"Francesco è stato investito dal Buffalo"

FOGGIA. Sarebbe stato investito da uno dei blindati del convoglio col quale viaggiava, il caporal maggiore capo Francesco Saverio Positano, morto il 23 giugno 2010 durante una missione di perlustrazione nella zona di Herat in Afghanistan: è la conclusione cui è giunta la perizia redatta dall’ingegnere biomedico Gionata Fragomeni e allegata in una denuncia-querela depositata dai parenti dell’alpino alla Procura di Roma. Lo hanno reso noto Luigi e Rosa Positano durante una conferenza stampa convocata questa mattina a Foggia.

Secondo la versione ufficiale fornita nella immediatezza del tragico evento, il militare avrebbe avuto un malore e sarebbe caduto dal “Buffalo” durante una manovra. In realtà, già le perizie medico-legali della Procura e di parte hanno escluso questa ipotesi, anche in considerazione delle gravi ferite riportate dal militare al cranio e in altre parti del corpo. Scrivono il professor Pietrantonio Ricci, ordinario di Medicina legale dell'Università della Calabria, e il medico legale Domenico Natale che «l’unica ipotesi che si può escludere con assoluta certezza è appunto la caduta dal mezzo fermo», così come peraltro conviene anche il perito del pm.

Ora, lo studio cinematico commissionato dai genitori esclude definitivamente l’ipotesi della «caduta accidentale dal mezzo militare fermo» e propende per «una dinamica più complessa quale l’investimento da parte di un veicolo a bassa velocità in fase di manovra». «È ragionevole ipotizzare – scrive l’ingegnere biomedico – che l’investimento sia avvenuto durante la fase di manovra di uno dei veicoli del convoglio mentre la vittima era scesa probabilmente per verificare le distanze o la situazione del mezzo».

La denuncia e la perizia sono state incluse nel nuovo fascicolo di inchiesta che la Procura della Capitale ha aperto «contro noti» con l’ipotesi di omicidio colposo proprio a seguito delle numerose istanze e sollecitazioni rivolte dalla famiglia del militare. Una prima indagine era stata infatti avviata nelle ore immediatamente successive alla morte del caporale ed era stata archiviata non senza «contraddizioni e incongruenze».

«Quello che ci muove – hanno spiegato i genitori del giovane militare – non è il desiderio di vedere punito qualcuno a tutti i costi, né tanto meno un sentimento di vendetta contro il responsabile o i responsabili della morte di Francesco: vogliamo soltanto sapere la verità sulla morte di nostro figlio, quella verità che finora ci è stata negata e a cui invece riteniamo di avere diritto». «Non ha avuto un malore, nostro figlio – hanno aggiunto – godeva di ottima salute e stava servendo il suo Paese all'estero: qualcuno ha sbagliato e Francesco oggi non c’è più».

«Agli atti della Procura – hanno rilevato gli avvocati Annarita Antonetti e Lucia Frazzano – mancano molti tasselli che sono invece indispensabili per far luce su quanto accaduto: manca un’accurata planimetria del luogo dell’incidente, mancano gli abiti indossati da Positano, manca l’elmetto, per arrivare alle testimonianze, lacunose e perlopiù inattendibili». In quella missione – hanno ricostruito – erano impegnati in venti, compreso Francesco. Di questi soltanto sei sono stati ascoltati sommariamente, come testimoni, subito dopo l’incidente: «Le loro dichiarazioni sono così inattendibili che neppure il pm che ha archiviato la prima inchiesta le ha ritenute utili».

«Perfino i rilievi fotografici effettuati dai militari che hanno soccorso invano Francesco – hanno sostenuto i legali – sono stati nella materiale disponibilità della Procura soltanto otto mesi dopo il fatto, tanto che l’esperto nominato dal pm non ha potuto neppure visionarli prima di consegnare la sua perizia». «Elmetto, divisa e equipaggiamento – hanno proseguito – dovevano essere conservati con scrupolo e attenzione proprio perché utili ai fini dell’indagine, e invece a oggi non si sa se, da chi e dove sono stati conservati».

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