di Francesco Greco. Bert Somerville è morto, l’ha ucciso un tumore al pancreas. Al funerale c’è la figlia Phoebe, appena diseredata, o forse no. Ha portato la cagnolina francese, Pooh, ben tosata e agghindata e il suo amico ungherese, Viktor, un modello “straordinariamente bello con la sua lunga coda di capelli ornata di perline”, che lei lascia credere sia l’amante. Phoebe ha la bocca umida “di un delizioso rosso peonia” e indossa uno “scandaloso bustino dorato e lucido sotto la giacca” e una gonna stretta: una citazione di Jane Mansfield. Così conciati, pieni di strass, di solito si va a un concerto di Lady Gaga, al limite dallo strizzacervelli.
E’ l’incipit malioso de “Il gioco della seduzione”, di Susan Elizabeth Phillips, Leggereditore, Roma 2012, pp. 464, € 10, romanzo che sinora ha venduto oltre 5 milioni di copie nel mondo e che sbarca per la prima volta in Italia. Siamo Chicago, la figliol prodiga del presidente degli “Stars”, squadra di football americano messa un sacco male, è tornata per seppellire un padre con cui ha avuto sin da piccola un rapporto conflittuale e che non ha condiviso una sola delle sue scelte esistenziali: a cominciare dalla lunga love story a Parigi con un pittore spagnolo, Arturo Flores, che tutti hanno creduto il suo amante e che l’ha immortalata in opere sparse in tutti i musei degli Usa. Fatto che ha irritato e molto il genitore, tanto da lasciare in eredità la squadra al cugino 35enne Reed Chandler con cui è cresciuta.
Davanti alla bara “lucida e nera” è raccolto il team, coach, dirigenti, ecc. quando la cagnolina sfugge dalle mani del modello e dopo aver combinato un disastro dove va a fare i bisognini? Da qui prende le mosse una storia d’amore sorprendente, segnata da continui colpi di scena, scritta con uno stile piano, in punta di penna, con leggerezza e ironia, ma anche con il senso del ritmo come il buon jazz di Dizzie Gillespie. Corpo di bambola, occhi color ambra, Phoebe è, come si dice, un sacco alternativa. Da quando se n’è andata di casa si è accompagnata a gay, artisti, gente che vive le sue scelte sino in fondo e senza chiedere nulla alle maggioranze silenziose e conformiste. Anche per questo la ribelle è in conflitto pure con la sorellastra Molly, una ragazzina incolore che però ha un alto quoziente d’intelligenza e che legge Dostoevskij e Daphne De Maurier.
Con un coup-de-theàtre improvviso, che sorprende Phoebe per prima, il testamento le consegna la squadra in rapido declino, ma deve risollevarne le sorti entro breve tempo, altrimenti dovrà farsi da parte con una tfr di 100mila $, buoni comunque a riprendere la vita magari aprendo una galleria d’arte a Manhattan. La ragazza tutta seno e fianchi capisce che è una trovata del padre per “controllarla” anche dalla tomba e continuare a determinare la sua vita. E’ tentata di tornarsene a New York, con Pooh e modello bellissimo al seguito. Ma accetta la sfida e si trova a combattere con un ambiente machista di cui non sa nulla e soprattutto Dan Calebow, l’allenatore dei “Chicago Stars”, un 37enne rude, “dal corpo spettacolare”, che sta divorziando dalla noiosa moglie Valerie, cerca una donna che stia a casa e si occupi solo di pannolini e pupù e di lei pensa che sia “una puttana d’altobordo, ma non tanto intelligente”, e chiarisce meglio a se stesso che “non è lei la donna semplice e solare che sto cercando”. Infatti.
C’è tutta l’America post-Bush e post-Scharzenegger e i suoi format culturali in questo romanzo della Phillips. Sospesa tra ieri e oggi, law & order e i postulati etico-esistenziali del XXI secolo di cui è portatore Obama. C’è l’incomunicabilità e l’afasia dei sentimenti, ma soprattutto i conflitti generazionali, fra Bert, la vecchia America che pure è stata grande ma ormai in affanno, e Phoebe (che fu violentata alla festa dei suoi 18 anni senza essere creduta dal padre) con la vocina impostata di Kathleen Turner o Madonna. Insomma, l’America 2.0 e Occupy Wall Street. Sullo sfondo di un rapporto edipico irrisolto. E tra lei e Molly, la generazione che avanza e che non accetta regole se non le proprie. Il tutto in un canovaccio da cui emergono gli archetipi fondanti della cultura Usa: il mito della frontiera, lo spirito di competizione, la carriera, il successo sopra tutto, i fallimenti sempre in agguato in un Paese capace comunque di reinventarsi di continuo (e anche qui è la sua grande forza). La scrittrice contestualizza questa tavolozza, ma dov’è insuperabile è nell’abbozzo della psicologia dei personaggi, soprattutto l’animo inquieto della donna del 3° Millennio che vuol vincere su due fronti ma senza l’asprezza sterile dello yuppismo: la sfida dei sentimenti e quella della realizzazione come persona grazie a una tenace determinazione e una nuova coscienza delle proprie possibilità.
La scrittura della Phillips, nel cogliere le sfumature e in certi passaggi persino l’inafferrabile, riecheggia la psicoanalisi ma anche lo Svevo della “Coscienza di Zeno”, nel senso che i personaggi confidano a se stessi e poi agli altri la verità nuda e cruda, fuori da ogni ipocrisia e doppiezza cattolica che consiglierebbe di tacere o almeno smussare. Riscrivendo l’etimo della seduzione intatto da Nefertiti a Saffo e Marilyn Monroe e in tal modo il cuore di tenebra degli Usa al tempo del byte e i subprime.