di Francesco Greco. “Credo molto alla valenza pedagogica di questi incontri: da 3 anni giro l’Italia per parlare del mio libro”. Si presenta così Giuseppe Ayala, magistrato, senatore (eletto negli anni ‘90 nelle liste del Pri), saggista sbarcando al teatro comunale di Miggiano, sud Salento. “Chi ha paura muore ogni giorno” è un piccolo best-seller, ha venduto 100mila copie: è il segno inequivocabile dell’interesse popolare (il teatro gremito ne è l’ulteriore conferma) per i temi della giustizia e la legalità, nel ritrovato e rafforzato senso civico del Paese, mentre il 7 febbraio (è il ventennale dell’assassinio di Falcone e Borsellino) esce un altro libro sul tema dei conflitti nelle correnti del Consiglio Superiore della Magistratura.
Il “vecchio hidalgo ispanico-siciliano” (copyright del senatore Giovanni Pellegrino) tiene banco un paio d’ore, anche se il moderatore, Rosario Tornesello, un sacco disinformato, lo fa volare basso, alla tarallucci e vino. Sangue e tribunali, stragi e processi, critiche cool alla casta cui appartiene, ma anche grappe e donne, il tutto temperato da un’ironia e un disincanto magno-greco sono le componenti di un libro avvincente. Sposato, 3 figli, 39 anni di Magistratura, fece parte del mitico Pool Antimafia con Falcone e Borsellino, firmò la requisitoria al maxiprocesso con circa 280 imputati che condannò a pene severe (sentenza del 30 gennaio 1992) i capi di, che poi rispose con la stagione delle stragi (Capaci, dove morì un agente di Calimera, Via D’Amelio, ecc.). L’attacco dei corleonesi al cuore dello Stato. Intanto il pool era stato sciolto dai politici. E da allora sono rimaste nell’aria le celebri frasi di Giovanni Falcone: “Come tutte le cose terrene, anche la mafia è una cosa che nasce, cresce e muore” e Paolo Borsellino: “La società deve levarsi la mafia dalle spalle e buttarla avanti…”.
Domanda: Chi è il mafioso?
Risposta: “E’ uno che è riconosciuto come tale: è lì la sua forza”.
D. Quindi i nomi li sanno tutti…
R. “A Palermo tutti sappiamo chi sono: i siciliani conoscono bene i siciliani”.
D. Il terrorismo è stato sconfitto, la mafia è più forte di prima: nel libro lei parla di: cosa vuole dire?
R. “Dopo l’assassinio di Moro la squadra-Stato ha affrontato la squadra-Brigate Rosse e il terrorismo è stato sconfitto. Mentre il terrorismo era fuori dalle istituzioni, la mafia invece è dentro. Perciò parlo di partita truccata. Chi dovrebbe giocare con lo Stato spesso gioca con la mafia. In questo modo si avvilisce il Paese. Finché la lotta alla mafia sarà delegata solo a magistrati e forze di polizia che fanno il loro dovere ma non si scioglierà il nodo politico non ne verremo fuori”.
D. La criminalità organizzata ha un retroterra storico?
R. “Abbiamo appena celebrato anche i 150 anni di condizionamento della mafia della politica italiana. Quando Garibaldi giunse in Sicilia trovò la mafia e i latifondisti gliela misero a disposizione. Alcuni mafiosi furono arruolati nei Mille. Il meridionalista pugliese Salvemini scrisse che Giolitti era il primo ministro della criminalità”. D. Eppure lei sostiene che il terzo livello, quello politico, non esiste: non è una contraddizione? Possibile che i contadini di Corleone abbiano messo in piedi una multinazionale del crimine come?
R. “L’ho scritto nel lontano 1988 sulla rivista e lo confermo: quelli che lei chiama contadini, cioè Riina, Liggio, Provenzano, che fu latitante per 42 anni, Calò, ecc. avevano un network di colletti bianchi di primordine: commercialisti, fiscalisti, ecc. Si servivano dei politici al potere e di alcune aree politiche ma non avevano riferimenti organici. Salvo Lima fu ammazzato non perché era contro la mafia ma perché l’aveva tradita. S’era impegnato a far annullare le sentenze dei processi in Cassazione e non ci era riuscito. All’epoca anche il sistema bancario era contiguo e forse Calvi e Sindona furono uccisi per aver investito male i capitali sporchi. Riina e Provenzano erano i più feroci: uccidevano poliziotti, magistrati, mafiosi che non si piegavano. Il loro fu un potere militare”.
D. A proposito di soldi sporchi: Falcone sosteneva che bisognava guardare alla Borsa…
R. “… e fu subissato di critiche dal Nord. Ma lo stesso Liggio fu il primo a intuire che occorreva spostarsi e andare dove girano i soldi: così la mafia delocalizzò a Milano”.
D. Gennaio 1987, Sciascia scrisse sul un articolo sui , citò Borsellino, Leoluca Orlando e lei…
R. “Ero e sono tuttora d’accordo con Sciascia, ci chiarimmo in un lungo incontro, e comunque tuttoggi ce ne sono…”.
D. Lei è molto severo col CSM, e aspettiamo di leggere meglio le analisi nel libro in uscita: vuole levarsi qualche altro sassolino dalle scarpe?
R. “Non può difendere l’autonomia dei giudici se ha ceduto la sua. Non ho rispetto per il CSM, se passo davanti a Palazzo dei Marescialli cambio strada…”. E con questa battuta al vetriolo Ayala sparisce nella fredda notte mediterranea. Palermo, oh cara!... lo aspetta.
Il “vecchio hidalgo ispanico-siciliano” (copyright del senatore Giovanni Pellegrino) tiene banco un paio d’ore, anche se il moderatore, Rosario Tornesello, un sacco disinformato, lo fa volare basso, alla tarallucci e vino. Sangue e tribunali, stragi e processi, critiche cool alla casta cui appartiene, ma anche grappe e donne, il tutto temperato da un’ironia e un disincanto magno-greco sono le componenti di un libro avvincente. Sposato, 3 figli, 39 anni di Magistratura, fece parte del mitico Pool Antimafia con Falcone e Borsellino, firmò la requisitoria al maxiprocesso con circa 280 imputati che condannò a pene severe (sentenza del 30 gennaio 1992) i capi di
Domanda: Chi è il mafioso?
Risposta: “E’ uno che è riconosciuto come tale: è lì la sua forza”.
D. Quindi i nomi li sanno tutti…
R. “A Palermo tutti sappiamo chi sono: i siciliani conoscono bene i siciliani”.
D. Il terrorismo è stato sconfitto, la mafia è più forte di prima: nel libro lei parla di
R. “Dopo l’assassinio di Moro la squadra-Stato ha affrontato la squadra-Brigate Rosse e il terrorismo è stato sconfitto. Mentre il terrorismo era fuori dalle istituzioni, la mafia invece è dentro. Perciò parlo di partita truccata. Chi dovrebbe giocare con lo Stato spesso gioca con la mafia. In questo modo si avvilisce il Paese. Finché la lotta alla mafia sarà delegata solo a magistrati e forze di polizia che fanno il loro dovere ma non si scioglierà il nodo politico non ne verremo fuori”.
D. La criminalità organizzata ha un retroterra storico?
R. “Abbiamo appena celebrato anche i 150 anni di condizionamento della mafia della politica italiana. Quando Garibaldi giunse in Sicilia trovò la mafia e i latifondisti gliela misero a disposizione. Alcuni mafiosi furono arruolati nei Mille. Il meridionalista pugliese Salvemini scrisse che Giolitti era il primo ministro della criminalità”. D. Eppure lei sostiene che il terzo livello, quello politico, non esiste: non è una contraddizione? Possibile che i contadini di Corleone abbiano messo in piedi una multinazionale del crimine come
R. “L’ho scritto nel lontano 1988 sulla rivista
D. A proposito di soldi sporchi: Falcone sosteneva che bisognava guardare alla Borsa…
R. “… e fu subissato di critiche dal Nord. Ma lo stesso Liggio fu il primo a intuire che occorreva spostarsi e andare dove girano i soldi: così la mafia delocalizzò a Milano”.
D. Gennaio 1987, Sciascia scrisse sul
R. “Ero e sono tuttora d’accordo con Sciascia, ci chiarimmo in un lungo incontro, e comunque tuttoggi ce ne sono…”.
D. Lei è molto severo col CSM, e aspettiamo di leggere meglio le analisi nel libro in uscita: vuole levarsi qualche altro sassolino dalle scarpe?
R. “Non può difendere l’autonomia dei giudici se ha ceduto la sua. Non ho rispetto per il CSM, se passo davanti a Palazzo dei Marescialli cambio strada…”. E con questa battuta al vetriolo Ayala sparisce nella fredda notte mediterranea. Palermo, oh cara!... lo aspetta.