di Francesco Greco. Ecco il libro insospettabile che senza saperlo aspettavamo come gli Ebrei la manna nel deserto (dei Tartari). Di più: lo sognavamo da 4 quattro lustri e più. Da quando (1989) sgusciammo a stento da sotto le macerie (materiali, ideologiche, etiche, estetiche, ecc.) del Muro di Berlino ma non del Muro di Bettino che, al crollo della prima repubblica riaccese le tv del Cavaliere che così, 1994, scese in campo spegnendo i Lumi della ragione e immergendoci nel benessere virtuale, pianta bacata di cui oggi raccogliamo i frutti aspri. La vita divenne pura rappresentazione, pantomina di marionette dai gesti sconnessi, disarticolati, l’afasia inaridì la comunicazione, il feticismo sparso dalla mediasfera una patologia invalidante negata però dall’Inps. La percezione del reale si fece caduca, l’identità mitridatizzata dal global, l’autostima debole. Naufraghi nel mare tempestoso della Storia, relitti alla deriva degli Universi (sconosciuti), alieni nel 3° Millennio. Il pensiero debole ci graffiò con unghiate perverse, come nei racconti di Poe o Lovecraft. E tuttavia, come formiche nere nella notte buia, nonostante ci sparassero sulle cicatrici, trovammo la forza di resistere, resistere, resistere. Fino a poche settimane fa, quando d’improvviso il cielo s’è riaperto e il sole è apparso a dar vigore alle gemme che premono sui rami. Forse la traversata è al capolinea, la “nuttata” eduardiana scolora nel cremisi dell’alba. Forse si può tornare a immaginare un futuro. Lui è stato scacciato da una selva di monetine (perfida citazione di un’altra), anche se le tv-spazzatura, allo sbando, continuano a centrifugare monnezza nell’immaginario collettivo come in un delirio postmoderno, un dipinto di Kandinskj o Jackson Pollock.
A dar corpo a quella che è solo una sensazione embrionale ecco un libro “strategico” che può trasfigurarsi in una sorta di “manifesto” per il tempo che verrà e per chi vorrà viverlo da protagonista, sia con una password minimalista nel suo quotidiano che in chiave politica come unicum integrante della collettività: “L’arte del Piano B”, di Gianfranco Franchi, Edizioni Piano B, Prato 2011, pp. 160, € 13.50, Collana Zeitgeist, design e copertina di Maurizio Ceccato. Un saggio sorprendente, che pagina dopo pagina ti svela un mondo possibile, le coordinate di un’utopia percorribile, raffrontandolo a uno status da cui tutti noi - che in questo tempo infame abbiamo continuato a illuderci, a sognare, a darci un altro orizzonte senza farci corrompere dalla rassegnazione – siamo in fuga, magari senza saperlo, né troppe teorizzazioni né estetiche abborracciate.
E’ attraversato dal filo rosso dell’ironia già in 4a di copertina: “La prima regola del Piano B è che non si parla del Piano B”. Ma è solo una delle innumerevoli chiavi di lettura e decodificazione. L’altra è nel disco solare di copertina, nuda allegoria per svelare la scoperta di un altro sole e forse altri universi di cui Franchi (Trieste 1978, romano di adozione, consulente editoriale, titolare dal 2003 del portale di libri e spettacolo “Lankelot”) ci mette a parte facendoci entrare in una community che pensiamo sia bella vasta, e anche tosta. Ci avverte subito che “il Piano B è uno stato mentale”. Ma, aggiungiamo noi, anche psicologico, politico, esistenziale, etico, estetico, spirituale e ognuno vi aggiunga quel che vorrà. Le persone intrigate dal Piano B sono vive e lottano insieme a noi. Allo scrittore basta un dettaglio per arruolarle e collocarle nel nuovo pianeta appena scoperto o, se si preferisce, farle entrare nella sua Arca di Noè. Sono quelle che sanno “prevedere le incognite… soprattutto in un momento come questo… in cui ti sembra che il tuo paese stia naufragando, che la repubblica democratica diventando qualcosa di pericolosamente diverso, che una serie di diritti acquisiti vengono messi in discussione o cancellati… No, non è così che doveva andare…”, ma rispetto al patriarca biblico “bisogna volare leggermente più basso, stare coi piedi ben piantati per terra”, senza farsi “complessare da chi è riuscito in imprese di un respiro così immenso”, anche se l’Arca, “quando nessuno pensava al diluvio, si avvicina molto a essere l’esempio perfetto”.
Uomini e donne del Piano B vengono a “restituirti il sorriso”, a ridarti un input per continuare a crederci, a imparare da un gatto “quanto importante possa essere la forma”. Studenti, professori, bidelli, ma anche atleti, piccoli negozianti che chiedono aiuto a Facebook, madri con i bambini da svezzare, famiglie allargate, ecc. Hanno un denominatore comune: hanno “sgamato”, non credono alle verità del sistema (regime): politici vs economisti vs intellettuali vs filosofi vs casalesi vs Borsa vs preti vs giornalisti vs tg vs spread vs stilisti vs pubblicitari vs promoter finanziari vs editorialisti vs Grande Fratello vs olgettine vs Merkel vs Sarkozy vs Putin vs Monti, ecc. Questo libro, per gli scenari che sa evocare, le illuminazioni e le urla di cui è cosparso e che brillano come smeraldi, potrebbe essere una svolta nella politica, la cultura, il costume, il futuro in questi Anni Dieci e oltre come a metà Ottocento fu il Manifesto del Partito Comunista e a metà Novecento il libretto rosso delle guardie rivoluzionarie di Mao.
Suggerisce agli “illuminati” d’abbassare la saracinesca sul pensiero debole e credere nel proprio io sino a sfiorare l’ipertrofismo, ritrovare il protagonismo di massa (Toni Negri lo chiamava “autovalorizzazione”) e che da anni portano avanti le realtà antagoniste: no global vs no logo vs popolo viola vs anarchici informali vs No nucleare vs grillini vs “Se non ora, quando?” vs No Tav vs No Ponte vs No 275 vs No Dal Molin, vs No Gronda, ecc. Franchi ci dice con parole luminose che la felicità è un diritto, l’utopia possibile, che la Terra Promessa è vicina, che cambiando noi stessi potremo cambiare il mondo.
A dar corpo a quella che è solo una sensazione embrionale ecco un libro “strategico” che può trasfigurarsi in una sorta di “manifesto” per il tempo che verrà e per chi vorrà viverlo da protagonista, sia con una password minimalista nel suo quotidiano che in chiave politica come unicum integrante della collettività: “L’arte del Piano B”, di Gianfranco Franchi, Edizioni Piano B, Prato 2011, pp. 160, € 13.50, Collana Zeitgeist, design e copertina di Maurizio Ceccato. Un saggio sorprendente, che pagina dopo pagina ti svela un mondo possibile, le coordinate di un’utopia percorribile, raffrontandolo a uno status da cui tutti noi - che in questo tempo infame abbiamo continuato a illuderci, a sognare, a darci un altro orizzonte senza farci corrompere dalla rassegnazione – siamo in fuga, magari senza saperlo, né troppe teorizzazioni né estetiche abborracciate.
E’ attraversato dal filo rosso dell’ironia già in 4a di copertina: “La prima regola del Piano B è che non si parla del Piano B”. Ma è solo una delle innumerevoli chiavi di lettura e decodificazione. L’altra è nel disco solare di copertina, nuda allegoria per svelare la scoperta di un altro sole e forse altri universi di cui Franchi (Trieste 1978, romano di adozione, consulente editoriale, titolare dal 2003 del portale di libri e spettacolo “Lankelot”) ci mette a parte facendoci entrare in una community che pensiamo sia bella vasta, e anche tosta. Ci avverte subito che “il Piano B è uno stato mentale”. Ma, aggiungiamo noi, anche psicologico, politico, esistenziale, etico, estetico, spirituale e ognuno vi aggiunga quel che vorrà. Le persone intrigate dal Piano B sono vive e lottano insieme a noi. Allo scrittore basta un dettaglio per arruolarle e collocarle nel nuovo pianeta appena scoperto o, se si preferisce, farle entrare nella sua Arca di Noè. Sono quelle che sanno “prevedere le incognite… soprattutto in un momento come questo… in cui ti sembra che il tuo paese stia naufragando, che la repubblica democratica diventando qualcosa di pericolosamente diverso, che una serie di diritti acquisiti vengono messi in discussione o cancellati… No, non è così che doveva andare…”, ma rispetto al patriarca biblico “bisogna volare leggermente più basso, stare coi piedi ben piantati per terra”, senza farsi “complessare da chi è riuscito in imprese di un respiro così immenso”, anche se l’Arca, “quando nessuno pensava al diluvio, si avvicina molto a essere l’esempio perfetto”.
Uomini e donne del Piano B vengono a “restituirti il sorriso”, a ridarti un input per continuare a crederci, a imparare da un gatto “quanto importante possa essere la forma”. Studenti, professori, bidelli, ma anche atleti, piccoli negozianti che chiedono aiuto a Facebook, madri con i bambini da svezzare, famiglie allargate, ecc. Hanno un denominatore comune: hanno “sgamato”, non credono alle verità del sistema (regime): politici vs economisti vs intellettuali vs filosofi vs casalesi vs Borsa vs preti vs giornalisti vs tg vs spread vs stilisti vs pubblicitari vs promoter finanziari vs editorialisti vs Grande Fratello vs olgettine vs Merkel vs Sarkozy vs Putin vs Monti, ecc. Questo libro, per gli scenari che sa evocare, le illuminazioni e le urla di cui è cosparso e che brillano come smeraldi, potrebbe essere una svolta nella politica, la cultura, il costume, il futuro in questi Anni Dieci e oltre come a metà Ottocento fu il Manifesto del Partito Comunista e a metà Novecento il libretto rosso delle guardie rivoluzionarie di Mao.
Suggerisce agli “illuminati” d’abbassare la saracinesca sul pensiero debole e credere nel proprio io sino a sfiorare l’ipertrofismo, ritrovare il protagonismo di massa (Toni Negri lo chiamava “autovalorizzazione”) e che da anni portano avanti le realtà antagoniste: no global vs no logo vs popolo viola vs anarchici informali vs No nucleare vs grillini vs “Se non ora, quando?” vs No Tav vs No Ponte vs No 275 vs No Dal Molin, vs No Gronda, ecc. Franchi ci dice con parole luminose che la felicità è un diritto, l’utopia possibile, che la Terra Promessa è vicina, che cambiando noi stessi potremo cambiare il mondo.