di Francesco Greco. Eravamo rimasti agli afrori di Emmanuelle che, forse complice il jet-lag, mugola su un volo di linea. All’epoca le conigliette di Hugh Hefner sorridevano maliziose dalle edicole dove il ragioniere del 4° piano si riforniva infilando furtivamente “Le Ore” e “Men” nei giornali “seri” (lì la pornografia è in ciò che scrivono). Poi apparvero le tv satellitari e gli italians conobbero le performance da catena di montaggio di Jhon Holmes, le acrobazie sul divano nazionalpopolare, in finta pelle, di Rocco Siffredi, star delle 3 x. Le loro notti a luci rosse erano segnate dall’inventiva di Cicciolina e la raffinatezza di Moana Pozzi, vestali dell’eros eredi di Messalina.
Tutto questo però è bigiotteria da Paleolitico. E’ stata la Rete (“svolta digitale”) a sdoganare il porno spalmandolo orizzontalmente al pianeta, a riscriverne la semantica, dargli anche un atout cerebrale spogliandolo di quell’alone di peccato e di provincialismo pruriginoso e ipocrita che recava negli interstizi nonostante Batàille, Apollinaire, Henry Miller e gli Anonimi Cinesi. La pornosfera s’è così popolata (dati 2006: 4 milioni i siti porno) e l’immaginario collettivo ne è stato profondamente contaminato. “Playboy” non ha più lettori, a picco anche il mercato della videocassette. Sul web va un sacco l’amatoriale, girato col cellulare, dove al “ciak!” la casalinga guarda timida in camera, e più si abbassa la qualità più forse si sfiora il confine del cinema neorealista.
Un fenomeno di per sé irrazionale, sfuggente, magmatico. A tentare di scannerizzare “una forma culturale complessa”, disancorandola dalle secche del pregiudizio puritano, elevandolo al rango di “arte” al pari di altre (“pubblicitarie, artistiche, comiche, pedagogiche”), anche per suggerire uno “studio accademico”, giunge opportuno “Il porno espanso” (dal cinema ai nuovi media), Mimesis, Milano-Udine 2012, pp. 482, € 34, a cura di Enrico Biasini, Giovanna Maina, Federico Zecca. Un assemblaggio di saggi sapidi e incalzanti che affrontano analiticamente e senza reticenze riscrivendone l’etimo sin dalle radici storiche (dalla rivoluzione industriale al Novecento, dal cinema muto alla Second Life) una tematica ricca di terminazioni epistemologiche, carsiche e di superficie (rapporto con la musica, le culture giovanili, l’impossibilità di monitorare il fatturato dell’industria, ecc.), dando così un background al porno offerto anche “a nuove audience, in particolare quella femminile”, dalla media sfera in modo pervasivo (i curatori parlano di “colonizzazione”), peraltro sempre in attesa di una normativa che protegga i minori.
E dunque, sdoganamento fu, e non da oggi: già nelle parole di Linda Williams in un famoso saggio del 2004: “…le immagini porno (fisse o in movimento) sono divenute una caratteristica pienamente riconoscibile della cultura popolare”. Che non è sessuofobica se solo le cifre morali in uso rinunciassero a format vetusti nell’approccio, relativizzati. Per ridefinire, come fa Peter Lehman in postfazione, lo stesso concetto di sesso dialettizzandolo (anche con l’aiuto di Bill Clinton e Monica Lewinsky) al 3° millennio contro i sussulti di archetipi neo-oscurantisti (l’incitamento al piacere, che la donna reclama come un diritto, è una costante delle società liberal). Jessica Rizzo sarà orgogliosa di apprendere che la sua mission è stata teorizzata dalla crema dell’intellighentsia di ieri (Marcuse) e oggi (Foucault), ma il lettore maschio non sarà felice di apprendere che “i frequentatori dei cinema porno temevano il contatto con una donna reale”.
Sdoganamento, dunque, anche lessicale: cos’è il gonzo? E la pornografia wall-to-wall? E le “Scene viennesi?” Oltre ai dettagli delle carriere da pornostar di Allie Sin e Eva Angelina, icone del porno glocal e al punto di vista sull’eros di una donna con la d maiuscola: Mae West. I saggi sono firmati da Simone Arcagni, Piet Bakker, Andrea Bellavita, Manuel Billi, Alberto Brodesco, Patrizia Calefato, Emanuela Ciuffoli, Roberto Curti, Bruno Di Marino, Barbara Laborde, Tommaso La Selva, Stephen Maddison, Giacomo Manzoli, Sara Martin, Roy Menarini, Enrico Menduni, Jhon Mercer, Marcello Monaldi, Emmanuel Plasseraud, Clarissa Smith e Saara Taalas.
Tutto questo però è bigiotteria da Paleolitico. E’ stata la Rete (“svolta digitale”) a sdoganare il porno spalmandolo orizzontalmente al pianeta, a riscriverne la semantica, dargli anche un atout cerebrale spogliandolo di quell’alone di peccato e di provincialismo pruriginoso e ipocrita che recava negli interstizi nonostante Batàille, Apollinaire, Henry Miller e gli Anonimi Cinesi. La pornosfera s’è così popolata (dati 2006: 4 milioni i siti porno) e l’immaginario collettivo ne è stato profondamente contaminato. “Playboy” non ha più lettori, a picco anche il mercato della videocassette. Sul web va un sacco l’amatoriale, girato col cellulare, dove al “ciak!” la casalinga guarda timida in camera, e più si abbassa la qualità più forse si sfiora il confine del cinema neorealista.
Un fenomeno di per sé irrazionale, sfuggente, magmatico. A tentare di scannerizzare “una forma culturale complessa”, disancorandola dalle secche del pregiudizio puritano, elevandolo al rango di “arte” al pari di altre (“pubblicitarie, artistiche, comiche, pedagogiche”), anche per suggerire uno “studio accademico”, giunge opportuno “Il porno espanso” (dal cinema ai nuovi media), Mimesis, Milano-Udine 2012, pp. 482, € 34, a cura di Enrico Biasini, Giovanna Maina, Federico Zecca. Un assemblaggio di saggi sapidi e incalzanti che affrontano analiticamente e senza reticenze riscrivendone l’etimo sin dalle radici storiche (dalla rivoluzione industriale al Novecento, dal cinema muto alla Second Life) una tematica ricca di terminazioni epistemologiche, carsiche e di superficie (rapporto con la musica, le culture giovanili, l’impossibilità di monitorare il fatturato dell’industria, ecc.), dando così un background al porno offerto anche “a nuove audience, in particolare quella femminile”, dalla media sfera in modo pervasivo (i curatori parlano di “colonizzazione”), peraltro sempre in attesa di una normativa che protegga i minori.
E dunque, sdoganamento fu, e non da oggi: già nelle parole di Linda Williams in un famoso saggio del 2004: “…le immagini porno (fisse o in movimento) sono divenute una caratteristica pienamente riconoscibile della cultura popolare”. Che non è sessuofobica se solo le cifre morali in uso rinunciassero a format vetusti nell’approccio, relativizzati. Per ridefinire, come fa Peter Lehman in postfazione, lo stesso concetto di sesso dialettizzandolo (anche con l’aiuto di Bill Clinton e Monica Lewinsky) al 3° millennio contro i sussulti di archetipi neo-oscurantisti (l’incitamento al piacere, che la donna reclama come un diritto, è una costante delle società liberal). Jessica Rizzo sarà orgogliosa di apprendere che la sua mission è stata teorizzata dalla crema dell’intellighentsia di ieri (Marcuse) e oggi (Foucault), ma il lettore maschio non sarà felice di apprendere che “i frequentatori dei cinema porno temevano il contatto con una donna reale”.
Sdoganamento, dunque, anche lessicale: cos’è il gonzo? E la pornografia wall-to-wall? E le “Scene viennesi?” Oltre ai dettagli delle carriere da pornostar di Allie Sin e Eva Angelina, icone del porno glocal e al punto di vista sull’eros di una donna con la d maiuscola: Mae West. I saggi sono firmati da Simone Arcagni, Piet Bakker, Andrea Bellavita, Manuel Billi, Alberto Brodesco, Patrizia Calefato, Emanuela Ciuffoli, Roberto Curti, Bruno Di Marino, Barbara Laborde, Tommaso La Selva, Stephen Maddison, Giacomo Manzoli, Sara Martin, Roy Menarini, Enrico Menduni, Jhon Mercer, Marcello Monaldi, Emmanuel Plasseraud, Clarissa Smith e Saara Taalas.
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Cultura e Spettacoli