Aloia, Di Muro, Garofalo: dallo studio dell'agorafobia all'eccellenza della sperimentazione teatrale

di Roberta Calò. "Nella mia stanza ho tutto ciò che voglio, la ia vita vera è su internet. Mi basto". Un urlo che ha squarciato il silenzio della galleria BluOrg dove proprio domenica ha preso vita lo spettacolo "Il chiodo che sporge va preso a martellate", l'ultimo appuntamento con la rassegna "Il cuore secondo Giovanni" offerto dall'associazione Artecrazia con il Patrocinio dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, in collaborazione con il “Manifesto del Teatro delle Bambole” e “Federico II Eventi”.
L'idea è nata da una delle più tristi piaghe della società moderna incarnata dalla figura degli hikikomoro che incarnano pienamente quanto sosteneva Einstein: "La mente è come il paracadute. Funziona solo quando è aperta": giovani che si isolano dal mondo trovando la propria dimensione vitale in uno stato autoreclusivo di agorafobia tra le mura del web rifuggendo occhi, voci, input provenienti dalla vita vera. Presentato come studio in fase di tutoraggio che, così come illustrato dalle tre attrici (Aloia, Di Muro, Garofalo), punta sul feedback del pubblico per crescere e approfondirsi, in realtà questa apparente sperimentazione ha dimostrato senza mezzi termini di avere acclamate basi per diventare un grande spettacolo.
La comunicazione viene posta al centro della vita di queste tre sorelle, ciascuna ben caratterizzata dalle proprie peculiarità empiriche e sopraffatta dalla propria esistenza, ma non abbastanza da riuscire ad ignorare quella sottile linea rossa che le lega nel sangue dell'amore fraterno. Urla strozzate, scatti di ribellione, corse in cui rivive il passato per poi scontrarsi col proprio riflesso nello specchio e raggiungere l'autocoscienza dei propri limiti, delle proprie potenzialità, delle proprie paure, delle proprie debolezze. Silenzi e parole, equilibrati nella giusta misura e precisamente calibrati sulle note di una vena ora ironica ora patetica ora sentimentale, s'alternano in quello che viene posto come obiettivo centrale: "Nelle foto da bambine io ho sempre l'espressione di chi ha accanto uno sconosciuto. Ti tenevo per mano. Volevo proteggerti".
Un megafono altro da sé continua a ripetere "Lasciami in pace" e la stereotipizzazione d'uno status quo, quello virtuale, fa il resto nel definire i contorni d'una pseudoesistenza su cui piovono impassibilmente sacchi di immondizia. Le mura di internet appaiono insormontabili e indistruttibili, l'animo che vi è rinchiuso appare quasi irraggiungibile nel suo totale annichilimento ma un foro nella parete, una foto, una ridondante cantilena che ora si fa dolce canzoncina riescono a far franare la roccaforte del web e la guerra è vinta dall'amore, da una favola che ruota attorno alla parola "Ti Amo", dalla forza di volontà che strappa di dosso una personalità che non appartiene, risveglia dal torpore e torna a far rivivere la vera essenza dell'essere umano nel rapporto col proprio io e con gli altri.
Si sorride, si racconta, si riflette attraverso la proverbiale interpretazione di tre ragazze che, giocando con il mito della dea Amaterasu, hanno offerto a quanti hanno voluto assistere, non solo una storia, ma un mondo su cui riflettere per comprendere fino in fondo quel sottile substrato di apertura o di chiusura che può pericolosamente sottintendere ad ogni relazione umana.

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