare il proprio tessuto sociale.
Sotto lo sguardo severo ma anche d’approvazione del vecchio professore, gli studiosi sono decisi a decodificare gli enigmi contenuti nei geroglifici su stele sepolte nel caldo ventre della terra e d’improvviso riapparse. Non è un lavoro facile, e presto s’accorgono che la sfida con un popolo misterioso le cui conoscenze sono molto più avanzate di quel che si ritiene, è un azzardo che hanno affrontato con infantile incoscienza. Ma per tutti è l’occasione della loro vita, e perciò non resta che continuare la lotta ingaggiata.
A eccitare gli animi, e ridare slancio all’impresa, un interrogativo a prima vista quasi banale, ma che si rivela determinante per il prosieguo della campagna: davvero i Maya 5 secoli fa si sono estinti tutti come fu per la misteriosa Atlantide? E se un esiguo clan, col suo sciamano, fosse sopravvissuto nella foresta e giunto sino all’epoca del web e i subprime? E se proprio loro possedessero l’aleph, la pietra filosofale, la formula alchimica in grado d’illuminare la profezia del 22 dicembre 2012?
Barbara Miele si conferma (questa è la quarta prova: sinora ha pubblicato “Sara sarà”, 2006, “Noi: due io”, 2008 e “Zucchero e peperoncino”, 2008) una narratrice di razza, intrecciando un romanzo attraversato dal filo rosso di una suspence lieve e incalzante. L’architettura della storia è impregnata da un pathos che conquista, il suo sviluppo procede sicuro e nitido, con uno stile scarno, essenziale che richiama Hemingway. La psicologia dei personaggi, Veronica e Massimo su tutti, è abbozzata con pennellate decise come nella pittura rinascimentale. Sospeso fra i ruderi di ieri e gli input postmoderni del XXI secolo, “L’incognita se” è retto inoltre da una musicalità interna capace d’una dirompente forza evocativa e dialettica, e ha nel ritmo uno dei suoi atout più evidenti, e vincenti.