San Biagio, il vescovo guaritore

di Vittorio Polito. Il calendario ricorda il 3 febbraio San Biagio, martire e vescovo di Sebaste (Armenia), indicato in alcuni atti, non si sa in base a quale fondamento, come medico. Il suo martirio sarebbe avvenuto sotto Diocleziano o Licinio, ma l’opinione preferibile è per l’epoca di Licinio (Vito Lozito, “Agiografia, magia, superstizione”, Levante Editori).
Scoppiata la persecuzione, Biagio si allontanò dalla sua sede vescovile e andò a vivere in una caverna, dove guariva con un segno di croce gli animali sofferenti. Scoperto da alcuni cacciatori in mezzo ad un branco di bestie e denunciato al magistrato, venne catturato e rinchiuso in prigione, dove riceveva e sanava gli ammalati. Un giorno si recò da lui una donna, il cui figlio era sul punto di morire a causa di una lisca di pesce che si era conficcata in gola. La benedizione del Santo con due ceri incrociati lo risanò immediatamente. Fra tanti miracoli, operati anche durante le torture, merita particolare ricordo quello della vedova, alla quale un lupo aveva portato via un maialino. La donna, riavuta la sua bestia per intercessione di Biagio, in segno di riconoscenza portò cibi e candele al Santo che, commosso, le disse: «Offri ogni anno una candela alla chiesa che sarà innalzata al mio nome ed avrai molto bene e nulla ti mancherà».

San Biagio subì la decapitazione (probabilmente il 3 febbraio del 316). Il suo culto è tra i più diffusi in Oriente e in Occidente, sebbene, sembra, non si affermò immediatamente dopo la sua morte. La festa è celebrata dagli orientali l’11 febbraio, dagli occidentali, invece, il 3 o anche il 15 dello stesso mese. Numerose le chiese e gli oratori a lui dedicati in ogni parte del mondo cristiano: a Roma se ne contano diverse tra cui la Cappella sulla via Giulia. Nella nostra Regione San Biagio è protettore di Ruvo di Puglia (BA), dal momento che nel 1857 in occasione di una grave epidemia che colpì la gola di molti bambini, fu esposta la reliquia del Santo che compì il prodigio di far scomparire il morbo e da quel momento fu eletto San Biagio protettore della città. Nel corso delle celebrazioni, la tradizione prescrive la benedizione dei nastrini (re mesiure), che vengono messi al collo dei bambini e tarallini di varia forma (frecedduzze), raffiguranti la mano benedicente, il bastone e la mitra del Santo. Il vescovo guaritore è patrono anche di Avetrana (TA) e di Corsano (LE).

Le raffigurazioni relative al Santo, alla sua vita e al suo martirio sono numerose, forse perché alcune leggende ne avvicinarono il culto al gusto ed alla sensibilità popolari. Suo attributo comune è, oltre alle costanti insegne episcopali, il pettine di ferro da cardatore - infatti è assunto anche come patrono dei cardatori – strumento della tortura subita. Ma l’attributo iconografico che appare più frequentemente sono due ceri incrociati, in ricordo del miracolo della lisca di pesce.

Numerose sono anche le opere in cui gli artisti vollero mettere in luce soprattutto la grandezza della figura del Santo, raffigurandolo seduto in trono, vestito di sontuosi paramenti sacri, le mani levate in alto con gesto benedicente, la croce episcopale e le insegne del martirio. Nel giorno della sua festa, in Spagna, Francia e Germania, vengono distribuiti speciali piccoli pani, che nella forma ricordano le parti malate. Anche a Roma, nella Chiesa di San Biagio della Pagnotta, tale tradizione sopravvive, mentre a Milano, e pian piano anche nel resto d’Italia, si mangia una fetta di “Panettone di San Biagio” che sarebbe poi quello avanzato durante le festività natalizie.

Il potere taumaturgico del Santo si estese, oltre alle malattie della gola anche a numerose altre patologie: in particolare, in Germania, è invocato anche contro i mali della vescica, per l’affinità fra il suo nome e il termine tedesco “blase” che indica appunto quell’organo.

In occasione della sua festa, vengono celebrate messe e festeggiamenti nei reparti di otorinolaringoiatria, dal momento che San Biagio è considerato protettore della gola e degli otorinolaringoiatri.