di Francesco Greco. Il default delle camice verdi? Era già pitagorico. Novembre 2011: a Palazzo Chigi sbarca il “tecnico” Mario Monti e il focus-group di bocconiani. La Lega va all’opposizione, stanca dei diktat del Cavaliere. Vola nei sondaggi: 12%. Aprile 2012: perquisizione in via Bellerio, appare una cartellina: “The Family”. Le intenzioni di voto quasi si dimezzano: 7% (e tracolla alle amministrative). Le Procure di Milano, Napoli e Reggio Calabria non lo sanno ma hanno destrutturato una mitologia, formattato un immaginario. Lo spadone di Alberto da Giussano, l’ampolla d’acqua del Po, il dio Eridano, il “Va pensiero”, Miss Padania, il celodurismo, l’armamentario celtico, le icone propagandistiche, che hanno creato il “cerchio magico”, emozionando i cuori e folgorando le menti dei padani: tutto kitch relativizzato, ferrivecchi da cantina.
Pesanti le ipotesi di reato: “appropriazione indebita, truffa aggravata ai danni dello Stato, riciclaggio”, e ancora accuse di “bilanci truccati, fondi neri, fatture false”: un uso discrezionale dei rimborsi elettorali. “Chi di virtù ferisce – vien da parafrasare – di virtù perisce”. Oggi lo slogan “Roma ladrona” potrebbe essere rovesciato in “Lega ladrona”, migliorato in “Tengo famiglia”, il cappio che agitarono i leghisti agli albori di Mani Pulite usato sulla faccia dei Belsito (tesoriere forse vicino alla meridionale ‘ndrangheta che restituisce 11 diamanti comprati con i fondi statali, ma ne mancherebbe uno e 5 chili d’oro in lingotti) e le Rosy Mauro, espulsa per aver spinto la carriera del ragazzo manco fosse Frank Sinatra, usando come “bancomat” le casse del partito.
Nata per federare l’Italia, la Lega è finita in una palude molto italiana, in cui tutti, o quasi, gli stereotipi della subcultura e del senso comune sono ricalcati pateticamente con la carta carbone. Una storia ben documentata, raccontata magnificamente, oggettivamente, facendo cioè parlare i fatti nudi e crudi, con lo stile del giornalismo anglosassone, nell’instant-book di Giorgio Michieletto e Valentina Fumagalli “The Family” (Segreti e misteri di casa Bossi), Editore Cairo, Milano 2012, pp. 142, € 9.90.
Un crepuscolo degli dèi che cade nel momento storicamente sbagliato: e per questo più devastante, sia nella percezione del “popolo padano”, che ha invocato e ottenuto il ramazza-day con la giornata dell’orgoglio leghista, sia nell’immaginario degli italiani chiamati alle lacrime e sangue e a cui il tg sbatte in faccia all’ora di cena storie molto italian-style (da Poggiolini e signora a Tedesco e famiglia) di lauree comprate, paghette da 5mila €, auto blu con autista per i rampolli di casa Bossi. Sinora era stata sfumata dai media, ma spunta anche una Scuola Bosina dove si insegna il dialetto delle Valli e, presumiamo, a sputare sui meridionali e prendere le impronte ai magrebini. Se il livello culturale della Lega è questo il corpo docente sarà composto da quelli che dovevano fare l’esame di bergamasco agli aspiranti insegnanti terroni nelle scuole padane.
E se è vero che gli dèi accecano coloro che vogliono perdere, siamo dentro un cabaret di provincia, e ogni file che i magistrati aprono la virtù si rivela posticcia e la virilità del mito celtico va a farfalle. Questa è la “costola della sinistra”, diceva D’Alema, a sua volta diventato “costola della Lega”. Il saggio, appassionante, scritto benissimo da due giornalisti di casa a Varese, Gemonio e dintorni, ripercorre la parabola di un leader molto “italiano”: che infatti presenta dimissioni “irrevocabili” da segretario ma si nomina presidente non decodificando il vento che è cambiato. Nonostante la moglie (“Non so cosa avrei fatto senza la Manuela”), svelata come “mente” politica, a metà fra un’Evita Peron terrona e un’Elena Ceausescu intrigante, gli consigli di farsi da parte: “Ma ricordati, non sei finito…”, aggiunge con lo sguardo carico d’amore.
La password politica è comunque riduttiva: và letto anche in chiave sociologica, antropologica, etica, per osservare con quanta facilità muti l’eterogenesi dei fini senza che nessuno se ne accorga e la politica diventi antipolitica. Eppure, per chi crede all’occultismo (la politica ha anche un livello fra lo sciamanesimo e la cosmogonia), bastava decifrare una babele di segni per capire dove si andava a parare. Estrapoliamone uno: la notte fra 10 e 11 marzo 2004 il cuore di Bossi cede: “Non respiro, non respiro… muoio”. A Gemonio cade la neve. L’ambulanza arriva alle 6 del mattino, le ruote slittano, invece che a Varese si dirige a Cittiglio e con le prime cure le agenzie battono la notizia: Al-Qaeda ha messo le bombe sui treni alla stazione “Atocha” di Madrid.
E’ la profezia di Miglio, filosofo trattato come fenomeno da baraccone da una Lega di cultura bignamina: “Bossi? Una scorreggia scagliata nell’infinito”. Bastava a destare sospetti: ma la suggestione e il folklore hanno prevalso, confuso la brava gente andata con la scopa a Bergamo (avrebbe dovuto usarla addosso ai Bossi). Fino alla dolcevita dei lingotti, i diamanti, le auto blu ad personam, le ville (Calderoli ha cercato di derubricarne una splendida nel cuore di Roma, con pineta e piscina a baracca in riva al Tevere), che hanno omologato la Lega agli altri partiti italiani (quelli di Lusi, Penati, Vendola, ecc.). Da un “battesimo” con l’acqua del Po densa di vibrioni ci si poteva attendere di più?
Pesanti le ipotesi di reato: “appropriazione indebita, truffa aggravata ai danni dello Stato, riciclaggio”, e ancora accuse di “bilanci truccati, fondi neri, fatture false”: un uso discrezionale dei rimborsi elettorali. “Chi di virtù ferisce – vien da parafrasare – di virtù perisce”. Oggi lo slogan “Roma ladrona” potrebbe essere rovesciato in “Lega ladrona”, migliorato in “Tengo famiglia”, il cappio che agitarono i leghisti agli albori di Mani Pulite usato sulla faccia dei Belsito (tesoriere forse vicino alla meridionale ‘ndrangheta che restituisce 11 diamanti comprati con i fondi statali, ma ne mancherebbe uno e 5 chili d’oro in lingotti) e le Rosy Mauro, espulsa per aver spinto la carriera del ragazzo manco fosse Frank Sinatra, usando come “bancomat” le casse del partito.
Nata per federare l’Italia, la Lega è finita in una palude molto italiana, in cui tutti, o quasi, gli stereotipi della subcultura e del senso comune sono ricalcati pateticamente con la carta carbone. Una storia ben documentata, raccontata magnificamente, oggettivamente, facendo cioè parlare i fatti nudi e crudi, con lo stile del giornalismo anglosassone, nell’instant-book di Giorgio Michieletto e Valentina Fumagalli “The Family” (Segreti e misteri di casa Bossi), Editore Cairo, Milano 2012, pp. 142, € 9.90.
Un crepuscolo degli dèi che cade nel momento storicamente sbagliato: e per questo più devastante, sia nella percezione del “popolo padano”, che ha invocato e ottenuto il ramazza-day con la giornata dell’orgoglio leghista, sia nell’immaginario degli italiani chiamati alle lacrime e sangue e a cui il tg sbatte in faccia all’ora di cena storie molto italian-style (da Poggiolini e signora a Tedesco e famiglia) di lauree comprate, paghette da 5mila €, auto blu con autista per i rampolli di casa Bossi. Sinora era stata sfumata dai media, ma spunta anche una Scuola Bosina dove si insegna il dialetto delle Valli e, presumiamo, a sputare sui meridionali e prendere le impronte ai magrebini. Se il livello culturale della Lega è questo il corpo docente sarà composto da quelli che dovevano fare l’esame di bergamasco agli aspiranti insegnanti terroni nelle scuole padane.
E se è vero che gli dèi accecano coloro che vogliono perdere, siamo dentro un cabaret di provincia, e ogni file che i magistrati aprono la virtù si rivela posticcia e la virilità del mito celtico va a farfalle. Questa è la “costola della sinistra”, diceva D’Alema, a sua volta diventato “costola della Lega”. Il saggio, appassionante, scritto benissimo da due giornalisti di casa a Varese, Gemonio e dintorni, ripercorre la parabola di un leader molto “italiano”: che infatti presenta dimissioni “irrevocabili” da segretario ma si nomina presidente non decodificando il vento che è cambiato. Nonostante la moglie (“Non so cosa avrei fatto senza la Manuela”), svelata come “mente” politica, a metà fra un’Evita Peron terrona e un’Elena Ceausescu intrigante, gli consigli di farsi da parte: “Ma ricordati, non sei finito…”, aggiunge con lo sguardo carico d’amore.
La password politica è comunque riduttiva: và letto anche in chiave sociologica, antropologica, etica, per osservare con quanta facilità muti l’eterogenesi dei fini senza che nessuno se ne accorga e la politica diventi antipolitica. Eppure, per chi crede all’occultismo (la politica ha anche un livello fra lo sciamanesimo e la cosmogonia), bastava decifrare una babele di segni per capire dove si andava a parare. Estrapoliamone uno: la notte fra 10 e 11 marzo 2004 il cuore di Bossi cede: “Non respiro, non respiro… muoio”. A Gemonio cade la neve. L’ambulanza arriva alle 6 del mattino, le ruote slittano, invece che a Varese si dirige a Cittiglio e con le prime cure le agenzie battono la notizia: Al-Qaeda ha messo le bombe sui treni alla stazione “Atocha” di Madrid.
E’ la profezia di Miglio, filosofo trattato come fenomeno da baraccone da una Lega di cultura bignamina: “Bossi? Una scorreggia scagliata nell’infinito”. Bastava a destare sospetti: ma la suggestione e il folklore hanno prevalso, confuso la brava gente andata con la scopa a Bergamo (avrebbe dovuto usarla addosso ai Bossi). Fino alla dolcevita dei lingotti, i diamanti, le auto blu ad personam, le ville (Calderoli ha cercato di derubricarne una splendida nel cuore di Roma, con pineta e piscina a baracca in riva al Tevere), che hanno omologato la Lega agli altri partiti italiani (quelli di Lusi, Penati, Vendola, ecc.). Da un “battesimo” con l’acqua del Po densa di vibrioni ci si poteva attendere di più?