di Ines Macchiarola. C'era una volta Rob Sloan, detto “il giovane” (31 anni), e Fauja Singh il suo “antenato comune” vivo e vegeto di 100 anni suonati. Rob “il giovane” c'era alla maratona di New Castle la “Salomon Kielder” da quarantadue chilometri e 195 metri di corsa. “Nonno” Fauja Singh correva e camminava alla “Toronto Waterfront Marathon” coprendo la stessa distanza in otto ore, 25 minuti e 16 secondi, tre in più di quelli impiegati nel 2003 nella medesima gara quando aveva solo novantadue anni.
“Il giovane” prende l'autobus dopo trenta chilometri di corsa, scende poco prima del traguardo e giunge terzo classificato a braccia alzate felice dell'intervista a lui dedicata e con tanto di primato personale! La medaglia di legno invece và ad un collega “fatto fesso” che smaschera e denuncia l'irregolarità , tanto da far bandire l'artefice della furbata da tutte le maratone del Regno Unito. I sogni di gloria di Rob Sloan sono andati in frantumi...bella storia!
Messa così suona come uno scherzo, un bluff: un “giovane flop”, pigro, vanitoso, egocentrico, forse un po' frustrato e con tanta voglia di apparire più che di sudare, ed un “nonno al top”, tenace, resistente, aggrappato alla vita, con un fisico ed una forza invidiabili. Il primo si è scavato la fossa da solo, il secondo non dà il minimo segno di volerci finire dentro, così come i termini “baro” e “bara” applicati al caso, rappresentano metaforicamente la causa e l'effetto di un'eccepibile o discutibile mentalità sportiva.
La notizia della truffa praticata ai danni dell'etica sportiva, ha suscitato nell'opinione pubblica pareri discordanti. Una parte si è sentita divertita leggendo del furfante che “sportivamente” ha cercato di farla franca. In questo caso il gesto è stato considerato una “bella idea” e pratica da emulare, un po' come voler vedere la triste realtà colorata di fantasia.
Al contrario praticanti ed esperti delle più disparate discipline sportive hanno condannato il maratoneta definendolo indegno di essere considerato “atleta”. Tutt'altra storia la parte di pubblico che si è mostrato gelido ed affatto meravigliato, portando ad esempio casi simili ed i più variegati traini a motore alimentati a benzina: vespe, motorini, trattori per paglia e fieno, ammiraglie dotate di “carrello tutto fare” e qualche raro caso di “corriere” per il trasporto dei civili.
La lista si allunga quando si lascia parlare i ciclisti. Tra gli appassionati dei pedali infatti è raro il caso in cui chi bara viene denunciato, esiste una singolare forma di mafia, tacito e mutuo consenso nell'estromettere il fannullone durante la competizione successiva, un po' come dire - facciamo pagare il torto subito cuocendo il trasgressore scansafatiche a fuoco lento senza scottarlo”. A loro modesto dire si tratta di una pratica un pò ortodossa, ma che funziona, almeno così pare.
“I più”, gli psicoterapeuti, esperti in coaching sportivo nonché studiosi plurititolati di questo fenomeno piuttosto diffuso, ricercano le cause tra gli affetti familiari e/o genitori dalle grandi attese e passione per il gigantismo, tra tecnici esigenti e con scarsa capacità di riconoscere le reali potenzialità dell'atleta, ma poi la lista noiosamente si estende al contesto sociale del giovane sportivo dalla scarsa abilità nell'accettare le sconfitte, e con il terrore di non sentirsi integrato nella comunità in caso di fallimento.
Esiste tuttavia una sensibilità sportiva che avvicina tutte le opinioni, esperte o no, che vede nel gesto del giovane Rob Sloan il desiderio nascosto di tutti pur di apparire vincenti, di sembrare più che esserlo! Che male c'è nel voler vincere? In fondo Fauja Singh “l'indiano” di adozione inglese ha vinto solo quella battaglia con se stesso, quella di “finire” la gara più che di vincerla, con onestà e fair play olimpica più che da guinnes dei primati, passando “per arrivare” attraverso quel lungo e tormentato tunnel di cadute e rialzate, di sconfitte e sacrifici andati a quel paese, ma affrontati con tutto il coraggio dell'insuccesso, quello stesso coraggio richiesto nel vivere quotidiano, sasso dopo sasso, passo dopo sasso. Parola di maratoneta, direbbe nonno Fauja Singh.
“Il giovane” prende l'autobus dopo trenta chilometri di corsa, scende poco prima del traguardo e giunge terzo classificato a braccia alzate felice dell'intervista a lui dedicata e con tanto di primato personale! La medaglia di legno invece và ad un collega “fatto fesso” che smaschera e denuncia l'irregolarità , tanto da far bandire l'artefice della furbata da tutte le maratone del Regno Unito. I sogni di gloria di Rob Sloan sono andati in frantumi...bella storia!
Messa così suona come uno scherzo, un bluff: un “giovane flop”, pigro, vanitoso, egocentrico, forse un po' frustrato e con tanta voglia di apparire più che di sudare, ed un “nonno al top”, tenace, resistente, aggrappato alla vita, con un fisico ed una forza invidiabili. Il primo si è scavato la fossa da solo, il secondo non dà il minimo segno di volerci finire dentro, così come i termini “baro” e “bara” applicati al caso, rappresentano metaforicamente la causa e l'effetto di un'eccepibile o discutibile mentalità sportiva.
La notizia della truffa praticata ai danni dell'etica sportiva, ha suscitato nell'opinione pubblica pareri discordanti. Una parte si è sentita divertita leggendo del furfante che “sportivamente” ha cercato di farla franca. In questo caso il gesto è stato considerato una “bella idea” e pratica da emulare, un po' come voler vedere la triste realtà colorata di fantasia.
Al contrario praticanti ed esperti delle più disparate discipline sportive hanno condannato il maratoneta definendolo indegno di essere considerato “atleta”. Tutt'altra storia la parte di pubblico che si è mostrato gelido ed affatto meravigliato, portando ad esempio casi simili ed i più variegati traini a motore alimentati a benzina: vespe, motorini, trattori per paglia e fieno, ammiraglie dotate di “carrello tutto fare” e qualche raro caso di “corriere” per il trasporto dei civili.
La lista si allunga quando si lascia parlare i ciclisti. Tra gli appassionati dei pedali infatti è raro il caso in cui chi bara viene denunciato, esiste una singolare forma di mafia, tacito e mutuo consenso nell'estromettere il fannullone durante la competizione successiva, un po' come dire - facciamo pagare il torto subito cuocendo il trasgressore scansafatiche a fuoco lento senza scottarlo”. A loro modesto dire si tratta di una pratica un pò ortodossa, ma che funziona, almeno così pare.
“I più”, gli psicoterapeuti, esperti in coaching sportivo nonché studiosi plurititolati di questo fenomeno piuttosto diffuso, ricercano le cause tra gli affetti familiari e/o genitori dalle grandi attese e passione per il gigantismo, tra tecnici esigenti e con scarsa capacità di riconoscere le reali potenzialità dell'atleta, ma poi la lista noiosamente si estende al contesto sociale del giovane sportivo dalla scarsa abilità nell'accettare le sconfitte, e con il terrore di non sentirsi integrato nella comunità in caso di fallimento.
Esiste tuttavia una sensibilità sportiva che avvicina tutte le opinioni, esperte o no, che vede nel gesto del giovane Rob Sloan il desiderio nascosto di tutti pur di apparire vincenti, di sembrare più che esserlo! Che male c'è nel voler vincere? In fondo Fauja Singh “l'indiano” di adozione inglese ha vinto solo quella battaglia con se stesso, quella di “finire” la gara più che di vincerla, con onestà e fair play olimpica più che da guinnes dei primati, passando “per arrivare” attraverso quel lungo e tormentato tunnel di cadute e rialzate, di sconfitte e sacrifici andati a quel paese, ma affrontati con tutto il coraggio dell'insuccesso, quello stesso coraggio richiesto nel vivere quotidiano, sasso dopo sasso, passo dopo sasso. Parola di maratoneta, direbbe nonno Fauja Singh.