Da Depressa al jet-set internazionale, storia e storie dello chef Antonio Guida

 di Francesco Greco. Silenzio, per favore: nella cucina di Antonio Guida, executive chef all’Hotel “Pellicano” di Porto Ercole (sul Monte Argentario), si entra col passo felpato, col garbo e la leggerezza che distinguono il suo carattere modesto, riservato e che gli impediscono di affacciarsi dagli schermi televisivi come i “guru” della cucina contemporanea retta da infinite contaminazioni e sperimentazioni.
   Il “Pellicano” ha 5 stelle, una Michelin dal 2005, un’altra l’ha ricevuta nel 2010, ed è aggrappato alle scogliere a picco sul mare in una location incantevole, unica. Dal 2002 è il “regno” di un ragazzo del Sud che studiando (nel 1991 s’è diplomato all’Alberghiero “Aldo Moro” di Santa Cesarea Terme), seguendo stage in tutto il mondo, lavorando a Parigi, Londra, Roma, negli Usa, ecc. è diventato uno chef d’avanguardia, quel che si dice un’eccellenza di Puglia.
   Depressa è uno di quei paesi della Puglia (profondo Salento) dove non succede mai niente: le ragazze guardano “Beautiful” e aspettano un marito, i ragazzi oziano al bar mentre decidono cosa fare della loro vita, come darle un senso. Qui è nato Antonio nel 1972. Il Sud è spesso una condanna per i migliori, i “cervelli”, quelli convinti di valere e che perciò vogliono farcela soli, senza umiliazioni nè favori. Ma se si accetta la sfida, e ci si fa sedurre dall’opportunità che il mondo può dare riempiendo una valigia e prendendo il treno, allora tutto cambia: la realtà è come argilla fresca nelle proprie mani. Fosse rimasto oggi sarebbe precario, sfruttato in uno dei ristoranti dove pure da ragazzo ha lavorato per guadagnarsi il pane.
   Antonio invece il mondo lo ha girato in lungo e largo prima di fermarsi a Orbetello (Grosseto), dove ha trovato la donna della sua vita, Luciana Lombardi, e ha messo su famiglia (cicogna in arrivo!). Non ha manco 40 anni ma ha una formazione professionale e umana di primissimo piano. Al “Pellicano” dirige una “brigata” di 20 cuochi: lo definisce “un piccolo esercito affiatato”. E chi passa da lì, agli amici e su Facebook poi racconta di aver conosciuto una cucina “immaginifica” (Costantino Russo, restaurant manager) e di aver mangiato “divinamente”. Com’è accaduto di recente alla famosa poetessa Lara Savoia (“I miei giochi scomposti”).
   Guida “nasce” come pasticciere, allievo del maestro Raffaele Bello (detto “Raffaelino”, pasticciere alla corte della Regina Elisabetta, per dire). “E’ stato lui a insegnarmi come si sta in cucina”, riflette con la giusta riconoscenza dell’allievo al maestro. Poi (aiutato dalle lingue: parla inglese e francese), altra “scuola” di prestigio, che ha valore d’iniziazione: le navi da crociera. Solo lì puoi incontrare e metabolizzare la cucina internazionale in tutte le sue interfacce. E se la vita è decisa anche dagli incontri che facciamo, va in Francia e vive due anni intensi, gomito a gomito con un mito dell’alta ristorazione: Pierre Gagnaire. Nel ristorante che porta il suo nome (3 stelle della guida Michelin) il ragazzo venuto dal Sud si svezza al lavoro (è Commis de Cuisine) ma anche alla vita. “Lavorando con lui – altro debito di riconoscenza – i miei orizzonti si sono allargati, la fantasia sviluppata, ma anche il senso dell’organizzazione”.
   E infatti senza la gerarchia un ristorante, come qualsiasi luogo dove si lavora, non esisterebbe: finirebbe preda dell’anarchia. Un lezione che lo chef pugliese applica alla lettera nei 9 anni al “Pellicano” e che è anche il “segreto” del successo di un must della ristorazione nazionale. Tornato da Parigi lo si trova all’”Enoteca Pinchierri”, a Firenze, poi al “Don Alfonso” (Sant’Agata su due Golfi, Napoli, come Chef de Partie) e alla “Terrazza”, il ristorante dell’Hotel “Eden” di Roma che ispirò a Ettore Scola il celebre film (Sous Chef de Cuisine). Quindi brevi excursus al “Princes Cruises” in California, al “Savoy” Hotel di Zurigo (Demi Chef de Partie) e infine nel 2002 al “Pellicano”.
   Di sfida in sfida, come i cavalieri medivali che buttavano il cuore oltre l’ostacolo, mai pago dell’arte che fa sua, segue di continuo stage e corsi in Francia, Spagna, Gran Bretagna, ecc. Il 2011 è stato l’anno in cui il suo palmarès si è arricchito di numerosi riconoscimenti: le 3 forchette del “Gambero Rosso”, “Grand Chef, Palais & Chateaux”, “Trophy Chef, Relais e Chateaux”, la votazione di 17,5/20 sulla Guida dell’Espresso.
“Come definirei la mia cucina? - chiede – d’impronta classica, con influenza transalpina“. E i piatti che hanno più successo? “Riso nero di Venere, crema gialla alla curcuma, calamaretti e fiori commestibili; triglia avvolta in fiore di zucca con crema di riso di Venere, topinambur e lumachine di mare; testina di vitello con fondo di fois gras e…”. Basta, Maestro, per favore: per noi che consideriamo blasfema la cucina molecolare, trasgressiva una frittura mista e pizza e birra a mezzanotte son cose dell’altro mondo…

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